Rapiti alla morte. I calchi - le fotografie
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Rapiti alla morte. I calchi - le fotografie, Pompei
Dal 25 Maggio 2015 al 10 Gennaio 2016
Pompei | Napoli
Luogo: Anfiteatro di Pompei
Indirizzo: via Plinio
Curatori: Annunziata Felice
Enti promotori:
- MiBACT
- Soprintendenza Speciale per Pompei Ercolano e Stabia
Telefono per informazioni: +39 081 8575111
E-Mail info: pompei.info@beniculturali.it
Sito ufficiale: http://www.pompeiisites.org
Pompei sbalordisce e impressiona. Per i suoi monumentali resti, traccia di un lontano passato ancora tangibile grazie a quelle antiche vestigia che hanno resistito alla forza del tempo. Per la bellezza dei suoi tratti e la semplicità di alcuni suoi resti, quelli più comuni e minuti segno dell’uomo mortale. E proprio legati a quest’ultimo, rimangono, forse a giusta ragione, alcuni dei resti più emozionanti al mondo perché trasmettono il racconto di un momento, l’ultimo e fatale, di coloro che non riuscirono a sfuggire all’eruzione, che gli rapì l’ultimo respiro.
Pompei ha da oggi, e fino al 10 gennaio 2016, un altro motivo per stupire: la mostra allestita all’interno dell’anfiteatro “Rapiti alla morte” sezione di “Pompei e l’Europa”, prevede l’esposizione di 20 calchi delle vittime dell’eruzione, appositamente restaurati e mai esposti al pubblico, collocati in una struttura piramidale lignea realizzata dall’architetto irpino Francesco Venezia.
L’Italia aveva trovato la sua unità da pochi anni quando Giuseppe Fiorelli, ispettore degli scavi dal 1860 e poi soprintendente dal 1863, escogitò un metodo utilizzato prima di allora solo per riportare alla luce gli elementi lignei relativi alle porte delle abitazioni, che prevedeva di recuperare la forma di quei “corpi vegetali ed animali che dopo essere caduti in polvere, hanno lasciato l’impronta nelle ceneri stesse”. Così scriveva l’archeologo Heinrich Brunn nel suo resoconto del viaggio a Pompei riguardo la scoperta di Fiorelli per “rapire alla morte” gli uomini e le donne di Pompei.
Oggi, si entra nel colossale anfiteatro pompeiano e dopo il buio della galleria, la luce dell’arena dove è collocata la piramide colpisce d’un tratto. La costruzione è imponente, collocata al centro dell’arena, attraverso una passerella lignea si entra all’interno, dove alle linee geometriche dell’esterno si alternano curve che svettano verso l’alto. Sospesi nel buio del suolo, su sostegni metallici, ci sono loro, uomini, donne e bambini, fermi così, immobili da duemila anni. Ancora si vedono le tracce delle vesti, i gesti inutili di porre riparo al sopraggiungere della morte, gli estremi abbracci. I calchi di Pompei emozionano, sono (erano) persone a cui è ancora giusto donare un pensiero per la tragica scomparsa.
Intorno immagini di Pompei, in bianco e nero, in frammenti, ricostruzioni di affreschi, monumenti, scorci rinvenuti nei secoli e in una parete un’altra esposizione che accompagna la mostra dei calchi “La fotografia” curata da Massimo Osanna, Ernesto De Carolis e Grete Stefani. Una selezione di scatti e immagini tra cui molte inedite che testimoniano il progresso degli scavi tra Ottocento e Novecento. L’esposizione è chiaramente un contributo visivo e documentario nuovo e di straordinario valore che concorre a ricostruire la fortune e lo sviluppo del celebre sito archeologico.
L’inaugurazione è avvenuta alla presenza del Ministro Franceschini, che non si è negato un scatto dall’alto dell’anfiteatro, del Soprintendente Massimo Osanna, del Generale Nistri, e dell’architetto Francesco Venezia. Il Soprintendente ha spiegato le ragioni di una struttura piramidale per ospitare i calchi “la piramide è il simbolo della riscoperta di Pompei, uno dei primi luoghi scoperti fu proprio l’Iseion che contribuì a far scatenare l’egittomania in Europa, per questo abbiamo voluto rievocare il gusto per l’Egitto nel ‘700. Inoltre la piramide è una tomba monumentale destinata a protrarsi nel tempo per sfidare l’eternità, abbiamo voluto dare una degna collocazione ai calchi che fino ad ora non erano sempre in condizioni degne ed adeguate. Alle spalle c’è un lavoro di diagnostica, analisi e conoscenza per restituire dignità ai resti delle vittime dell’eruzione del ’79 d.C. Del resto già Fiorelli nel 1863 disse “adesso l’archeologia non si studierà solo sulle sculture di bronzo e marmo ma anche sui resti degli antichi pompeiani rapiti alla morte”.
Pompei ha da oggi, e fino al 10 gennaio 2016, un altro motivo per stupire: la mostra allestita all’interno dell’anfiteatro “Rapiti alla morte” sezione di “Pompei e l’Europa”, prevede l’esposizione di 20 calchi delle vittime dell’eruzione, appositamente restaurati e mai esposti al pubblico, collocati in una struttura piramidale lignea realizzata dall’architetto irpino Francesco Venezia.
L’Italia aveva trovato la sua unità da pochi anni quando Giuseppe Fiorelli, ispettore degli scavi dal 1860 e poi soprintendente dal 1863, escogitò un metodo utilizzato prima di allora solo per riportare alla luce gli elementi lignei relativi alle porte delle abitazioni, che prevedeva di recuperare la forma di quei “corpi vegetali ed animali che dopo essere caduti in polvere, hanno lasciato l’impronta nelle ceneri stesse”. Così scriveva l’archeologo Heinrich Brunn nel suo resoconto del viaggio a Pompei riguardo la scoperta di Fiorelli per “rapire alla morte” gli uomini e le donne di Pompei.
Oggi, si entra nel colossale anfiteatro pompeiano e dopo il buio della galleria, la luce dell’arena dove è collocata la piramide colpisce d’un tratto. La costruzione è imponente, collocata al centro dell’arena, attraverso una passerella lignea si entra all’interno, dove alle linee geometriche dell’esterno si alternano curve che svettano verso l’alto. Sospesi nel buio del suolo, su sostegni metallici, ci sono loro, uomini, donne e bambini, fermi così, immobili da duemila anni. Ancora si vedono le tracce delle vesti, i gesti inutili di porre riparo al sopraggiungere della morte, gli estremi abbracci. I calchi di Pompei emozionano, sono (erano) persone a cui è ancora giusto donare un pensiero per la tragica scomparsa.
Intorno immagini di Pompei, in bianco e nero, in frammenti, ricostruzioni di affreschi, monumenti, scorci rinvenuti nei secoli e in una parete un’altra esposizione che accompagna la mostra dei calchi “La fotografia” curata da Massimo Osanna, Ernesto De Carolis e Grete Stefani. Una selezione di scatti e immagini tra cui molte inedite che testimoniano il progresso degli scavi tra Ottocento e Novecento. L’esposizione è chiaramente un contributo visivo e documentario nuovo e di straordinario valore che concorre a ricostruire la fortune e lo sviluppo del celebre sito archeologico.
L’inaugurazione è avvenuta alla presenza del Ministro Franceschini, che non si è negato un scatto dall’alto dell’anfiteatro, del Soprintendente Massimo Osanna, del Generale Nistri, e dell’architetto Francesco Venezia. Il Soprintendente ha spiegato le ragioni di una struttura piramidale per ospitare i calchi “la piramide è il simbolo della riscoperta di Pompei, uno dei primi luoghi scoperti fu proprio l’Iseion che contribuì a far scatenare l’egittomania in Europa, per questo abbiamo voluto rievocare il gusto per l’Egitto nel ‘700. Inoltre la piramide è una tomba monumentale destinata a protrarsi nel tempo per sfidare l’eternità, abbiamo voluto dare una degna collocazione ai calchi che fino ad ora non erano sempre in condizioni degne ed adeguate. Alle spalle c’è un lavoro di diagnostica, analisi e conoscenza per restituire dignità ai resti delle vittime dell’eruzione del ’79 d.C. Del resto già Fiorelli nel 1863 disse “adesso l’archeologia non si studierà solo sulle sculture di bronzo e marmo ma anche sui resti degli antichi pompeiani rapiti alla morte”.
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