Nicola Di Caprio. Rosicchiando cavi elettrici
Dal 19 Febbraio 2016 al 05 Marzo 2016
Milano
Luogo: City Art
Indirizzo: via Dolomiti 11
Orari: da mercoledì a sabato 15,30-19
Curatori: Jacqueline Ceresoli
E-Mail info: info@cityart.it
Sito ufficiale: http://www.cityart.it/
Rosicchiando cavi elettrici è il titolo dada della mostra di Nicola Di Caprio, artista, musicista e performer, sperimentatore di ibridazioni crossmedia interessato a liberare la musica e la grafica rock dal suo contesto e funzione. La sua ricerca muove dalla passione per la musica e l’attrazione feticistica per le musicassette, i nastri magnetici, i vinile e gli strumenti musicali: oggetti-soggetti che decontestualizzati e ricomposti, assemblati e inseriti nelle sue opere o installazioni ambientali dal rigoroso equilibrio formale, che sottendono il rapporto tra “ritmo” e “tempo”, sembrano compilare uno spartito musicale mai scritto, complice la sua abilità grafica dal rigoroso impianto geometrico.
Come e quando hai pensato di fare sculture con strumenti e oggetti di trasmissione della musica?
Gli strumenti musicali, spesso, sono delle straordinarie forme estetiche al servizio di una funzione: il suono. E’interessante ribaltare il concetto, come hanno fatto anche Arman o Christian Marclay, e usarli solo ed esclusivamente per un fattore estetico ma che inevitabilmente rimanda ai propri ricordi e alle proprie passioni.
In questa occasione hai ricomposto una carrellata di lavori recenti e alcuni inediti in relazione al luogo, agendo su una parete immaginata come se fosse una pagina di uno spartito, ti accade spesso di trovare sempre nuove soluzioni formali?
Il luogo è come una pelle che ha dentro di se organi e muscoli. Di solito lo spazio mi aiuta a decidere cosa esporre.
Come ti è venuto in mente il titolo?
Il titolo è stata la prima cosa che ho deciso dopo che mi hai invitato avendo visto la City Art e dove era collocata. Il titolo come entità autonoma e complementare alle opere esposte. Ricordavo delle nutrie viste li nell’adiacente Canale Martesana, ormai simbolo di questo corso d’acqua, e l’idea della scossa che questi roditori potrebbero ricevere nel rosicchiare un cavo elettrico, magari di un amplificatore per chitarra. Un’immagine da Dark Humor forse legata anche alla mia passione per un certo tipo di cinema dei Tarantino, dei Coen, dei Luzzani, ecc
Collage, assemblaggi, montaggi e stratificazioni di oggetti e materiali diversi in particolare i nastri magnetici e le musicassette o vinili, caratterizzano la tua ricerca di equilibri formali, scombinando regole delle impaginazioni e della grafica, in bilico tra decostruzione e ricostruzione come dispositivo mentale, perché?
L’utilizzo di materiali del mondo sonoro, cioè quelli dedicati all’ascolto, mi riconduce al mio feticismo, alla voglia di possedere una incredibile collezione musicale e, forse, ancora elaboro il lutto del furto di una piccola ma sudata collezione di vinile avvenuta a Roma nel 1984.
Che funzione ha l’inserimento di parole e frasi nelle tue sculture-libri-scatole, o trappole della visione, opere che rimandano alle copertine di dischi in vinile anni 70’80, e al rapporto tra scrittura e immagine?
Il gusto del segno deriva dalla mia passione e dalla pratica come graphic designer. C’è una bellezza intrinseca nell’accostare dei caratteri di stampa e abbinarli a delle immagini. Spesso sono piccole frasi che mi giungono da una canzone o, casuali accostamenti di parole che devono dialogare con un’immagine o dei segni. La funzione delle parole è prevalentemente estetica, ma non disdegno qualche messaggio. Lascio ad altri meglio dotati di me di usare le parole per dare senso e fare filosofia.
Segui un ritmo quando componi le tue opere?
Non necessariamente, ma quasi sempre ascolto musica. Avendo la batteria in studio spesso tra un tratto, una pennellata o un accostamento di oggetti, ci salto su e la suono a volte anche solo per pochissimi secondi. Quando faccio lavori su carta, veloci e terapeutici, in quel caso riconosco di avere un approccio ritmico riferito al mondo dell’improvvisazione e del free jazz.
A chi dedicheresti questa mostra?
A quelli che vanno a correre sulla Martesana e ai tanti, incredibile, che non conoscono questo canale. In quel tratto di strada pedonale e ciclabile che da Via Melchiorre Gioia arriva in fondo a Via Padova vedo una Milano molto diversa rispetto alle zone più centrali. Un mondo che ha un gusto multietnico e popolare che mi piace incontrare.
Nicola Di Caprio, con questa installazione site specific contribuisce a portare l’arte in luoghi meno conosciuti, valorizzando la Martesana e dintorni, all’insegna di un’arte diffusa come motore cognitivo-esplorativo e per sviluppare il senso di appartenenza della comunità e dei cittadini milanesi. L’opera piacerebbe a John Cage e a Joseph Kosuth, perché tensione estetica a parte, attiva un corto circuito visivo e mentale in bilico tra musica, suono, immagine e parola: ibridazioni attive che agiscono come dispositivi del pensiero.
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