La reinvenzione del violoncello. Partiture classiche tra musica e immagine
Dal 19 Settembre 2015 al 22 Novembre 2015
Carpi | Modena
Luogo: Spazio Meme
Indirizzo: via Giordano Bruno 4
Orari: sabato e domenica dalle 10-13 / 16-20; giorni feriali su appuntamento
Curatori: Francesca Pergreffi
Telefono per informazioni: +39 328 2188826
E-Mail info: info@spaziomeme.org
Sito ufficiale: http://spaziomeme.org
Spazio Meme riapre a Carpi via Giordano Bruno 4, venerdì 18 settembre, la nuova stagione in occasione del Festivafilosofia 2015, edizione dedicata all'Ereditare.
Per l'occasione verrà presentato il progetto inedito: "La reinveinzione del violoncello. Partiture classiche tra musica e immagine" che vede coinvolti gli artisti Mattia Cipolli, Giovanni Franzoi e Giulio Zanet, a cura di Francesca Pergreffi.
Tre artisti, un musicista, un pittore e un regista, dialogando tra di loro reinterpretano attraverso il suono e le immagini le partiture musicali di Domenico Gabrielli, Johann Sebastian Bach e Benjamin Britten.
Accogliendo e rileggendo le affinità e i legami esistenti tra passato e presente, danno vita a una partitura sonorovisiva che svela il concetto di declinazione della tradizione e di eredità storica e culturale.
Misurandosi con un genere, quello del violoncello solo, che Gabrielli trasformò nel tardo Seicento in un genere nuovo e fino ad allora impensabile, i tre artisti ripercorrono e rigenerano il filo rosso che riunisce i tre compositori: la letteratura per un violoncello solo. Un esempio straordinario di come si possano annullare secoli di distanza in virtù di un legame basato su reciproci riferimenti e affinità estetiche. Mentre un video di Franzoi reinterpreta, rimonta e proietta in loop le esecuzioni musicali del violoncello di Cipolli, una striscia di tele opera di Zanet propone una sorta di pentagramma in cui la musica scritta si fa immagine. Le citazioni e i rimandi svelano legami a volte insospettabili tra musica classica, astrattismo contemporaneo e nuove tecnologie. Scrive Francesca Pergreffi: "Giulio Zanet conduce la sua produzione artistica attraverso un percorso basato sulla potenza delle immagini. Le immagini su cui si focalizza non sono immagini pre-esistenti, sono quelle che si generano autonomamente quando si lascia parlare l’elemento primario: la pittura. Per Zanet la pittura è il fulcro, e l’approccio spontaneo che ha con essa è lo stimolo originario che dal via alla sua pratica artistica. Egli è attratto dalla potenzialità e dalla libertà della pittura, le ricerca e le accoglie senza timore. Non si da delle costrizioni, si abbandona al caos dell’atto originario e da lì tenta, molto lentamente, di dare ordine alla composizione della tela. Il contatto con la tela è per lui di natura bipolare: egli riesce contemporaneamente a essere carnale e prorompente; e a compiere una sottrazione del gesto pittorico.
Per Zanet il colore è un elemento fondamentale poiché è materia informe che al tempo stesso disegna; esso, infatti, definisce uno spazio sulla tela creando delle linee di contorno che generano delle forme.
La composizione nelle sue opere diventa un gioco di ruoli, dove ogni elemento gioca per affinità o per contrasto con gli altri. Se si considera l’interesse di Zanet per l’ambiguità, la ripetizione, la variazione, l’accettazione, l’evidenza, e la negazione su cui si basa il suo procedimento rappresentativo, è chiaro il perché non sia interessato all’univocità del messaggio delle sue opere. Non se ne preoccupa, poiché ritiene che andrebbe a intaccare la prima vera comunicazione, ossia l’atto della visione e la molteplicità di letture che ne comporta da parte del fruitore.
Nel suo lavoro, Zanet, non ricerca un codice di decodificazione poiché è interessato alla libertà d’interpretazione. Del resto per lui la pittura è l’essenza del tutto e deve essere libera, come diceva Duchamp: “Ricordo che un professore di fisica diceva sempre che non si può definire l’elettricità. Non si può dire che cosa è ma si sa che cosa fa. Vale lo stesso per l’arte”."
Testi di Filippo Bergonzini, Tommaso Di Dio, Francesca Pergreffi
Per l'occasione verrà presentato il progetto inedito: "La reinveinzione del violoncello. Partiture classiche tra musica e immagine" che vede coinvolti gli artisti Mattia Cipolli, Giovanni Franzoi e Giulio Zanet, a cura di Francesca Pergreffi.
Tre artisti, un musicista, un pittore e un regista, dialogando tra di loro reinterpretano attraverso il suono e le immagini le partiture musicali di Domenico Gabrielli, Johann Sebastian Bach e Benjamin Britten.
Accogliendo e rileggendo le affinità e i legami esistenti tra passato e presente, danno vita a una partitura sonorovisiva che svela il concetto di declinazione della tradizione e di eredità storica e culturale.
Misurandosi con un genere, quello del violoncello solo, che Gabrielli trasformò nel tardo Seicento in un genere nuovo e fino ad allora impensabile, i tre artisti ripercorrono e rigenerano il filo rosso che riunisce i tre compositori: la letteratura per un violoncello solo. Un esempio straordinario di come si possano annullare secoli di distanza in virtù di un legame basato su reciproci riferimenti e affinità estetiche. Mentre un video di Franzoi reinterpreta, rimonta e proietta in loop le esecuzioni musicali del violoncello di Cipolli, una striscia di tele opera di Zanet propone una sorta di pentagramma in cui la musica scritta si fa immagine. Le citazioni e i rimandi svelano legami a volte insospettabili tra musica classica, astrattismo contemporaneo e nuove tecnologie. Scrive Francesca Pergreffi: "Giulio Zanet conduce la sua produzione artistica attraverso un percorso basato sulla potenza delle immagini. Le immagini su cui si focalizza non sono immagini pre-esistenti, sono quelle che si generano autonomamente quando si lascia parlare l’elemento primario: la pittura. Per Zanet la pittura è il fulcro, e l’approccio spontaneo che ha con essa è lo stimolo originario che dal via alla sua pratica artistica. Egli è attratto dalla potenzialità e dalla libertà della pittura, le ricerca e le accoglie senza timore. Non si da delle costrizioni, si abbandona al caos dell’atto originario e da lì tenta, molto lentamente, di dare ordine alla composizione della tela. Il contatto con la tela è per lui di natura bipolare: egli riesce contemporaneamente a essere carnale e prorompente; e a compiere una sottrazione del gesto pittorico.
Per Zanet il colore è un elemento fondamentale poiché è materia informe che al tempo stesso disegna; esso, infatti, definisce uno spazio sulla tela creando delle linee di contorno che generano delle forme.
La composizione nelle sue opere diventa un gioco di ruoli, dove ogni elemento gioca per affinità o per contrasto con gli altri. Se si considera l’interesse di Zanet per l’ambiguità, la ripetizione, la variazione, l’accettazione, l’evidenza, e la negazione su cui si basa il suo procedimento rappresentativo, è chiaro il perché non sia interessato all’univocità del messaggio delle sue opere. Non se ne preoccupa, poiché ritiene che andrebbe a intaccare la prima vera comunicazione, ossia l’atto della visione e la molteplicità di letture che ne comporta da parte del fruitore.
Nel suo lavoro, Zanet, non ricerca un codice di decodificazione poiché è interessato alla libertà d’interpretazione. Del resto per lui la pittura è l’essenza del tutto e deve essere libera, come diceva Duchamp: “Ricordo che un professore di fisica diceva sempre che non si può definire l’elettricità. Non si può dire che cosa è ma si sa che cosa fa. Vale lo stesso per l’arte”."
Testi di Filippo Bergonzini, Tommaso Di Dio, Francesca Pergreffi
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