Ryan Mendoza. The Golden Calf
Dal 31 Luglio 2022 al 26 Settembre 2022
Palermo
Luogo: Palazzo Reale
Indirizzo: Piazza del Parlamento 1
Curatori: Fondazione Federico II
Enti promotori:
- Col patrocinio del Ministero della Cultura
Dal culto dei falsi idoli, simboleggiati dal vitello d’oro, ai pipistrelli che sembrano richiamare le inquietudini della società: dopo tre anni di lavoro ecco la mostra quasi interamente site specific voluta dalla Fondazione Federico II diffusa tra stanze, cortili e giardini del Palazzo Reale. Pitture, sculture, installazioni, persino un grande polittico e una proiezione.
Un’arte irrequieta dinanzi ai rassegnati, indifferenti, predicatori di virtù e fedeli consumatori di verità onnicomprensive. Da Palazzo Reale giunge l’urlo silente ma potente di Ryan Mendoza.
“Look at this mess”, si legge in un’opera: guarda il “pasticcio”, affronta il “disordine” del mondo che ci circonda. Come in un esercizio di “defusione cognitiva”, l’artista invita ad espandere il proprio sguardo e affrontare la realtà come spazio della possibilità contro il pensiero emergente del nostro tempo che tende a “restringere”: non chiudere gli occhi di fronte alle ambiguità della società di oggi perché non c’è più tempo: tic tac tic tac, un countdown assordante incalza tutti noi.
Un disordine e un’ambiguità che tormentano l’artista statunitense-cittadino del mondo, che ha conquistato spazio e autorevolezza a livello globale sui diritti umani e sul piano della critica attraverso la vocazione visiva strettamente connessa con la tendenza alla denuncia, cifra peculiare della sua ricerca.
Mendoza svela i paradossi del nostro tempo ed elabora una riflessione critico-artistica sugli scenari in cui ci muoviamo.
“The Golden Calf” - questo il titolo della mostra - è stata presentata questa mattina alla stampa e sarà visitabile al pubblico da domani 31 luglio fino al 26 settembre 2022 a Palazzo Reale. Era presente lo stesso Ryan Mendoza, un passato tra New York, Berlino e Napoli, che per tre anni ha lavorato dai piedi dell’Etna sempre in contatto con la Fondazione Federico II a Palermo.
Curata dalla Fondazione Federico II col patrocinio del Ministero della Cultura, il percorso di costruzione della mostra ha visto la preziosa e costante collaborazione della Fondazione Brodbeck. La Fondazione Morra Greco ha gentilmente prestato alcune opere.
La mostra è il risultato autentico di un percorso concettuale. Un gigantesco lavoro dal concept forte e pregno di rimandi alla tradizione e alla contemporaneità, quasi interamente site specific, ideati per la Fondazione Federico II e per Palazzo Reale, un tempo dimora del sovrano.
Oltre all’artista, erano presenti Gianfranco Miccichè, presidente della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II, Cristina Costanzo, docente di storia dell’arte contemporanea dell’Università di Palermo, Paola Nicita, docente dell’Accademia di Belle Arti di Palermo e Gianluca Collica (per la Fondazione Brodbeck). Da Napoli si è collegato Paolo Giulierini, direttore del Mann.
“Ho accettato - ha detto Ryan Mendoza - la sfida di una mostra contemporanea, in un luogo con quasi mille anni di storia, in piena pandemia. Ho creato una montagna di peluche e voli di pipistrelli, metafora di una società spenta e soggiogata, idoli davanti ai quali prostrarci, noi tribù in cerca di una guida in grado di riattivare la capacità di percepire e di intercettare
valori perduti. Nei dipinti la decapitazione mi appare a posteriori: gli uomini e le donne li ritrovo così, come dei busti che galleggiano fluttuanti e senza radici. Questa mostra mi evoca il tradimento, il tradimento alla natura, il tradimento tra esseri umani, il tradimento universale. La Fondazione Federico II ha stretto una collaborazione con gli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Catania, che ringrazio perché con loro abbiamo realizzato la grande opera Stuffed Animals”.
“ll complesso percorso di valorizzazione culturale e storico-artistico che abbiamo intrapreso – ha detto Gianfranco Miccichè, presidente della Fondazione Federico II - raggiunge con la mostra di Ryan Mendoza la tappa più coraggiosa del cammino di Palazzo Reale verso tematiche dal respiro internazionale. Questo Palazzo è della città e del mondo. Così la mostra diffusa The Golden Calf pone l’attenzione dei fruitori su elementi apparentemente inusuali in una residenza reale tra le più antiche d’Europa. Una costruzione culturale-espositiva che segna l’immortalità e la continuità dell’arte dal passato fino ai nostri giorni, a dimostrazione che a Palazzo Reale esiste un solo grande percorso di aperture prospettiche che da sempre accoglie i sentimenti e l’espressività molteplici degli uomini e degli artisti”.
“È come se Ryan Mendoza nelle sue opere cercasse continuamente qualcosa – afferma Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II -. Forse si tratta di un incessante cammino che trova la sua energia nella doppia scommessa di verità e libertà. Non certo di una verità determinata a priori. Ma la verità del significato originario, che non tollera i falsi predicatori di virtù. Io credo che per la Fondazione Federico II sia doveroso provare a spingersi oltre: aprire il palazzo e aprirlo alla contemporaneità non è uno slogan, è un fatto avvenuto in questi anni che si ripete e si evolve nel tempo. Va in questa direzione il lavoro svolto per tre anni al fianco di un artista singolare come Ryan che pesca nella tradizione ma agisce nella contemporaneità con coraggio e innovazione”.
Quasi tutte le opere sono state espressamente realizzate da Mendoza per questo evento espositivo, lavorando a lungo alle pitture, alle sculture in ceramica e ad altre in mixed media, concepite come parole di un puzzle lessicale.
Ryan Mendoza realizza opere ibride e multiformi e genera volutamente progetti effimeri ma eterni come nel caso di The Golden Calf.
In un’epoca in cui ci fondiamo in modo ossessivo coi nostri pensieri - che finiscono per coincidere con la propria identità provocando ambiguità su reale e irreale o giusto e sbagliato - l’artista prova fino all’aberrazione a ricreare un nuovo canale di comunicazione del tutto vergine. È su questa frequenza che vuole dialogare.
Un’elaborazione artistica che prima di diventare una mostra ha cambiato pelle in corso d’opera, ha vissuto traumi e crisi profonde, alternati a slanci creativi e spirito collettivo. Rimane poco del progetto iniziale e questo rappresenta una peculiarità intrinseca diventato il valore aggiunto. Anche Federico II, visionario ma scomodo e tormentato, probabilmente avrebbe apprezzato questo sguardo crudo e aperto sul mondo.
La Fondazione Federico II ha voluto una mostra diffusa in diversi spazi del Palazzo, all’esterno del Palazzo e persino lontano dalla Sicilia. Una mostra che abbraccia diversi linguaggi dell’arte: dal video alla scultura per finire con la pittura, che domina la scena. Quasi un percorso alla ricerca di identità. Dalle stanze, dal giardino, dal cortile di Palazzo Reale le opere di Ryan Mendoza cercano verità senza mai arretrare per compiacere il pubblico.
In un delirio organizzato, Mendoza frantuma ogni staticità di significato per far sì che la vera trama sia la non trama e l’anti-narrazione. Un indizio, tuttavia, si coglie nel titolo della mostra (Il Vitello d’Oro) che evoca un immaginario in grado di spaziare dall’arte alla religione e coniugare temi dell’iconografia tradizionale con il disagio quotidiano dei nostri tempi.
Il “Vitulus Aureus” compare, infatti, nella Bibbia (Esodo 32) quando sul Monte Sinai, in attesa del ritorno di Mosè, Aronne fece fondere un vitello d’oro e vi costruì davanti un altare per soddisfare il bisogno di adorare un idolo.
L’artista associa il vitello d’oro al culto per i beni materiali e i falsi idoli (e rende probabilmente omaggio alla figura di Federico II, come guida per i nostri tempi incerti).
Pitture. Al piano nobile le pitture di Mendoza che si alimentano di visioni solo apparentemente inconciliabili come la cultura pop americana e la tradizione barocca europea, rilette alla luce del presente. È espressione di quel ritorno a un linguaggio che sembrava ormai obsoleto ma riesce invece a reinventare il quotidiano attraverso temi in cui si rispecchiano le ossessioni contemporanee. L’immaginario dell’artista è costellato di presenze epifaniche come ritratti di persone e animali, talmente vivi da far idealmente percepire il battito cardiaco.
Nelle opere di Ryan Mendoza la colatura del colore, che rimanda al dripping e ai graffiti, crea uno squarcio sulla superficie pittorica invitata a spogliarsi della propria illusorietà. Analogamente la pittura e la scrittura che si intersecano e si reiventano reciprocamente ricorrono all’ambiguità come ipotesi ulteriore di conoscenza e colgono il senso nascosto degli avvenimenti a noi più vicini con la consapevolezza della finitezza del nostro tempo e
scevri da miti, rituali e stereotipi. Immagine e parole si fondono ma non è del tutto scontato se sia l’immagine a nascondere la parola o è il contrario.
L’invasione artistica prosegue anche fuori dal Palazzo per debellare sul nascere l’idea di un allestimento che si traduca in un sistema chiuso, grazie alla proficua collaborazione col Mann (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), col Mausoleo di Cecilia Metella, Castrum Caetani (Parco Archeologico dell’Appia Antica) a Roma e col Sistema Museale dell’Università di Palermo (Palazzo Chiaramonte Steri e Orto Botanico). In questi luoghi si trovano dei Pipistrelli, in posizione di riposo, alla ricerca dell’habitat naturale.
Il Polittico. La sintesi del messaggio artistico-pittorico di Mendoza si condensa nel sensazionale Polittico collocato nella Sala dei Viceré che si compone di nove elementi e in cui si combinano i riferimenti complessi cui alludono gli animali - tanto come enigmi solitari (Fawn; Deer; The Golden Calf) quanto nell’eloquente abbraccio di Cover me in a coat of paint - ma anche le presenze umane come nel caso dell’abbraccio, questa volta in chiave sensuale, di Fabia with her love. E, ancora, è particolarmente intenso l’alternarsi di volti femminili (Think of All the Good Things; Girl with hair in front of face; Lara eyes closed; One last time) che si offrono e al contempo si sottraggono allo sguardo del fruitore in un continuo rimando alle possibili contaminazioni con l’altro.
Diaframmi. Ad una serie di opere vivide e colorate dal titolo Abstract spetta un’attenzione speciale. Questi lavori, realizzati su vetro, sono collocati nel percorso espositivo come veri e propri diaframmi. Sembrerebbe che l’artista in questi “pattern” faccia intravedere diversi segni che in modo subliminale ricordano il “respiro” della Cappella Palatina, più volte ammirata da Mendoza durante i sopralluoghi, come a voler creare una memoria sottotraccia ed un tutt’uno opere-mostra, mostra-Palazzo, opere-mostra-Palazzo.
Queste opere al contempo assumono la funzione di scandire lo spazio tra le altre opere e quindi di accompagnarne la visione mai passiva. Lo sfondo di uno degli Abstract rimanda esplicitamente, infatti, a quello di uno dei quadri.
Passaggio ulteriore in questo itinerario espositivo è la centralità dell’opera plastica di Ryan Mendoza. Dotata di spiccata energia, la sua ricerca sul fronte scultoreo e installativo rivela con grande forza la natura voluta mente ambigua della produzione dell’artista
Animali di peluche. “Stuffed animals” è un’installazione imponente, realizzata parzialmente in ceramica e data dall’accumulo di diversi peluche ammassati, giochi infantili che alludono alla compulsione diffusa tra gli adulti a circondarsi di oggetti. Compare nuovamente il mondo infantile, evocato dai peluche come immediata metafora della libera creatività. Riappare lo stato d’animo di un bambino a cui è stato sottratto l’accesso ai suoi giocattoli ossia alla propria creatività, alla pura libertà di comporre i molteplici significati del proprio mondo.
Il cumulo di giocattoli in mostra è il cumulo delle nostre libertà sottratte, di cui dobbiamo riappropriarci per tentare di risolvere il rapporto ambiguo e contorto tra noi e il
mondo. Per dare respiro alle esistenze. Per via dell’uso straziante del monocromo che confonde le iconografie a noi note questi singoli peluche tacciono in modo struggente e desolante se osservati singolarmente mentre invece risuonano all’unisono nel loro potentissimo insieme e nella scelta di collocare Stuffed animals nel cortile Maqueda di Palazzo Reale.
Pipistrelli. Ai Giardini di Palazzo Reale e in questi luoghi chiave sparsi per l’Italia(Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Mausoleo di Cecilia Metella, Castrum Caetani (Parco Archeologico dell’Appia Antica a Roma e Sistema Museale dell’Università di Palermo, Palazzo Chiaramonte Steri e Orto Botanico), trovano collocazione altrettanti “Bats”, in una versione inedita e irrepetibile ideata per la Fondazione Federico II. I pipistrelli, nella loro posizione di riposo, sembrano alla ricerca dell’habitat naturale. Una disseminazione culturale oltre che fisica. Questi “antieroi” per Mendoza includono la moltitudine degli emarginati e dei più deboli. Bellezza e bruttezza divengono quasi criteri politici e sociali. Dietro quella forma che i più da sempre guardano con ritrosia, per l’artista c’è probabilmente il corpo delle inquietudini e dei conflitti della società.
The Golden Calf di Ryan Mendoza è un progetto realizzato dalla Fondazione Federico II, diretta da Patrizia Monterosso in collaborazione con Gianluca Collica (Fondazione Brodbeck) e Paola Nicita. Prezioso l’apporto di Paolo Giulierini, Paolo Inglese, Simone Quilici, Stefano Roascio, Ilaria Sgarbozza, Antonio Portale e l’Accademia di Belle Arti di Catania che ha lavorato a fianco dell’artista per l’opera “Stuffed Animals”.
Il catalogo della mostra (238 pagine) contiene i contributi di Gianfranco Miccichè, Patrizia Monterosso, Alberto Fiz, Cristina Costanzo, Angelica Freddi e Paola Nicita.
Ryan Mendoza (New York, 1971) è un artista americano di grande notorietà. Ha vissuto tra Berlino e Napoli. Oggi vive in Sicilia ai piedi dell’Etna. Le sue opere sono state esposte in gallerie di tutto il mondo: da Milano a Londra, da Parigi a Tokyo.
Un’arte irrequieta dinanzi ai rassegnati, indifferenti, predicatori di virtù e fedeli consumatori di verità onnicomprensive. Da Palazzo Reale giunge l’urlo silente ma potente di Ryan Mendoza.
“Look at this mess”, si legge in un’opera: guarda il “pasticcio”, affronta il “disordine” del mondo che ci circonda. Come in un esercizio di “defusione cognitiva”, l’artista invita ad espandere il proprio sguardo e affrontare la realtà come spazio della possibilità contro il pensiero emergente del nostro tempo che tende a “restringere”: non chiudere gli occhi di fronte alle ambiguità della società di oggi perché non c’è più tempo: tic tac tic tac, un countdown assordante incalza tutti noi.
Un disordine e un’ambiguità che tormentano l’artista statunitense-cittadino del mondo, che ha conquistato spazio e autorevolezza a livello globale sui diritti umani e sul piano della critica attraverso la vocazione visiva strettamente connessa con la tendenza alla denuncia, cifra peculiare della sua ricerca.
Mendoza svela i paradossi del nostro tempo ed elabora una riflessione critico-artistica sugli scenari in cui ci muoviamo.
“The Golden Calf” - questo il titolo della mostra - è stata presentata questa mattina alla stampa e sarà visitabile al pubblico da domani 31 luglio fino al 26 settembre 2022 a Palazzo Reale. Era presente lo stesso Ryan Mendoza, un passato tra New York, Berlino e Napoli, che per tre anni ha lavorato dai piedi dell’Etna sempre in contatto con la Fondazione Federico II a Palermo.
Curata dalla Fondazione Federico II col patrocinio del Ministero della Cultura, il percorso di costruzione della mostra ha visto la preziosa e costante collaborazione della Fondazione Brodbeck. La Fondazione Morra Greco ha gentilmente prestato alcune opere.
La mostra è il risultato autentico di un percorso concettuale. Un gigantesco lavoro dal concept forte e pregno di rimandi alla tradizione e alla contemporaneità, quasi interamente site specific, ideati per la Fondazione Federico II e per Palazzo Reale, un tempo dimora del sovrano.
Oltre all’artista, erano presenti Gianfranco Miccichè, presidente della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II, Cristina Costanzo, docente di storia dell’arte contemporanea dell’Università di Palermo, Paola Nicita, docente dell’Accademia di Belle Arti di Palermo e Gianluca Collica (per la Fondazione Brodbeck). Da Napoli si è collegato Paolo Giulierini, direttore del Mann.
“Ho accettato - ha detto Ryan Mendoza - la sfida di una mostra contemporanea, in un luogo con quasi mille anni di storia, in piena pandemia. Ho creato una montagna di peluche e voli di pipistrelli, metafora di una società spenta e soggiogata, idoli davanti ai quali prostrarci, noi tribù in cerca di una guida in grado di riattivare la capacità di percepire e di intercettare
valori perduti. Nei dipinti la decapitazione mi appare a posteriori: gli uomini e le donne li ritrovo così, come dei busti che galleggiano fluttuanti e senza radici. Questa mostra mi evoca il tradimento, il tradimento alla natura, il tradimento tra esseri umani, il tradimento universale. La Fondazione Federico II ha stretto una collaborazione con gli allievi dell’Accademia di Belle Arti di Catania, che ringrazio perché con loro abbiamo realizzato la grande opera Stuffed Animals”.
“ll complesso percorso di valorizzazione culturale e storico-artistico che abbiamo intrapreso – ha detto Gianfranco Miccichè, presidente della Fondazione Federico II - raggiunge con la mostra di Ryan Mendoza la tappa più coraggiosa del cammino di Palazzo Reale verso tematiche dal respiro internazionale. Questo Palazzo è della città e del mondo. Così la mostra diffusa The Golden Calf pone l’attenzione dei fruitori su elementi apparentemente inusuali in una residenza reale tra le più antiche d’Europa. Una costruzione culturale-espositiva che segna l’immortalità e la continuità dell’arte dal passato fino ai nostri giorni, a dimostrazione che a Palazzo Reale esiste un solo grande percorso di aperture prospettiche che da sempre accoglie i sentimenti e l’espressività molteplici degli uomini e degli artisti”.
“È come se Ryan Mendoza nelle sue opere cercasse continuamente qualcosa – afferma Patrizia Monterosso, direttore generale della Fondazione Federico II -. Forse si tratta di un incessante cammino che trova la sua energia nella doppia scommessa di verità e libertà. Non certo di una verità determinata a priori. Ma la verità del significato originario, che non tollera i falsi predicatori di virtù. Io credo che per la Fondazione Federico II sia doveroso provare a spingersi oltre: aprire il palazzo e aprirlo alla contemporaneità non è uno slogan, è un fatto avvenuto in questi anni che si ripete e si evolve nel tempo. Va in questa direzione il lavoro svolto per tre anni al fianco di un artista singolare come Ryan che pesca nella tradizione ma agisce nella contemporaneità con coraggio e innovazione”.
Quasi tutte le opere sono state espressamente realizzate da Mendoza per questo evento espositivo, lavorando a lungo alle pitture, alle sculture in ceramica e ad altre in mixed media, concepite come parole di un puzzle lessicale.
Ryan Mendoza realizza opere ibride e multiformi e genera volutamente progetti effimeri ma eterni come nel caso di The Golden Calf.
In un’epoca in cui ci fondiamo in modo ossessivo coi nostri pensieri - che finiscono per coincidere con la propria identità provocando ambiguità su reale e irreale o giusto e sbagliato - l’artista prova fino all’aberrazione a ricreare un nuovo canale di comunicazione del tutto vergine. È su questa frequenza che vuole dialogare.
Un’elaborazione artistica che prima di diventare una mostra ha cambiato pelle in corso d’opera, ha vissuto traumi e crisi profonde, alternati a slanci creativi e spirito collettivo. Rimane poco del progetto iniziale e questo rappresenta una peculiarità intrinseca diventato il valore aggiunto. Anche Federico II, visionario ma scomodo e tormentato, probabilmente avrebbe apprezzato questo sguardo crudo e aperto sul mondo.
La Fondazione Federico II ha voluto una mostra diffusa in diversi spazi del Palazzo, all’esterno del Palazzo e persino lontano dalla Sicilia. Una mostra che abbraccia diversi linguaggi dell’arte: dal video alla scultura per finire con la pittura, che domina la scena. Quasi un percorso alla ricerca di identità. Dalle stanze, dal giardino, dal cortile di Palazzo Reale le opere di Ryan Mendoza cercano verità senza mai arretrare per compiacere il pubblico.
In un delirio organizzato, Mendoza frantuma ogni staticità di significato per far sì che la vera trama sia la non trama e l’anti-narrazione. Un indizio, tuttavia, si coglie nel titolo della mostra (Il Vitello d’Oro) che evoca un immaginario in grado di spaziare dall’arte alla religione e coniugare temi dell’iconografia tradizionale con il disagio quotidiano dei nostri tempi.
Il “Vitulus Aureus” compare, infatti, nella Bibbia (Esodo 32) quando sul Monte Sinai, in attesa del ritorno di Mosè, Aronne fece fondere un vitello d’oro e vi costruì davanti un altare per soddisfare il bisogno di adorare un idolo.
L’artista associa il vitello d’oro al culto per i beni materiali e i falsi idoli (e rende probabilmente omaggio alla figura di Federico II, come guida per i nostri tempi incerti).
Pitture. Al piano nobile le pitture di Mendoza che si alimentano di visioni solo apparentemente inconciliabili come la cultura pop americana e la tradizione barocca europea, rilette alla luce del presente. È espressione di quel ritorno a un linguaggio che sembrava ormai obsoleto ma riesce invece a reinventare il quotidiano attraverso temi in cui si rispecchiano le ossessioni contemporanee. L’immaginario dell’artista è costellato di presenze epifaniche come ritratti di persone e animali, talmente vivi da far idealmente percepire il battito cardiaco.
Nelle opere di Ryan Mendoza la colatura del colore, che rimanda al dripping e ai graffiti, crea uno squarcio sulla superficie pittorica invitata a spogliarsi della propria illusorietà. Analogamente la pittura e la scrittura che si intersecano e si reiventano reciprocamente ricorrono all’ambiguità come ipotesi ulteriore di conoscenza e colgono il senso nascosto degli avvenimenti a noi più vicini con la consapevolezza della finitezza del nostro tempo e
scevri da miti, rituali e stereotipi. Immagine e parole si fondono ma non è del tutto scontato se sia l’immagine a nascondere la parola o è il contrario.
L’invasione artistica prosegue anche fuori dal Palazzo per debellare sul nascere l’idea di un allestimento che si traduca in un sistema chiuso, grazie alla proficua collaborazione col Mann (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), col Mausoleo di Cecilia Metella, Castrum Caetani (Parco Archeologico dell’Appia Antica) a Roma e col Sistema Museale dell’Università di Palermo (Palazzo Chiaramonte Steri e Orto Botanico). In questi luoghi si trovano dei Pipistrelli, in posizione di riposo, alla ricerca dell’habitat naturale.
Il Polittico. La sintesi del messaggio artistico-pittorico di Mendoza si condensa nel sensazionale Polittico collocato nella Sala dei Viceré che si compone di nove elementi e in cui si combinano i riferimenti complessi cui alludono gli animali - tanto come enigmi solitari (Fawn; Deer; The Golden Calf) quanto nell’eloquente abbraccio di Cover me in a coat of paint - ma anche le presenze umane come nel caso dell’abbraccio, questa volta in chiave sensuale, di Fabia with her love. E, ancora, è particolarmente intenso l’alternarsi di volti femminili (Think of All the Good Things; Girl with hair in front of face; Lara eyes closed; One last time) che si offrono e al contempo si sottraggono allo sguardo del fruitore in un continuo rimando alle possibili contaminazioni con l’altro.
Diaframmi. Ad una serie di opere vivide e colorate dal titolo Abstract spetta un’attenzione speciale. Questi lavori, realizzati su vetro, sono collocati nel percorso espositivo come veri e propri diaframmi. Sembrerebbe che l’artista in questi “pattern” faccia intravedere diversi segni che in modo subliminale ricordano il “respiro” della Cappella Palatina, più volte ammirata da Mendoza durante i sopralluoghi, come a voler creare una memoria sottotraccia ed un tutt’uno opere-mostra, mostra-Palazzo, opere-mostra-Palazzo.
Queste opere al contempo assumono la funzione di scandire lo spazio tra le altre opere e quindi di accompagnarne la visione mai passiva. Lo sfondo di uno degli Abstract rimanda esplicitamente, infatti, a quello di uno dei quadri.
Passaggio ulteriore in questo itinerario espositivo è la centralità dell’opera plastica di Ryan Mendoza. Dotata di spiccata energia, la sua ricerca sul fronte scultoreo e installativo rivela con grande forza la natura voluta mente ambigua della produzione dell’artista
Animali di peluche. “Stuffed animals” è un’installazione imponente, realizzata parzialmente in ceramica e data dall’accumulo di diversi peluche ammassati, giochi infantili che alludono alla compulsione diffusa tra gli adulti a circondarsi di oggetti. Compare nuovamente il mondo infantile, evocato dai peluche come immediata metafora della libera creatività. Riappare lo stato d’animo di un bambino a cui è stato sottratto l’accesso ai suoi giocattoli ossia alla propria creatività, alla pura libertà di comporre i molteplici significati del proprio mondo.
Il cumulo di giocattoli in mostra è il cumulo delle nostre libertà sottratte, di cui dobbiamo riappropriarci per tentare di risolvere il rapporto ambiguo e contorto tra noi e il
mondo. Per dare respiro alle esistenze. Per via dell’uso straziante del monocromo che confonde le iconografie a noi note questi singoli peluche tacciono in modo struggente e desolante se osservati singolarmente mentre invece risuonano all’unisono nel loro potentissimo insieme e nella scelta di collocare Stuffed animals nel cortile Maqueda di Palazzo Reale.
Pipistrelli. Ai Giardini di Palazzo Reale e in questi luoghi chiave sparsi per l’Italia(Museo Archeologico Nazionale di Napoli, Mausoleo di Cecilia Metella, Castrum Caetani (Parco Archeologico dell’Appia Antica a Roma e Sistema Museale dell’Università di Palermo, Palazzo Chiaramonte Steri e Orto Botanico), trovano collocazione altrettanti “Bats”, in una versione inedita e irrepetibile ideata per la Fondazione Federico II. I pipistrelli, nella loro posizione di riposo, sembrano alla ricerca dell’habitat naturale. Una disseminazione culturale oltre che fisica. Questi “antieroi” per Mendoza includono la moltitudine degli emarginati e dei più deboli. Bellezza e bruttezza divengono quasi criteri politici e sociali. Dietro quella forma che i più da sempre guardano con ritrosia, per l’artista c’è probabilmente il corpo delle inquietudini e dei conflitti della società.
The Golden Calf di Ryan Mendoza è un progetto realizzato dalla Fondazione Federico II, diretta da Patrizia Monterosso in collaborazione con Gianluca Collica (Fondazione Brodbeck) e Paola Nicita. Prezioso l’apporto di Paolo Giulierini, Paolo Inglese, Simone Quilici, Stefano Roascio, Ilaria Sgarbozza, Antonio Portale e l’Accademia di Belle Arti di Catania che ha lavorato a fianco dell’artista per l’opera “Stuffed Animals”.
Il catalogo della mostra (238 pagine) contiene i contributi di Gianfranco Miccichè, Patrizia Monterosso, Alberto Fiz, Cristina Costanzo, Angelica Freddi e Paola Nicita.
Ryan Mendoza (New York, 1971) è un artista americano di grande notorietà. Ha vissuto tra Berlino e Napoli. Oggi vive in Sicilia ai piedi dell’Etna. Le sue opere sono state esposte in gallerie di tutto il mondo: da Milano a Londra, da Parigi a Tokyo.
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