Francis Bacon. Two Americans
Dal 09 Settembre 2017 al 10 Dicembre 2017
Parma
Luogo: Fondazione Magnani-Rocca
Indirizzo: via Fondazione Magnani-Rocca 4, Mamiano di Traversetolo
Costo del biglietto: € 10 valido anche per la mostra PUBBLICITÁ! e per le raccolte permanenti, € 5 per le scuole
Telefono per informazioni: +39 0521 848327
E-Mail info: info@magnanirocca.it
Sito ufficiale: http://www.magnanirocca.it
Un’eccezionale asta da Sotheby’s a Londra, nel luglio 2015, decreta il “Bacon Myth”: in catalogo, oltre a due autoritratti del 1975 e 1980, l’opera del 1961 Study for a Pope I, nata dall’ossessione di Francis Bacon per il Ritratto di Innocenzo X di Velázquez e appartenuta a Gunter Sachs, noto playboy negli anni ’50 e ’60 e terzo marito di Brigitte Bardot.
Il mito di Bacon (Dublino 1909 – Madrid 1992) raggiunge ora la Fondazione Magnani-Rocca: il celebre dipinto di Bacon Two Americans del 1954, appartenente alla Collezione Barilla di Arte Moderna, viene infatti esposto dal 9 settembre al 10 dicembre 2017 accanto ai capolavori di ogni tempo raccolti da Luigi Magnani nella Villa di Mamiano di Traversetolo presso Parma.
Il mito dell’artista aveva forse conosciuto l’apice nel novembre 2013 quando il suo trittico Three Studies of Lucian Freud del 1969, battuto in un’asta di Christie’s a New York, divenne il quadro più pagato della storia, superando il precedente primato che apparteneva a L’Urlo di Munch.
“Anch’io quell’opera la consideravo difficile, l’ho un po’ subita, ma poi col passare del tempo, l’ho capita sempre più profondamente, me ne sono innamorato…” confessa Pietro Barilla nelle pagine di un’intervista solo cronologicamente impossibile redatta da Francesco Alberoni a cento anni dalla nascita del grande industriale.
L’opera che inizialmente turba il patron della Barilla, ma di cui, in seguito, subisce la malia è proprio Two Americans di Francis Bacon, acquistata presso la galleria Mario Tazzoli a Torino nel 1968 per arricchire ulteriormente la sua collezione privata pensata per condividere e rendere fruibile l’arte in quanto esperienza migliorativa di vita, a partire dagli ambienti di lavoro stesso che disseminerà di dipinti e sculture: da Picasso a Max Ernst, a Ensor, de Staël, Soutine, Moore, agli italiani Morandi, Boccioni, de Chirico, Savinio, Marini, Cascella, Manzù, Messina, Pomodoro, Soldati, Morlotti, Burri, Fontana, Guttuso, Maccari, Ceroli.
L’artista esegue il dipinto presumibilmente a Ostia, ultima tappa di un breve soggiorno in Italia nell’autunno del 1954. Non è, tuttavia, un assiduo frequentatore del Bel Paese; nonostante il suo dichiarato amore per la scultura di Michelangelo, non è mai stato a vedere la cappella Medici, non ritiene neppure necessario recarsi alla Biennale di Venezia dove proprio in quel periodo sono esposti alcuni suoi lavori, né tanto meno considera opportuno visitare la Galleria Doria Pamphilj di Roma per vedere il Ritratto di Innocenzo X di Velázquez, fonte di ispirazione per una serie di otto studi eseguiti fra il ’50 e il ’53.
I personaggi ritratti sono due americani che Bacon aveva visto talvolta affacciandosi dalla finestra del suo albergo a Roma. In uno spazio arcano colloca due busti di uomini in completo scuro, camicia bianca e cravatta, forse a simbolo della mascolinità contemporanea con la tenuta tipica dell’uomo d’affari, che sembrano materializzarsi dal buio profondo dello sfondo. Un semplice spazio quadrangolare originato da sottili filamenti bianchi che tracciano il perimetro del muro di fondo e quello delle mura laterali di un cubo nero e compatto crea una scatola di vetro, una cornice che non serve ad altro se non a isolare e concentrare l’attenzione sull’immagine che contiene, permettendo di vederla meglio. Preoccupazione costante per l’artista è, fin dagli esordi, che tra due figure tenda inesorabilmente a insinuarsi una storia. Soltanto l’azione di tondi o di parallelepipedi che isolino la figura nel quadro impedirà che una storia s’insinui nell’insieme rappresentato, esorcizzandone quindi il carattere illustrativo e narrativo. Isolare è per Bacon il modo più semplice per spezzare la narrazione, impedire l’illustrazione, liberare perciò la figura attenendosi al dato di fatto. A colmare il resto del quadro non sarà né il paesaggio, né un qualsivoglia elemento informale; esso, piuttosto, verrà occupato da grandi campiture di colore cupo e tetro aventi come unico intento di attrarre la forma. Da questo spazio insondabile emergono due volti in fase di dissolvimento, sottoposti a un’evidente distorsione sotto i colpi dei pennelli e delle spatole, o a causa dei colori che l’artista stesso spreme sulla mano e poi scaglia direttamente contro la tela. Bacon spiega che: “in quei momenti sono pronto a tutto: cancello con lo straccio o prendo il pennello e frego via quello che ho appena dipinto, ci passo sopra l’acquaragia, ci dipingo sopra qualcos’altro … tutto pur di spezzare l’organizzazione razionale dell’immagine, purché cresca spontaneamente, cioè secondo la propria struttura e non quella che io le impongo” […] “io voglio deformare le cose al di là dell’apparenza, ma allo stesso tempo voglio che la deformazione registri l’apparenza”.
L’uomo a sinistra è caratterizzato da una bocca lievemente allargata in un ghigno beffardo che scopre tutta la dentatura e deforma i tratti del viso come in un’immagine radiografica. Ammetterà, in seguito, Bacon di essersi rifatto ad alcune radiografie pubblicate nel libro Positioning in radiography acquistato durante un viaggio a Berlino. Il suo è un sorriso inquietante poiché è proprio in funzione di questo sorriso che il viso va disfacendosi, come sotto l’azione di un acido corrosivo divenendo insostenibile, intollerabile. Solo il sorriso insistente che Bacon suggerisce di chiamare sorriso isterico saprà sopravvivere alla dissipazione del volto e alla prossima e ineluttabile cancellazione del corpo. Anche l’uomo di destra, tuttavia, è sottoposto alle medesime forze di deformazione che s’impossessano della testa della Figura, divenendo visibili come se la testa stesse tentando di scrollarsi di dosso il suo stesso volto.
Bacon, come scrive il filosofo Gilles Deleuze nel 1981, spera “sempre di deformare le persone fino a ottenere l’apparenza; non può dipingerle letteralmente”. Il suo intendimento è quello di far emergere, rendere visibili, forze invisibili. L’intero corpo è proteso a fuggire dalla bocca che qui non urla, come spesso avviene nei personaggi rappresentati dall’artista. Oltre al grido c’è infatti il sorriso che assolve la funzione di dileguamento del corpo. Difficile non avvalersi delle parole di Lewis Carroll intente a descrivere la sparizione del gatto in Alice nel paese delle meraviglie: “e questa volta svanì molto lentamente (…) finendo con il sogghigno, che rimase per un po’ quando già tutto era sparito”.
Aperto anche tutti i festivi, compresi 1 novembre e 8 dicembre.
Orario: dal martedì al venerdì continuato 10-18 (la biglietteria chiude alle 17) – sabato, domenica e festivi continuato 10-19 (la biglietteria chiude alle 18). Lunedì chiuso.
Il martedì ore 15.30, il sabato ore 16 e la domenica e festivi ore 11.30, 15.30, 16.30, visita alla mostra PUBBLICITÁ! e al focus su Francis Bacon con guida specializzata; è consigliato prenotare via email a segreteria@magnanirocca.it , oppure presentarsi all’ingresso del museo fino a esaurimento posti; costo € 15,00 (ingresso e guida).
Presentando il biglietto d’ingresso della Fondazione è possibile visitare lo Csac a prezzo scontato www.csacparma.it.
Sempre presentando il biglietto d’ingresso della Fondazione, fra il 30 settembre e l’8 ottobre, ingresso a prezzo scontato al Mercanteinfiera presso le Fiere di Parma www.mercanteinfiera.it.
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