Goffredo Radicati. Le metamorfosi/ Francesca Magro. Oltre Uomo/ Giuseppe Farina. Viva l'Italia
Dal 08 Novembre 2012 al 30 Novembre 2012
Milano
Luogo: Spazio Tadini
Indirizzo: via Jommelli 24
E-Mail info: ms@spaziotadini.it
Sito ufficiale: http://www.spaziotadini.it
Goffredo Radicati. Le metamorfosi
Le opere di Goffredo Radicati rievocano tutta la forza dei capolavori surrealisti dei primi del Novecento. A dominare il suo lavoro artistico troviamo il sogno, la fantasia, la follia e l’allucinazione che contraddistinsero anche la produzione artistica di alcuni importanti pittori surrealisti come Max Ernest e Salvator Dalì. I soggetti di Radicati, però, accentuano la trasfigurazione, le forme raggiungono quasi l’astrazione e, in qualche caso, richiamano una dinamicità che ricorda persino certi pittori futuristi come Balla e Depero.
Siamo di fronte, dunque, ad un’interpretazione del surrealismo che, conserva, anche tracce della pittura più recente, capace di trasfigurare il mondo fino a quasi liberarsi dalla forma, per diventare segno, colore, rappresentazione del movimento, del cambiamento: metamorfosi.
Vediamo così un aquilone fatto di punte che sembrano becchi di pellicani, mani che si trasformano in creste di gallo, nasi in corni, ombre in corpi, foglie in carne. Scopriamo forme improbabili diventare possibili, ombre rette diventare cure, forme spigolose generare sinuose linee corpose e carnose. Sentiamo il calore del giallo e del rosso mitigarsi all’insinuarsi del verde, il blu e l’azzurro mischiarsi con il bruno e il marrone, il tutto in un susseguirsi incessante di colpi di colore e di forme capaci di stagliarsi in primo piano su fondi viola scuro, quasi nero. Eccolo l’oggetto. Ecco l’elaborato mentale, ecco l’avviluppamento onirico, ecco il pensiero trasfigurato, ecco la musica senza suono, ecco la voce trasformarsi in segno.
Questi soggetti e mondi improbabili sono quasi tutti sospesi, appartenenti, anche solo per questo, al sogno, là dove la gravità rimane un ricordo delle ore diurne, quando la luce richiama la Terra. Radicati però va con forza e vigore verso il buio, non teme l’ignoto, ci si intrufola curioso come un giullare e si beffa della gravità della vita. I suoi cicli sono una dimostrazione di questa ironia, di questo gioco che si spinge fino all’inconscio senza paura di svelare l’indizio, senza temere giudizio, né pregiudizio.
Troviamo infatti, tra le sue opere lavori dedicati a figure nell’ambito della famiglia, come la nonna e la coppia, a fatti di cronaca, come lo sfratto e la dipendenza dal denaro, a situazioni ludiche come bevitori e musicisti, a opere più chiaramente oniriche come frammenti, il sonno, mutazioni. Un ruolo principe hanno poi i sentimenti, come l’amore e il dolore, quanto la morte e la vita, verso cui non risparmia riferimenti anche al sacro, con opere dedicate alla croce, dove però prevale l’elemento umano, il bisogno di liberazione dalla sofferenza esistenziale.
Negli ultimi lavori di Radicati i colori sono più brillanti e rispetto alle prime tele, lo sfondo dei suoi soggetti non appartiene più alle tenebre, ma ad un pianeta di orizzonti dove torna ad avere un ruolo, la profondità, il tempo, lo spazio, non vi è la pesantezza e con la sua gravità materiale. L’artista rifugge dall’aderenza al terreno e il suo viaggio pittorico non è più una sequenza infinita di oggetti onirici collezionati come matriosche pronte a svelare l’arcano dell’essere e dell’esistere, ma piuttosto un tuffo nel sogno.
Radicati viaggia lontano, trova orizzonti verdi, gialli e rossi, altrimenti impossibili e, in questi scenari, incontra le sue figure che gli raccontano del mondo e della vita. Lo fanno a modo loro, senza usare gli schemi della lingua, né della figura stereotipata, ma la straordinaria dinamicità che può solo un flusso libero di pensiero. L’artista, attraverso la sua mano e il suo pennello, riesce a riempire ogni centimetro della tela come se fosse un’occupazione abusiva in un mondo che non lascia spazio alla fantasia e alla libertà, sempre più cementificato nel corpo e nello spirito.
Melina Scalise
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Francesca Magro. Oltre Uomo
La mostra di Francesca Magro a Spazio Tadini raccoglie i suoi ultimi lavori su un tema caro all’artista: il corpo. Un percorso enigmatico sul rapporto con “la carne” che diventerà oggetto anche di un prossimo volume dedicato all’artista a cura di Luca Pietro Nicoletti. La mostra si svolgerà contemporaneamente alla realizzazione della terza edizione del Festival Coreografia D’arte 2012, dal 24 al 30 novembre, in cui la coreografa, Federicapaola Capecchi, presenterà uno spettacolo interamente ispirato al lavoro artistico di Francesca Magro, giovedì 29 novembre con uno spettacolo alle 20.30 (per informazioni visitare il calendario del festival suwww.spaziotadini.wordpress.com). Scrive Federicapaola Capecchi “I corpi…. Di Francesca Magro mi hanno sempre attirato i corpi. Corpi non corpi, parti elettroniche o meccaniche innestate sugli arti, o addirittura prolungamenti delle membra, della testa, del cervello; dissezioni, frammenti di corpo, scomposto, distorto, tagliato, a volte, luogo in rovina. Guardando i suoi corpi predomina per me lo spazio, il vuoto, il pieno di un essere in lotta … per cosa? Per chi? Per quale corpo oggi? A che grado, a che punto di corpo siamo? Cosa può il corpo? Domande che sono parte integrante della mia ricerca da tempo, e che trovano uno stimolante enigma nelle opere di Francesca Magro. (…)Il lavoro e la ricerca drammaturgica e coreografica che sto compiendo intorno ad alcune opere di Francesca Magro mi porta a trovare affinità, similitudine, identificazione e diversità, avversione, contrapposizione fra violenza e bellezza, fra arte e violenza.Tra bellezza e arte, dove la violenza rimane un suffisso. Un cerchio, una circonferenza dove arte e bellezza si inseguono, senza mai raggiungersi. O forse solo per un attimo, per poi ricominciare ad inseguirsi, violentemente. Un cerchio come una danza, al centro del quale c’è l’uomo. Il suo corpo. E la nuova identità che ne scaturirà”.
Ed ecco il punto. L’identità, il rapporto con il corpo. Ma qual è il processo di cambiamento in atto? Per Francesco Tadini, Francesca Magro è come se fosse un’inviata speciale a documentare, matita alla mano, i cambiamenti sociali sul nostro rapporto con il corpo. Scrive Francesco Tadini “Francesca Magro disegna corpi che non designano corpi. De signum: ritrarre per via di segni la forma di un oggetto. I segni di Francesca Magro non ri-traggono. Quasi immemori di anatomia umana - quanto basta per entrare in un territorio caro a Giacometti - muovono alla caccia di un ultra uomo biotecnologico. Di un eroe mutante. Convertono cartilagini in giunti cardanici. Tramutano sangue in fluidi lubrificanti. Trasformano placenta e liquidi amniotici in bagni chimici che generano protesi, con filamenti, lanuggini, e particolari prolungamenti che congiungono a invisibili laboratori, dove si programma il loro futuro innervandolo in sagome neoplasiche con scariche polverizzate di coloranti anionici. Oppure: Francesca Magro non dirige i suoi graffi e turbini segnici verso la nascita del prossimo supereroe Marvel, ma assiste a una Catastrofe/Creazione. Allora la sua mano non può fare altro che prendere atto della Genesi di un nuovo mondo. Il mondo vecchio è finito -annientato- e il mondo nuovo sta prendendo forma. E come ogni forma nata alla fine di un’altra forma, la contiene. (….) Francesca Magro, oggi, avverte una benefica urgenza: quella di accorciare le distanze da una catastrofe in corso. (…..) E disegna corpi, Francesca, con il vigore e la velocità di chi non può perdere tempo in operazioni complementari. Va al dunque. Forse, per questa ragione, la sua mano è rapida e muove la linea allo stesso “galoppo” da vertigine di quei Moore o Sutherland dei primi anni Quaranta. Francesca Magro è reporter della più accelerata trasformazione che il genere umano abbia vissuto. Il corpo non è più lo stesso. Il corpo non è più un corpo. Il presente elettrico/genetico/digitale promette la fine della fine.”
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Giuseppe Farina. Viva l'Italia
“Il cinema è un’arte che non ha nulla a che fare con le altre arti. Ma è imparentato geneticamente con la pittura, perché l’uno e l’altra non possono esistere senza la luce. L’immagine è luce. Il cuore di ogni cosa, sia per il cinema che per la pittura, è la luce. Nel cinema la luce viene prima del soggetto, della storia, dei personaggi, è la luce che esprime quello che un cineasta vuole dire. Nella pittura la luce viene prima del tema, della tavolozza, dei colori, è la luce che esprime quello che un pittore vuole rappresentare. Qualche critico ha detto che io sono un regista “pittorico”, ma non poteva farmi un elogio più grande …”. Federico Fellini
Viva L’’Italia, film cinematografico presente nelle sale di tutto il paese, ha per timonieri due capitani coraggiosi: Massimiliano Bruno regista e sceneggiatore, e Sonia Peng scenografa. Ed proprio il coraggio e l’amore per il loro lavoro che li ha portati a voler scommettere fortemente sulla Luce. Luce, come “trait d’union” fra cinema e pittura. Il film infatti, prende a Battesimo un progetto pittorico di Giuseppe Farina artista eclettico, che rinnova costantemente il suo Amore per tutte le discipline artistiche. I due capitani oltre a sottolineare pregi e difetti del bel Paese, hanno voluto soffermarsi in modo discreto, sull’amore per la pittura, e sullo scambio di emozioni. Attraverso le opere di Farina, si evidenzia lo scambio continuo fra la luce delle immagini pittoriche e la luce cinematografica; tema questo, molto caro a Federico Fellini. Le sue pennellate dense, si mescolano a ritocchi fluidi e leggeri creando una forte espressività pittorica, che da una visione teatrale e poetica del mondo. Le diverse sfumature contrapponendosi, donano luce e brillantezza alle sue opere.
La stessa luce viene propagata alle immagini cinematografiche che la utilizza per le proprie scene, e a sua volta con leggerezza ne fa partecipe il pubblico trasmettendo emozioni e sentimenti spesso sopiti. Le tele e la pellicola ci raccontano simultaneamente di città, di paesaggi, di individui, in cui ognuno può, anche e solo per un attimo riconoscersi; annullando lo spazio tra la visione e la rappresentazione. Mentre l’udito percepisce il racconto; gli occhi guardano la luce e la mente abbraccia la proiezione di un mondo parallelo. Un universo di storie, che attraggono con un’ampia gamma di colori, la coscienza e l’anima di chi guarda, e provoca forti emozioni attraverso la luce, che si intreccia in un continuum fra cinema e pittura.. Mariateresa Buccieri Nella personale organizzata presso lo Spazio Tadini vengono presentate al pubblico le suggestive immagini che hanno fatto da sfondo coreografico e concettuale alla favola comica e irriverente del regista romano. Nella prima sala sono esposte le tele che hanno fatto da scenografia per l'appartamento del figlio del protagonista della storia (Valerio Spagnolo, interpretato da Alessandro Gasmann) e la selezione delle opere è stata compiuta in relazione alla personalità del soggetto cinematografico. Nella seconda sala, invece, troviamo le tele presentate presso la galleria d’arte costruita sul set di Viva l’Italia
Le opere di Goffredo Radicati rievocano tutta la forza dei capolavori surrealisti dei primi del Novecento. A dominare il suo lavoro artistico troviamo il sogno, la fantasia, la follia e l’allucinazione che contraddistinsero anche la produzione artistica di alcuni importanti pittori surrealisti come Max Ernest e Salvator Dalì. I soggetti di Radicati, però, accentuano la trasfigurazione, le forme raggiungono quasi l’astrazione e, in qualche caso, richiamano una dinamicità che ricorda persino certi pittori futuristi come Balla e Depero.
Siamo di fronte, dunque, ad un’interpretazione del surrealismo che, conserva, anche tracce della pittura più recente, capace di trasfigurare il mondo fino a quasi liberarsi dalla forma, per diventare segno, colore, rappresentazione del movimento, del cambiamento: metamorfosi.
Vediamo così un aquilone fatto di punte che sembrano becchi di pellicani, mani che si trasformano in creste di gallo, nasi in corni, ombre in corpi, foglie in carne. Scopriamo forme improbabili diventare possibili, ombre rette diventare cure, forme spigolose generare sinuose linee corpose e carnose. Sentiamo il calore del giallo e del rosso mitigarsi all’insinuarsi del verde, il blu e l’azzurro mischiarsi con il bruno e il marrone, il tutto in un susseguirsi incessante di colpi di colore e di forme capaci di stagliarsi in primo piano su fondi viola scuro, quasi nero. Eccolo l’oggetto. Ecco l’elaborato mentale, ecco l’avviluppamento onirico, ecco il pensiero trasfigurato, ecco la musica senza suono, ecco la voce trasformarsi in segno.
Questi soggetti e mondi improbabili sono quasi tutti sospesi, appartenenti, anche solo per questo, al sogno, là dove la gravità rimane un ricordo delle ore diurne, quando la luce richiama la Terra. Radicati però va con forza e vigore verso il buio, non teme l’ignoto, ci si intrufola curioso come un giullare e si beffa della gravità della vita. I suoi cicli sono una dimostrazione di questa ironia, di questo gioco che si spinge fino all’inconscio senza paura di svelare l’indizio, senza temere giudizio, né pregiudizio.
Troviamo infatti, tra le sue opere lavori dedicati a figure nell’ambito della famiglia, come la nonna e la coppia, a fatti di cronaca, come lo sfratto e la dipendenza dal denaro, a situazioni ludiche come bevitori e musicisti, a opere più chiaramente oniriche come frammenti, il sonno, mutazioni. Un ruolo principe hanno poi i sentimenti, come l’amore e il dolore, quanto la morte e la vita, verso cui non risparmia riferimenti anche al sacro, con opere dedicate alla croce, dove però prevale l’elemento umano, il bisogno di liberazione dalla sofferenza esistenziale.
Negli ultimi lavori di Radicati i colori sono più brillanti e rispetto alle prime tele, lo sfondo dei suoi soggetti non appartiene più alle tenebre, ma ad un pianeta di orizzonti dove torna ad avere un ruolo, la profondità, il tempo, lo spazio, non vi è la pesantezza e con la sua gravità materiale. L’artista rifugge dall’aderenza al terreno e il suo viaggio pittorico non è più una sequenza infinita di oggetti onirici collezionati come matriosche pronte a svelare l’arcano dell’essere e dell’esistere, ma piuttosto un tuffo nel sogno.
Radicati viaggia lontano, trova orizzonti verdi, gialli e rossi, altrimenti impossibili e, in questi scenari, incontra le sue figure che gli raccontano del mondo e della vita. Lo fanno a modo loro, senza usare gli schemi della lingua, né della figura stereotipata, ma la straordinaria dinamicità che può solo un flusso libero di pensiero. L’artista, attraverso la sua mano e il suo pennello, riesce a riempire ogni centimetro della tela come se fosse un’occupazione abusiva in un mondo che non lascia spazio alla fantasia e alla libertà, sempre più cementificato nel corpo e nello spirito.
Melina Scalise
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Francesca Magro. Oltre Uomo
La mostra di Francesca Magro a Spazio Tadini raccoglie i suoi ultimi lavori su un tema caro all’artista: il corpo. Un percorso enigmatico sul rapporto con “la carne” che diventerà oggetto anche di un prossimo volume dedicato all’artista a cura di Luca Pietro Nicoletti. La mostra si svolgerà contemporaneamente alla realizzazione della terza edizione del Festival Coreografia D’arte 2012, dal 24 al 30 novembre, in cui la coreografa, Federicapaola Capecchi, presenterà uno spettacolo interamente ispirato al lavoro artistico di Francesca Magro, giovedì 29 novembre con uno spettacolo alle 20.30 (per informazioni visitare il calendario del festival suwww.spaziotadini.wordpress.com). Scrive Federicapaola Capecchi “I corpi…. Di Francesca Magro mi hanno sempre attirato i corpi. Corpi non corpi, parti elettroniche o meccaniche innestate sugli arti, o addirittura prolungamenti delle membra, della testa, del cervello; dissezioni, frammenti di corpo, scomposto, distorto, tagliato, a volte, luogo in rovina. Guardando i suoi corpi predomina per me lo spazio, il vuoto, il pieno di un essere in lotta … per cosa? Per chi? Per quale corpo oggi? A che grado, a che punto di corpo siamo? Cosa può il corpo? Domande che sono parte integrante della mia ricerca da tempo, e che trovano uno stimolante enigma nelle opere di Francesca Magro. (…)Il lavoro e la ricerca drammaturgica e coreografica che sto compiendo intorno ad alcune opere di Francesca Magro mi porta a trovare affinità, similitudine, identificazione e diversità, avversione, contrapposizione fra violenza e bellezza, fra arte e violenza.Tra bellezza e arte, dove la violenza rimane un suffisso. Un cerchio, una circonferenza dove arte e bellezza si inseguono, senza mai raggiungersi. O forse solo per un attimo, per poi ricominciare ad inseguirsi, violentemente. Un cerchio come una danza, al centro del quale c’è l’uomo. Il suo corpo. E la nuova identità che ne scaturirà”.
Ed ecco il punto. L’identità, il rapporto con il corpo. Ma qual è il processo di cambiamento in atto? Per Francesco Tadini, Francesca Magro è come se fosse un’inviata speciale a documentare, matita alla mano, i cambiamenti sociali sul nostro rapporto con il corpo. Scrive Francesco Tadini “Francesca Magro disegna corpi che non designano corpi. De signum: ritrarre per via di segni la forma di un oggetto. I segni di Francesca Magro non ri-traggono. Quasi immemori di anatomia umana - quanto basta per entrare in un territorio caro a Giacometti - muovono alla caccia di un ultra uomo biotecnologico. Di un eroe mutante. Convertono cartilagini in giunti cardanici. Tramutano sangue in fluidi lubrificanti. Trasformano placenta e liquidi amniotici in bagni chimici che generano protesi, con filamenti, lanuggini, e particolari prolungamenti che congiungono a invisibili laboratori, dove si programma il loro futuro innervandolo in sagome neoplasiche con scariche polverizzate di coloranti anionici. Oppure: Francesca Magro non dirige i suoi graffi e turbini segnici verso la nascita del prossimo supereroe Marvel, ma assiste a una Catastrofe/Creazione. Allora la sua mano non può fare altro che prendere atto della Genesi di un nuovo mondo. Il mondo vecchio è finito -annientato- e il mondo nuovo sta prendendo forma. E come ogni forma nata alla fine di un’altra forma, la contiene. (….) Francesca Magro, oggi, avverte una benefica urgenza: quella di accorciare le distanze da una catastrofe in corso. (…..) E disegna corpi, Francesca, con il vigore e la velocità di chi non può perdere tempo in operazioni complementari. Va al dunque. Forse, per questa ragione, la sua mano è rapida e muove la linea allo stesso “galoppo” da vertigine di quei Moore o Sutherland dei primi anni Quaranta. Francesca Magro è reporter della più accelerata trasformazione che il genere umano abbia vissuto. Il corpo non è più lo stesso. Il corpo non è più un corpo. Il presente elettrico/genetico/digitale promette la fine della fine.”
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Giuseppe Farina. Viva l'Italia
“Il cinema è un’arte che non ha nulla a che fare con le altre arti. Ma è imparentato geneticamente con la pittura, perché l’uno e l’altra non possono esistere senza la luce. L’immagine è luce. Il cuore di ogni cosa, sia per il cinema che per la pittura, è la luce. Nel cinema la luce viene prima del soggetto, della storia, dei personaggi, è la luce che esprime quello che un cineasta vuole dire. Nella pittura la luce viene prima del tema, della tavolozza, dei colori, è la luce che esprime quello che un pittore vuole rappresentare. Qualche critico ha detto che io sono un regista “pittorico”, ma non poteva farmi un elogio più grande …”. Federico Fellini
Viva L’’Italia, film cinematografico presente nelle sale di tutto il paese, ha per timonieri due capitani coraggiosi: Massimiliano Bruno regista e sceneggiatore, e Sonia Peng scenografa. Ed proprio il coraggio e l’amore per il loro lavoro che li ha portati a voler scommettere fortemente sulla Luce. Luce, come “trait d’union” fra cinema e pittura. Il film infatti, prende a Battesimo un progetto pittorico di Giuseppe Farina artista eclettico, che rinnova costantemente il suo Amore per tutte le discipline artistiche. I due capitani oltre a sottolineare pregi e difetti del bel Paese, hanno voluto soffermarsi in modo discreto, sull’amore per la pittura, e sullo scambio di emozioni. Attraverso le opere di Farina, si evidenzia lo scambio continuo fra la luce delle immagini pittoriche e la luce cinematografica; tema questo, molto caro a Federico Fellini. Le sue pennellate dense, si mescolano a ritocchi fluidi e leggeri creando una forte espressività pittorica, che da una visione teatrale e poetica del mondo. Le diverse sfumature contrapponendosi, donano luce e brillantezza alle sue opere.
La stessa luce viene propagata alle immagini cinematografiche che la utilizza per le proprie scene, e a sua volta con leggerezza ne fa partecipe il pubblico trasmettendo emozioni e sentimenti spesso sopiti. Le tele e la pellicola ci raccontano simultaneamente di città, di paesaggi, di individui, in cui ognuno può, anche e solo per un attimo riconoscersi; annullando lo spazio tra la visione e la rappresentazione. Mentre l’udito percepisce il racconto; gli occhi guardano la luce e la mente abbraccia la proiezione di un mondo parallelo. Un universo di storie, che attraggono con un’ampia gamma di colori, la coscienza e l’anima di chi guarda, e provoca forti emozioni attraverso la luce, che si intreccia in un continuum fra cinema e pittura.. Mariateresa Buccieri Nella personale organizzata presso lo Spazio Tadini vengono presentate al pubblico le suggestive immagini che hanno fatto da sfondo coreografico e concettuale alla favola comica e irriverente del regista romano. Nella prima sala sono esposte le tele che hanno fatto da scenografia per l'appartamento del figlio del protagonista della storia (Valerio Spagnolo, interpretato da Alessandro Gasmann) e la selezione delle opere è stata compiuta in relazione alla personalità del soggetto cinematografico. Nella seconda sala, invece, troviamo le tele presentate presso la galleria d’arte costruita sul set di Viva l’Italia
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