Luciano Ventrone. Primo e Ultimo Atto
Dal 10 Febbraio 2024 al 24 Marzo 2024
Gualdo Tadino | Perugia
Luogo: Chiesa Monumentale di San Francesco
Indirizzo: Corso Italia
Orari: dal giovedì alla domenica 10.00 – 13.00 / 15.00 – 18.00
Enti promotori:
- Fondazione Luciano Ventrone - Miranda Gibilisco
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 075 9142445
Sito ufficiale: http://www.polomusealegualdotadino.it
A sei anni di distanza torna in Umbria un’esposizione-evento dedicata alle opere di Luciano Ventrone.
Dal 10 febbraio al 24 marzo la chiesa monumentale di San Francesco a Gualdo Tadino ospiterà “Luciano Ventrone – Primo e ultimo atto”, trenta capolavori del maestro che Federico Zeri definì “il Caravaggio del XX secolo”.
La retrospettiva postuma racconta il percorso artistico di Ventrone, venuto a mancare nel 2021. Contiene il suo primo dipinto, che realizzò all’età di 14 anni, e l’ultimo, mancante della firma, che l’artista stava completando nella sua casa-museo di Collelongo, in provincia dell’Aquila, entrambi esposti per la prima volta.
La mostra è promossa da Fondazione Ventrone-Gibilisco con il patrocinio di Polo Museale Città di Gualdo Tadino e Comune di Gualdo Tadino e con il contributo di Regione Umbria e Musei e Territori Umbria di Nord Est.
Verrà presentata sabato 10 febbraio alle ore 16 nella sala consiliare del municipio di Gualdo Tadino.
Interverranno il sindaco della città, Massimiliano Presciutti, la presidente della Fondazione Ventrone-Gibilisco, Miranda Gibilisco, il direttore del Polo Museale di Gualdo Tadino, Catia Monacelli e il manager culturale e giornalista Cesare Biasini Selvaggi che illustrerà “Luciano Ventrone - Catalogo ragionato dell’opera pittorica 1956-2021”, edito da Skira.
A seguire il taglio del nastro della mostra presso la Chiesa Monumentale di San Francesco.
“Ventrone non è solo uno dei massimi e più conosciuti pittori di figura a livello internazionale, ma prima di tutto è uno scienziato della pittura e fin dalle rappresentazioni delle cellule negli anni Sessanta, ingrandite al microscopio, opere messe poi a disposizione di testi di neurologia, ha affinato la propria antica tecnica pittorica, fatta di pazienti velature ad olio, confrontandola con le più avanzate tecnologie che oggi ci permettono di guardare e vedere “più” oltre il reale”, analizza Biasini Selvaggi.
Luciano Ventrone è tra gli artisti italiani più conosciuti a livello internazionale. Le sue opere sono state esposte in celebri musei e gallerie tra cui quelle di Roma, Milano, Londra, Mosca, San Pietroburgo e, fino allo scorso mese di gennaio, New York e Singapore.
“La scelta di proporre questa retrospettiva a Gualdo Tadino, dopo il grande successo della mostra “Meraviglia ed Estasi” del 2018, deriva anche dal fatto che la cittadina umbra è patria di Matteo da Gualdo (1435 circa-1507), considerato un antesignano di nature morte con la sua celebre tavola ‘L’Albero di Jesse’, genere pittorico di cui Ventrone è stato un grande innovatore”, sottolinea il direttore del Polo Museale Catia Monacelli.
Luciano Ventrone nasce a Roma da genitori campani. Praticamente dipinge da sempre. “Sono convinto” – ha dichiarato nel 1983 in un’intervista – “che questa mia appartenenza al mondo dell’arte sia un fatto atavico, un’elezione naturale sentita, forse, nel grembo di qualche mio antenato. Credo di poter spiegare così questa mia precoce partecipazione ai fatti d’arte”.
Al 1956 risale la rara testimonianza in mostra del suo precoce talento, un dipinto di paesaggio Senza titolo ricavato da una cartolina, esposto al pubblico per la prima volta.
Luciano Ventrone si è sempre definito un astrattista alle prese con la realtà, un metafisico costretto a misurarsi con la caducità della natura. Dagli esordi come pittore figurativo classico alle sperimentazioni geometriche, passando per l’informale e l’arte programmata, questa retrospettiva indaga la lunga carriera di Ventrone. Il suo è un apprendistato lungo e pieno di divagazioni, sull’onda delle varie correnti della pittura italiana e nelle temperie del secondo Dopoguerra, che gli consente infine di approdare con sempre maggior forza a un iperrealismo algido in cui le basi della pittura (forma, luce, colore) sono messe al servizio di una concezione filosofica platonica tesa a svelare il mondo delle idee prime.
Dagli anni Novanta del Novecento, soprattutto le nature morte non sono più e soltanto la rappresentazione del reale, uno sforzo mimetico pur degno di lode, semmai il tentativo riuscito, grazie a un talento quotidianamente coltivato con fatica, di andare oltre la realtà e sperimentare “il limite del vero”, cioè quella sottile linea che ci distanzia dalla conoscenza effettiva, allontanandosi dagli oggetti reali e approssimandosi per quanto possibile all’astrazione delle “cose”.
Ventrone non è solo uno dei massimi e più conosciuti pittori di figura a livello internazionale, ma prima di tutto è uno scienziato della pittura e fin dalle rappresentazioni delle cellule negli anni Sessanta, ingrandite al microscopio, opere messe poi a disposizione di testi di neurologia, ha affinato la propria antica tecnica pittorica, fatta di pazienti velature ad olio, confrontandola con le più avanzate tecnologie che oggi ci permettono di guardare e vedere “più” oltre il reale.
Da qui nasce lo stupore, di una pittura che non inganna l’occhio, bensì la mente e ci costringe a un corto circuito per ridare senso a ciò che nella realtà non esiste, frutta, verdura, fiori che non sono mai così perfetti, mai così illuminati, mai così sul punto di essere veri.
La luce, perseguita, ricercata, catturata in oltre sessant’anni di ricerca pittorica, lo ha accompagnato anche nel suo trapasso. Quando, quel 16 aprile 2021, nella sua residenza di Collelongo (L’Aquila), nel cuore della notte, una fiammata di luce si è liberata infuocata dall’ossigeno che soffiava dal suo nasalino, appiccata nel tentativo dell’artista di accendere, da tabagista incallito qual era, l’ennesima sigaretta. Uno spavento letale che ha fermato per sempre il suo cuore.
Sul cavalletto nello studio di Collelongo Luciano Ventrone lascia il suo ultimo dipinto, sprovvisto della sua firma, oggi in mostra alla sua prima apparizione pubblica.
LE NATURE MORTE
La maggior parte dei quadri prodotti da Ventrone a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta sono nature morte: frutti, verdure, agrumi, fiori. È l’oggetto, dunque che prevale perché immobile, sempre uguale a se stesso, privo di sentimenti, forma astratta. Il sottilissimo moto spaziale degli oggetti può assumere molteplici possibilità. Può esprimere una visione calma per la dolcezza e il silenzio (come fanno le turgide ciliegie nei cesti), oppure inquieta, di un malinconico rimpianto, perfino drammatica (come nel caso delle grandi angurie infrante sulla roccia o su lastroni di pietra). Spesso Ventrone ha degli innamoramenti improvvisi. Allora c’è il periodo delle zucche, per esempio. Compra una zucca e in molti casi non la taglia, la lascia cadere, lasciando tutto al caso. Se la situazione lo ispira, cioè se la trova stimolante, prepara le luci che metteranno in evidenza questa singolarità; c’è la rabdomantica fantasia della natura e con lei s’instaura una comunione molto profonda. Le nature morte sono composte su uno sfondo nero, bianco oppure di un grigio volgente al celeste, poggiando su una superficie bianca (talvolta sostituita da una scenografia di rocce oppure da qualche capitello e da altri reperti di archeologia romana), attraversate da una luce forte che proviene diagonalmente dall’alto oppure dallo sfondo della composizione e che, nel contempo, sembra promanare anche dall’interno della composizione stessa, quasi le fossero stati innestati tanti spot luminosi per restituire all’artista un’immagine più reale della realtà che con lucidità quasi esasperata la proietti in un universo parallelo dove il tempo sembra sospeso. Gli oggetti rappresentati sono visti attraverso quell’illuminazione artificiale, immanente, profondamente laica, che solo la tecnologia del XX secolo ha reso disponibile e che Federico Zeri ha saputo interpretare nella ricerca ventroniana, nei colloqui dell’artista romano con la rivoluzione caravaggesca della luce, delle sue influenze, delle interpretazioni che di questa diedero tre grandi maestri della pittura europea, George de la Tour, Rembrandt van Rijn e Francisco de Zurbarán.
Cesare Biasini Selvaggi
Luciano Ventrone nasce a Roma nel 1942 dove frequenta il liceo artistico e, dopo il diploma conseguito nel 1964, si iscrive alla facoltà di architettura che frequenterà sino al 1968, anno in cui decide di abbandonare gli studi per dedicarsi interamente alla pittura.
Il percorso della sua pratica artistica, lungo quasi sessant’anni di attività, parte dagli esordi con le sperimentazioni geometriche, passando per l’informale e l’arte programmata, fino alla sua lunga ricerca sui vari aspetti della Natura con il suo personale “realismo-astrattismo” per il quale è diventato famoso in tutto il mondo. Come l’artista ripeteva spesso: «Lo studio della pittura non è la mera rappresentazione dell’oggetto ma è colore e luce: i giusti rapporti fra le due cose danno la forma nello spazio. Il soggetto non va visto come tale, ma astrattamente». È questa sua ricerca dell’invisibile che ha destato nei decenni l’attenzione di critici e storici dell’arte, da Federico Zeri a Giorgio Soavi, Roberto Tassi, Achille Bonito Oliva, Vittorio Sgarbi, Marco Di Capua, Antonello Trombadori, Edward Lucie-Smith, Angelo Crespi, Beatrice Buscaroli, Evgenia Petrova, Victoria Noel-Johnson.
Luciano Ventrone si è spento nella sua Collelongo (L’Aquila) il 16 aprile 2021.
Dal 10 febbraio al 24 marzo la chiesa monumentale di San Francesco a Gualdo Tadino ospiterà “Luciano Ventrone – Primo e ultimo atto”, trenta capolavori del maestro che Federico Zeri definì “il Caravaggio del XX secolo”.
La retrospettiva postuma racconta il percorso artistico di Ventrone, venuto a mancare nel 2021. Contiene il suo primo dipinto, che realizzò all’età di 14 anni, e l’ultimo, mancante della firma, che l’artista stava completando nella sua casa-museo di Collelongo, in provincia dell’Aquila, entrambi esposti per la prima volta.
La mostra è promossa da Fondazione Ventrone-Gibilisco con il patrocinio di Polo Museale Città di Gualdo Tadino e Comune di Gualdo Tadino e con il contributo di Regione Umbria e Musei e Territori Umbria di Nord Est.
Verrà presentata sabato 10 febbraio alle ore 16 nella sala consiliare del municipio di Gualdo Tadino.
Interverranno il sindaco della città, Massimiliano Presciutti, la presidente della Fondazione Ventrone-Gibilisco, Miranda Gibilisco, il direttore del Polo Museale di Gualdo Tadino, Catia Monacelli e il manager culturale e giornalista Cesare Biasini Selvaggi che illustrerà “Luciano Ventrone - Catalogo ragionato dell’opera pittorica 1956-2021”, edito da Skira.
A seguire il taglio del nastro della mostra presso la Chiesa Monumentale di San Francesco.
“Ventrone non è solo uno dei massimi e più conosciuti pittori di figura a livello internazionale, ma prima di tutto è uno scienziato della pittura e fin dalle rappresentazioni delle cellule negli anni Sessanta, ingrandite al microscopio, opere messe poi a disposizione di testi di neurologia, ha affinato la propria antica tecnica pittorica, fatta di pazienti velature ad olio, confrontandola con le più avanzate tecnologie che oggi ci permettono di guardare e vedere “più” oltre il reale”, analizza Biasini Selvaggi.
Luciano Ventrone è tra gli artisti italiani più conosciuti a livello internazionale. Le sue opere sono state esposte in celebri musei e gallerie tra cui quelle di Roma, Milano, Londra, Mosca, San Pietroburgo e, fino allo scorso mese di gennaio, New York e Singapore.
“La scelta di proporre questa retrospettiva a Gualdo Tadino, dopo il grande successo della mostra “Meraviglia ed Estasi” del 2018, deriva anche dal fatto che la cittadina umbra è patria di Matteo da Gualdo (1435 circa-1507), considerato un antesignano di nature morte con la sua celebre tavola ‘L’Albero di Jesse’, genere pittorico di cui Ventrone è stato un grande innovatore”, sottolinea il direttore del Polo Museale Catia Monacelli.
Luciano Ventrone nasce a Roma da genitori campani. Praticamente dipinge da sempre. “Sono convinto” – ha dichiarato nel 1983 in un’intervista – “che questa mia appartenenza al mondo dell’arte sia un fatto atavico, un’elezione naturale sentita, forse, nel grembo di qualche mio antenato. Credo di poter spiegare così questa mia precoce partecipazione ai fatti d’arte”.
Al 1956 risale la rara testimonianza in mostra del suo precoce talento, un dipinto di paesaggio Senza titolo ricavato da una cartolina, esposto al pubblico per la prima volta.
Luciano Ventrone si è sempre definito un astrattista alle prese con la realtà, un metafisico costretto a misurarsi con la caducità della natura. Dagli esordi come pittore figurativo classico alle sperimentazioni geometriche, passando per l’informale e l’arte programmata, questa retrospettiva indaga la lunga carriera di Ventrone. Il suo è un apprendistato lungo e pieno di divagazioni, sull’onda delle varie correnti della pittura italiana e nelle temperie del secondo Dopoguerra, che gli consente infine di approdare con sempre maggior forza a un iperrealismo algido in cui le basi della pittura (forma, luce, colore) sono messe al servizio di una concezione filosofica platonica tesa a svelare il mondo delle idee prime.
Dagli anni Novanta del Novecento, soprattutto le nature morte non sono più e soltanto la rappresentazione del reale, uno sforzo mimetico pur degno di lode, semmai il tentativo riuscito, grazie a un talento quotidianamente coltivato con fatica, di andare oltre la realtà e sperimentare “il limite del vero”, cioè quella sottile linea che ci distanzia dalla conoscenza effettiva, allontanandosi dagli oggetti reali e approssimandosi per quanto possibile all’astrazione delle “cose”.
Ventrone non è solo uno dei massimi e più conosciuti pittori di figura a livello internazionale, ma prima di tutto è uno scienziato della pittura e fin dalle rappresentazioni delle cellule negli anni Sessanta, ingrandite al microscopio, opere messe poi a disposizione di testi di neurologia, ha affinato la propria antica tecnica pittorica, fatta di pazienti velature ad olio, confrontandola con le più avanzate tecnologie che oggi ci permettono di guardare e vedere “più” oltre il reale.
Da qui nasce lo stupore, di una pittura che non inganna l’occhio, bensì la mente e ci costringe a un corto circuito per ridare senso a ciò che nella realtà non esiste, frutta, verdura, fiori che non sono mai così perfetti, mai così illuminati, mai così sul punto di essere veri.
La luce, perseguita, ricercata, catturata in oltre sessant’anni di ricerca pittorica, lo ha accompagnato anche nel suo trapasso. Quando, quel 16 aprile 2021, nella sua residenza di Collelongo (L’Aquila), nel cuore della notte, una fiammata di luce si è liberata infuocata dall’ossigeno che soffiava dal suo nasalino, appiccata nel tentativo dell’artista di accendere, da tabagista incallito qual era, l’ennesima sigaretta. Uno spavento letale che ha fermato per sempre il suo cuore.
Sul cavalletto nello studio di Collelongo Luciano Ventrone lascia il suo ultimo dipinto, sprovvisto della sua firma, oggi in mostra alla sua prima apparizione pubblica.
LE NATURE MORTE
La maggior parte dei quadri prodotti da Ventrone a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta sono nature morte: frutti, verdure, agrumi, fiori. È l’oggetto, dunque che prevale perché immobile, sempre uguale a se stesso, privo di sentimenti, forma astratta. Il sottilissimo moto spaziale degli oggetti può assumere molteplici possibilità. Può esprimere una visione calma per la dolcezza e il silenzio (come fanno le turgide ciliegie nei cesti), oppure inquieta, di un malinconico rimpianto, perfino drammatica (come nel caso delle grandi angurie infrante sulla roccia o su lastroni di pietra). Spesso Ventrone ha degli innamoramenti improvvisi. Allora c’è il periodo delle zucche, per esempio. Compra una zucca e in molti casi non la taglia, la lascia cadere, lasciando tutto al caso. Se la situazione lo ispira, cioè se la trova stimolante, prepara le luci che metteranno in evidenza questa singolarità; c’è la rabdomantica fantasia della natura e con lei s’instaura una comunione molto profonda. Le nature morte sono composte su uno sfondo nero, bianco oppure di un grigio volgente al celeste, poggiando su una superficie bianca (talvolta sostituita da una scenografia di rocce oppure da qualche capitello e da altri reperti di archeologia romana), attraversate da una luce forte che proviene diagonalmente dall’alto oppure dallo sfondo della composizione e che, nel contempo, sembra promanare anche dall’interno della composizione stessa, quasi le fossero stati innestati tanti spot luminosi per restituire all’artista un’immagine più reale della realtà che con lucidità quasi esasperata la proietti in un universo parallelo dove il tempo sembra sospeso. Gli oggetti rappresentati sono visti attraverso quell’illuminazione artificiale, immanente, profondamente laica, che solo la tecnologia del XX secolo ha reso disponibile e che Federico Zeri ha saputo interpretare nella ricerca ventroniana, nei colloqui dell’artista romano con la rivoluzione caravaggesca della luce, delle sue influenze, delle interpretazioni che di questa diedero tre grandi maestri della pittura europea, George de la Tour, Rembrandt van Rijn e Francisco de Zurbarán.
Cesare Biasini Selvaggi
Luciano Ventrone nasce a Roma nel 1942 dove frequenta il liceo artistico e, dopo il diploma conseguito nel 1964, si iscrive alla facoltà di architettura che frequenterà sino al 1968, anno in cui decide di abbandonare gli studi per dedicarsi interamente alla pittura.
Il percorso della sua pratica artistica, lungo quasi sessant’anni di attività, parte dagli esordi con le sperimentazioni geometriche, passando per l’informale e l’arte programmata, fino alla sua lunga ricerca sui vari aspetti della Natura con il suo personale “realismo-astrattismo” per il quale è diventato famoso in tutto il mondo. Come l’artista ripeteva spesso: «Lo studio della pittura non è la mera rappresentazione dell’oggetto ma è colore e luce: i giusti rapporti fra le due cose danno la forma nello spazio. Il soggetto non va visto come tale, ma astrattamente». È questa sua ricerca dell’invisibile che ha destato nei decenni l’attenzione di critici e storici dell’arte, da Federico Zeri a Giorgio Soavi, Roberto Tassi, Achille Bonito Oliva, Vittorio Sgarbi, Marco Di Capua, Antonello Trombadori, Edward Lucie-Smith, Angelo Crespi, Beatrice Buscaroli, Evgenia Petrova, Victoria Noel-Johnson.
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