Dall’8 novembre al 22 febbraio al Museo di Santa Giulia

A Brescia una mostra accoglie opere sopravvissute al bombardamento di una galleria d’arte a Gaza

Dina Mattar, The Peace, opera rimasta sotto le macerie di Gaza durante i bombardamenti del 2023
 

Samantha De Martin

21/10/2025

Brescia - C’è il patrimonio culturale palestinese e c’è la quotidianità di Gaza, concepita come luogo di affetti e memoria a rischio di scomparsa.
E poi un grande memoriale tessile, realizzato su una tenda per rifugiati che riporta, ricamati a mano, centinaia di nomi di villaggi palestinesi distrutti durante la Nakba, riaffermandone l’esistenza attraverso il gesto collettivo del ricamo.
Dall’8 novembre al 22 febbraio al Museo di Santa Giulia di Brescia la mostra Material for an exhibition. Storie, memorie e lotte dalla Palestina e dal Mediterraneo ospita opere sopravvissute al bombardamento e alla distruzione di Eltiqa Group for Contemporary Art, tra le prime gallerie d'arte contemporanea nella Striscia di Gaza.
Dal 2000 ha svolto un ruolo fondamentale nel sostenere gli artisti locali ed emergenti attraverso laboratori e mostre. Nel dicembre 2023 l’edificio che la ospitava è stato bombardato, ma il suo lascito continua a sopravvivere in esilio grazie al salvataggio, da parte del collettivo e di Mohammed Al-Hawajri e Dina Mattar, di alcune opere presenti negli spazi espositivi e nei magazzini e custodite tra gli Emirati di Sharjah e Dubai. Mohammed Al-Hawajri e Dina Mattar sono stati chiamati a partecipare all’ideale ricostituzione di questo spazio artistico assieme all’artista libanese Haig Aivazian e all’artista palestinese Leone d’oro a Venezia nel 2007 Emily Jacir.


Mohammed Al-Hawajri, Valley of the sheep, acrylic on canvas, 2018, 100 x 140 cm

Curata da Sara Alberani e promosso dal Comune di Brescia e dalla Fondazione Brescia Musei, il percorso, che riunisce opere di artisti provenienti da zone di conflitto, in particolare dalla regione mediorientale oggi segnata da divisioni e frammentazioni – da Gaza alla Cisgiordania fino al Libano - che hanno vissuto in prima persona la quotidianità della guerra e dell’esilio, è tra gli appuntamenti più attesi dell’ottava edizione del Festival della Pace. Immaginando che Eltiqa prenda nuova vita negli spazi del Museo di Santa Giulia, la Fondazione Brescia Musei ha offerto a Mohammed Al-Hawajri e Dina Mattar l’opportunità di trascorrere un periodo di residenza a Brescia per produrre nuove opere. Se il lavoro di Mohammed Al-Hawajri si distingue per una ricerca che intreccia memoria storica e vita quotidiana del suo popolo, con opere che raccontano l’esperienza dell’occupazione in Palestina, tra dolore e immaginazione, Dina Mattar descrive la vita a Gaza nella sua quotidiana resistenza, utilizzando la pittura come strumento di gioia e di lotta.
Figure femminili sono ritratte nella vita di tutti i giorni, legate alla memoria familiare e all’immaginario popolare palestinese. A Brescia l’artista libanese Haig Aivazian porta la sua ricerca basata su un linguaggio multimediale, che spazia tra immagini in movimento, scultura, installazione, disegno e performance. La sua installazione video All of the Lights (2021) ripercorre l’uso della luce e dell’oscurità come strumento poliziesco e di controllo.
L’artista internazionale Emily Jacir, tra le voci più significative dell'arte contemporanea palestinese, utilizza invece media diversi per indagare i movimenti personali e collettivi nello spazio e nel tempo.


Emily Jacir, Memorial to 418 Palestinian Villages Which Were Destroyed, Depopulated, and Occupied by Israel in 1948

Al Museo di Santa Giulia saranno presentate anche l’installazione Material for a Film, un lavoro composto da mille libri bianchi, ai quali l’artista ha sparato con una pistola, riproducendo il colpo d’arma da fuoco con cui il Mossad uccise il poeta palestinese Wael Zuaiter nel 1972 a Roma, perforando il libro Le mille e una notte che Zuaiter portava nel taschino, con l’intenzione di tradurlo in italiano. Il visitatore è invitato a diventare parte attiva della narrazione: ogni passo, nel corridoio di volumi, diventa un gesto di ricostruzione e di resistenza contro l’oblio.
A catturare l’attenzione saranno altre opere emblematiche di Emily Jacir, come We Ate the Wind (2023), esposta per la prima volta in Italia, un’installazione video che evoca la migrazione dei lavoratori dal Sud Italia verso la Svizzera. L’artista la pone in relazione con l’esilio palestinese attraverso riprese effettuate in Salento e in Palestina, spesso accomunate da una cultura mediterranea che vede nella musica e nel ballo espressioni di un senso di appartenenza.
Le opere in mostra, frutto di prestiti internazionali, sono il risultato di lavori realizzati in residenze e alcune riproduzioni di cui esistono solo reperti digitali, dal momento che gli originali sono andati distrutti.