Zanele Muholi / Ahlam Shibli / Mitra Tabrizian
Dal 21 Aprile 2013 al 23 Giugno 2013
Modena
Luogo: ex ospedale Sant’Agostino
Indirizzo: largo Porta Sant’Agostino 228
Orari: martedì 11-13/ 15-19; da mercoledì a venerdì 15-19; sabato, domenica e festivi 11-19
Curatori: Filippo Maggia, Claudia Fini, Francesca Lazzarini
Enti promotori:
- Fondazione Fotografia Modena
- Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
Costo del biglietto: € 5, gratuito il martedì
Telefono per informazioni: +39 059 239888
E-Mail info: info@mostre.fondazione-crmo.it
Sito ufficiale: http://www.fondazionefotografia.it/it/
Si inaugura sabato 20 aprile 2013, nelle sale espositive dell’ex ospedale Sant’Agostino di Modena, Three True Stories. La mostra, promossa da Fondazione Fotografia Modena e da Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e a cura di Filippo Maggia, Claudia Fini e Francesca Lazzarini, è dedicata a tre artiste di fama internazionale, che attraverso il video e la fotografia indagano su temi di forte impegno civile: Zanele Muholi (Sudafrica), Ahlam Shibli (Palestina) e Mitra Tabrizian (Iran/Inghilterra).
Il percorso si articola in tre narrazioni parallele che, partendo da questioni specifiche legate ai contesti d’origine delle artiste, affrontano temi universali come l’identità di genere, il diritto all’esistenza, l’esperienza dello sradicamento. Tre storie vere, che appartengono al nostro tempo, talvolta crude e dolorose, sulle quali tuttavia non è possibile chiudere gli occhi.
Nata a Durban nel 1972, Zanele Muholi si definisce un’attivista visuale ed è strenuamente impegnata nella difesa della comunità LGBTI (lesbica, gay, bisessuale, transessuale e intersessuale) africana. Ha lavorato come fotografa e reporter per il magazine specializzato in tematiche LGBTI Behind the Mask e nel 2002 ha fondato un’organizzazione che offre protezione e luoghi d’incontro alle lesbiche africane. Ha documentato i crimini contro la comunità gay, portando alla luce il fenomeno degli “stupri correttivi” praticati come “cura” dell’omosessualità, tacitamente accettati dalla maggior parte della popolazione e giustificati ai fini di una rieducazione alla normalità. Nell’aprile del 2012 ignoti si sono introdotti nel suo appartamento e il materiale fotografico che documentava le ricerche di una vita è stato rubato: sull’episodio grava il sospetto che non si sia trattato di una semplice rapina, ma di una intimidazione nei confronti dell’artista e del suo lavoro. I crimini e le violenze contro le donne lesbiche sono al centro delle opere che saranno esposte a Modena, per la quale Muholi ha selezionato fotografie dalle recenti serie Faces and Phases (2010), Crime Scene (2012) e il video del 2010 Difficult Love (47’).
Ahlam Shibli è nata in Palestina, vive e lavora ad Haifa. Indaga artisticamente le implicazioni umane, sociali e simboliche del conflitto arabo-israeliano. La sua serie fotografica più recente, Death (2001-2012), è composta da circa settanta immagini scattate in luoghi pubblici e in abitazioni private, accomunate dalla presenza costante di ritratti, scritti, poster che commemorano persone cadute nella lotta contro il regime di occupazione. Attraverso un approccio documentario, la serie rivela le condizioni di vita, materiali ed esistenziali, del popolo palestinese e il suo particolare e necessario rapporto con la morte. Shibli mostra come la proliferazione ossessiva delle immagini commemorative sia in grado di mantenere in vita i defunti, seppur ridotti ad una rappresentazione fantasmagorica dei corpi e dei volti, e di plasmare ideologicamente sia la sfera pubblica, sia quella domestica.
Nata a Teheran, in Iran, Mitra Tabrizian vive e lavora a Londra. Le sue fotografie in mostra a Modena sono tratte dalla serie Another Country (2010) e indagano il tema dell’identità culturale. Sebbene mettano in scena situazioni immediatamente riconducibili al mondo islamico, rivelano in alcuni dettagli di esser state realizzate in ambienti inglesi. Questo scarto visivo è metafora del senso di sradicamento percepito da chi, esiliato, vive a cavallo tra due culture. Di fronte alla scelta se abbracciare o respingere la cultura occidentale, le comunità ritratte da Tabrizian sembrano essersi richiuse nelle proprie tradizioni, forse nell’illusione di poter mantenere intatta la loro identità, o semplicemente per poter sopravvivere, mettendo in atto una strategia quotidiana di resistenza, non priva di contraddizioni. La serie, così come il film del 2004 The Predator (26’), propone inoltre una riflessione sul concetto di Islam e sugli stereotipi occidentali a esso collegati. Le fotografie panoramiche Tehran e Untitled, realmente realizzate in Iran, sollevano infine riflessioni sull’Iran contemporaneo, relative a temi quali l’esilio, il controllo sociale, la costruzione del futuro.
La mostra è accompagnata da catalogo, corredato di tutte le immagini delle opere in mostra e di alcuni testi critici di approfondimento sul lavoro delle artiste.
Il percorso si articola in tre narrazioni parallele che, partendo da questioni specifiche legate ai contesti d’origine delle artiste, affrontano temi universali come l’identità di genere, il diritto all’esistenza, l’esperienza dello sradicamento. Tre storie vere, che appartengono al nostro tempo, talvolta crude e dolorose, sulle quali tuttavia non è possibile chiudere gli occhi.
Nata a Durban nel 1972, Zanele Muholi si definisce un’attivista visuale ed è strenuamente impegnata nella difesa della comunità LGBTI (lesbica, gay, bisessuale, transessuale e intersessuale) africana. Ha lavorato come fotografa e reporter per il magazine specializzato in tematiche LGBTI Behind the Mask e nel 2002 ha fondato un’organizzazione che offre protezione e luoghi d’incontro alle lesbiche africane. Ha documentato i crimini contro la comunità gay, portando alla luce il fenomeno degli “stupri correttivi” praticati come “cura” dell’omosessualità, tacitamente accettati dalla maggior parte della popolazione e giustificati ai fini di una rieducazione alla normalità. Nell’aprile del 2012 ignoti si sono introdotti nel suo appartamento e il materiale fotografico che documentava le ricerche di una vita è stato rubato: sull’episodio grava il sospetto che non si sia trattato di una semplice rapina, ma di una intimidazione nei confronti dell’artista e del suo lavoro. I crimini e le violenze contro le donne lesbiche sono al centro delle opere che saranno esposte a Modena, per la quale Muholi ha selezionato fotografie dalle recenti serie Faces and Phases (2010), Crime Scene (2012) e il video del 2010 Difficult Love (47’).
Ahlam Shibli è nata in Palestina, vive e lavora ad Haifa. Indaga artisticamente le implicazioni umane, sociali e simboliche del conflitto arabo-israeliano. La sua serie fotografica più recente, Death (2001-2012), è composta da circa settanta immagini scattate in luoghi pubblici e in abitazioni private, accomunate dalla presenza costante di ritratti, scritti, poster che commemorano persone cadute nella lotta contro il regime di occupazione. Attraverso un approccio documentario, la serie rivela le condizioni di vita, materiali ed esistenziali, del popolo palestinese e il suo particolare e necessario rapporto con la morte. Shibli mostra come la proliferazione ossessiva delle immagini commemorative sia in grado di mantenere in vita i defunti, seppur ridotti ad una rappresentazione fantasmagorica dei corpi e dei volti, e di plasmare ideologicamente sia la sfera pubblica, sia quella domestica.
Nata a Teheran, in Iran, Mitra Tabrizian vive e lavora a Londra. Le sue fotografie in mostra a Modena sono tratte dalla serie Another Country (2010) e indagano il tema dell’identità culturale. Sebbene mettano in scena situazioni immediatamente riconducibili al mondo islamico, rivelano in alcuni dettagli di esser state realizzate in ambienti inglesi. Questo scarto visivo è metafora del senso di sradicamento percepito da chi, esiliato, vive a cavallo tra due culture. Di fronte alla scelta se abbracciare o respingere la cultura occidentale, le comunità ritratte da Tabrizian sembrano essersi richiuse nelle proprie tradizioni, forse nell’illusione di poter mantenere intatta la loro identità, o semplicemente per poter sopravvivere, mettendo in atto una strategia quotidiana di resistenza, non priva di contraddizioni. La serie, così come il film del 2004 The Predator (26’), propone inoltre una riflessione sul concetto di Islam e sugli stereotipi occidentali a esso collegati. Le fotografie panoramiche Tehran e Untitled, realmente realizzate in Iran, sollevano infine riflessioni sull’Iran contemporaneo, relative a temi quali l’esilio, il controllo sociale, la costruzione del futuro.
La mostra è accompagnata da catalogo, corredato di tutte le immagini delle opere in mostra e di alcuni testi critici di approfondimento sul lavoro delle artiste.
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