Sara Montani. L’essenziale è invisibile agli occhi
Dal 23 Giugno 2022 al 17 Luglio 2022
Milano
Luogo: Museo della Permanente
Indirizzo: Via Turati 34
Orari: lunedì - venerdì 10.00-13.00 / 14.30-18.30; sabato - domenica 11.00-13.00 / 14.30-18.30
Curatori: Luca Cavallini
Telefono per informazioni: +39 02 6551445
E-Mail info: info@lapermanente.it
Sito ufficiale: http://www.lapermanente.it/
La mostra L’essenziale è invisibile agli occhi che apre i battenti il prossimo 23 giugno alle ore 18 al Museo della Permanente di Milano propone una ricognizione sul lavoro di Sara Montani, attraverso un focus sul suo percorso di ricerca degli ultimi vent’anni. L’esposizione rientra nella rassegna Trivium. Storie di senso, curata da Luca Cavallini, conservatore del Museo, che vede affiancati, ognuno con una mostra personale, i tre membri della Commissione Artistica annuale di cui Montani ha fatto parte insieme a Simonetta Chierici e Vincenzo Pellitta: una sorta di punto di convergenza di tre strade separate raccontate attraverso i linguaggi propri di ogni autore.
Sara Montani (Milano, 1951) in decenni di attività artistica e didattica, a partire dagli anni Settanta, ha sperimentato vari linguaggi spingendoli sempre ai limiti e accogliendo nelle sue opere sia il proprio vissuto che oggetti reali. La sua poetica si radica in una fiducia nel lavoro collettivo e pluridisciplinare che è la diretta eredità di esperienze importanti, come scenografa e come insegnante. Quindi la pratica simultanea della pittura, della scultura, dell’incisione o del libro d’artista non si risolve in un semplice eclettismo ma si traduce in immagini ricche di tracce e rimandi, in uno scambio reciproco di materie e processi.
L’essenziale è invisibile agli occhi - titolo mutuato da un brano de “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint Exupéry - pone innanzi tutto l’accento sul confronto dialogico che nasce dalla mescolanza di linguaggi ma, e soprattutto, su un costante denominatore, comune ad ogni opera in mostra: la messa in evidenza del vuoto come raccoglitore di memoria, quell’invisibile che l’impronta rende presente. Il recupero e la valorizzazione della memoria, si accentra, dagli inizi degli anni Duemila, in un lavoro che utilizza prevalentemente capi d’abbigliamento che la stampa al torchio calcografico o la scultura in resina rendono indumento/scultura o indumento/matrice, pezzi unici, nella dimensione che appartiene al reale, in un rapporto di grandezza alla pari. L’abito, la sottoveste, la camicetta, un grembiulino, un colletto o il bavaglino - afferma l’artista - mettono al centro l’Uomo, trattengono in modo effettivo, concreto, fisico, la vita, l’intimità, il valore dell’esistenza. Il dar loro ‘nuova forma’ mi cattura, ‘l’invisibile dà senso al visibile’, si incarna, si fa corpo, materia e segno e, contemporaneamente mi consente di recuperare immagine storica e tradizione, altro patrimonio che non voglio disperdere. L’artista non si concentra sul significato culturale e sociale, o sulla funzione pratica e simbolica dell’abbigliamento ma focalizza la sua ricerca soprattutto sull’impronta quale proiezione autentica della personalità umana che lo ha “abitato”. I linguaggi espressivi che ha ritenuto più idonei sono la scultura in resina e la calcografia. Quest’ultima tecnica di cui si è avvalsa molto di frequente soprattutto negli ultimi anni, utilizzata come occasione per creare elementi a sé stanti, completi e autonomi, costituisce una sorta di “fermo-immagine” che consente di fissare il ricordo dell’oggetto e del suo vissuto su una matrice, per poi stamparla più volte, in una ripetizione ossessiva nella ricerca di ciò che meglio sa conferire all’oggetto dignità di vita, nella ricerca della gamma cromatica più idonea o, addirittura, dall’assoluta assenza di colore, nel bianco della stampa a secco.
Anche con la scultura in resina l’abito, acquisisce una nuova “veste”, proprio per via del medium che gli conferisce una nuova struttura e fisionomia e consente all’artista di mescolare l’invisibile alle sue sensazioni nel dargli forma rendendolo un oggetto d’arte, concreto, che custodisce e racconta la vita personale di chi l’ha posseduto. Un esempio su tutti è dato dall‘opera Il vestito della festa, realizzata utilizzando un abito appartenuto a sua madre, nella quale, racconta, ho sentito la necessità di non esorcizzare il terrificante, la ferita – ovvero la scomparsa della mamma – bensì di includere il dolore nella bellezza di una forma per trovare una “bellezza della ferita” e quindi confrontarmi con ciò che è inesprimibile. La forza del lavoro sta nel restituirmi qualcosa di ciò che non ha immagine, nel rappresentare l’irrappresentabile.
L’ascolto della forma è il metodo che Sara Montani applica a tutti i suoi progetti artistici - o di natura pedagogica e sociale - che nascono nello spazio che lascia alla materia stessa. Così come diventa una necessità permettere al caso di entrare nel processo creativo e, soprattutto, la trasgressione, l’uscire dalla regola, inventando le sue matrici, cioè trasformando materiali eterogenei in “lastra” utilizzabile per la stampa, ed avere quindi la possibilità di inseguire la meraviglia della scoperta nel risultato finale del lavoro. Così si presenta il lavoro decennale delle Foglie, esposto in mostra, dove Montani porta elementi del reale a rivivere, nella loro dimensione naturale, all’interno dell’opera: una stampa, realizzata a secco, senza colore dove, sul foglio bianco di carta cotone, è proprio la linfa rilasciata dalle foglie sotto la pressione del torchio, a costruire la composizione dando voce all'invisibile.
Completa questa sezione della mostra il film Impronte, realizzato dal regista Alberto Nacci: una narrazione simbolica che documenta e avvalora la ricerca di Sara Montani attraverso il linguaggio filmico.
Sara Montani
Artista impegnata nell’indagine della realtà sociale, la sua produzione artistica abbraccia più linguaggi, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia all’incisione, alle installazioni e ai libri d’artista, impiegando materiali e tecniche varie.
La sua ricerca affonda le radici nella memoria, individuale e collettiva e nella trasmissione della conoscenza, di generazione in generazione. Predilige progetti tematici, trasferendo il vissuto personale all’interno dell’opera d’arte.
Formatasi all’Accademia di Belle Arti di Brera con Tito B. Varisco e Guido Ballo, Sara Montani espone dal 1970 in mostre, personali e collettive, in Italia e all’estero, prediligendo progetti tematici.
Le sue opere figurano in collezioni e raccolte di enti pubblici e privati in Italia, Francia, Belgio, Inghilterra, Romania, Svizzera, Egitto, Germania, Cina, Giappone, Stati Uniti, Polonia, Repubblica Dominicana.
Complementare all’attività artistica è quella di operatrice culturale che svolge come presidente e direttore artistico dell’Associazione Culturale Livia e Virgilio Montani, occupandosi di formazione giovanile e curando mostre ed eventi a carattere socioculturale.
Sara Montani (Milano, 1951) in decenni di attività artistica e didattica, a partire dagli anni Settanta, ha sperimentato vari linguaggi spingendoli sempre ai limiti e accogliendo nelle sue opere sia il proprio vissuto che oggetti reali. La sua poetica si radica in una fiducia nel lavoro collettivo e pluridisciplinare che è la diretta eredità di esperienze importanti, come scenografa e come insegnante. Quindi la pratica simultanea della pittura, della scultura, dell’incisione o del libro d’artista non si risolve in un semplice eclettismo ma si traduce in immagini ricche di tracce e rimandi, in uno scambio reciproco di materie e processi.
L’essenziale è invisibile agli occhi - titolo mutuato da un brano de “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint Exupéry - pone innanzi tutto l’accento sul confronto dialogico che nasce dalla mescolanza di linguaggi ma, e soprattutto, su un costante denominatore, comune ad ogni opera in mostra: la messa in evidenza del vuoto come raccoglitore di memoria, quell’invisibile che l’impronta rende presente. Il recupero e la valorizzazione della memoria, si accentra, dagli inizi degli anni Duemila, in un lavoro che utilizza prevalentemente capi d’abbigliamento che la stampa al torchio calcografico o la scultura in resina rendono indumento/scultura o indumento/matrice, pezzi unici, nella dimensione che appartiene al reale, in un rapporto di grandezza alla pari. L’abito, la sottoveste, la camicetta, un grembiulino, un colletto o il bavaglino - afferma l’artista - mettono al centro l’Uomo, trattengono in modo effettivo, concreto, fisico, la vita, l’intimità, il valore dell’esistenza. Il dar loro ‘nuova forma’ mi cattura, ‘l’invisibile dà senso al visibile’, si incarna, si fa corpo, materia e segno e, contemporaneamente mi consente di recuperare immagine storica e tradizione, altro patrimonio che non voglio disperdere. L’artista non si concentra sul significato culturale e sociale, o sulla funzione pratica e simbolica dell’abbigliamento ma focalizza la sua ricerca soprattutto sull’impronta quale proiezione autentica della personalità umana che lo ha “abitato”. I linguaggi espressivi che ha ritenuto più idonei sono la scultura in resina e la calcografia. Quest’ultima tecnica di cui si è avvalsa molto di frequente soprattutto negli ultimi anni, utilizzata come occasione per creare elementi a sé stanti, completi e autonomi, costituisce una sorta di “fermo-immagine” che consente di fissare il ricordo dell’oggetto e del suo vissuto su una matrice, per poi stamparla più volte, in una ripetizione ossessiva nella ricerca di ciò che meglio sa conferire all’oggetto dignità di vita, nella ricerca della gamma cromatica più idonea o, addirittura, dall’assoluta assenza di colore, nel bianco della stampa a secco.
Anche con la scultura in resina l’abito, acquisisce una nuova “veste”, proprio per via del medium che gli conferisce una nuova struttura e fisionomia e consente all’artista di mescolare l’invisibile alle sue sensazioni nel dargli forma rendendolo un oggetto d’arte, concreto, che custodisce e racconta la vita personale di chi l’ha posseduto. Un esempio su tutti è dato dall‘opera Il vestito della festa, realizzata utilizzando un abito appartenuto a sua madre, nella quale, racconta, ho sentito la necessità di non esorcizzare il terrificante, la ferita – ovvero la scomparsa della mamma – bensì di includere il dolore nella bellezza di una forma per trovare una “bellezza della ferita” e quindi confrontarmi con ciò che è inesprimibile. La forza del lavoro sta nel restituirmi qualcosa di ciò che non ha immagine, nel rappresentare l’irrappresentabile.
L’ascolto della forma è il metodo che Sara Montani applica a tutti i suoi progetti artistici - o di natura pedagogica e sociale - che nascono nello spazio che lascia alla materia stessa. Così come diventa una necessità permettere al caso di entrare nel processo creativo e, soprattutto, la trasgressione, l’uscire dalla regola, inventando le sue matrici, cioè trasformando materiali eterogenei in “lastra” utilizzabile per la stampa, ed avere quindi la possibilità di inseguire la meraviglia della scoperta nel risultato finale del lavoro. Così si presenta il lavoro decennale delle Foglie, esposto in mostra, dove Montani porta elementi del reale a rivivere, nella loro dimensione naturale, all’interno dell’opera: una stampa, realizzata a secco, senza colore dove, sul foglio bianco di carta cotone, è proprio la linfa rilasciata dalle foglie sotto la pressione del torchio, a costruire la composizione dando voce all'invisibile.
Completa questa sezione della mostra il film Impronte, realizzato dal regista Alberto Nacci: una narrazione simbolica che documenta e avvalora la ricerca di Sara Montani attraverso il linguaggio filmico.
Sara Montani
Artista impegnata nell’indagine della realtà sociale, la sua produzione artistica abbraccia più linguaggi, dalla pittura alla scultura, dalla fotografia all’incisione, alle installazioni e ai libri d’artista, impiegando materiali e tecniche varie.
La sua ricerca affonda le radici nella memoria, individuale e collettiva e nella trasmissione della conoscenza, di generazione in generazione. Predilige progetti tematici, trasferendo il vissuto personale all’interno dell’opera d’arte.
Formatasi all’Accademia di Belle Arti di Brera con Tito B. Varisco e Guido Ballo, Sara Montani espone dal 1970 in mostre, personali e collettive, in Italia e all’estero, prediligendo progetti tematici.
Le sue opere figurano in collezioni e raccolte di enti pubblici e privati in Italia, Francia, Belgio, Inghilterra, Romania, Svizzera, Egitto, Germania, Cina, Giappone, Stati Uniti, Polonia, Repubblica Dominicana.
Complementare all’attività artistica è quella di operatrice culturale che svolge come presidente e direttore artistico dell’Associazione Culturale Livia e Virgilio Montani, occupandosi di formazione giovanile e curando mostre ed eventi a carattere socioculturale.
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