Ardengo Soffici e Mario Sironi. Silenzio e inquietudine
Dal 28 Marzo 2015 al 19 Luglio 2015
Poggio a Caiano | Prato
Luogo: Scuderie Medicee - Museo Ardengo Soffici e del 900 italiano
Indirizzo: via Lorenzo il Magnifico 9
Orari: da mercoledì a domenica 10-13 / 14,30-19
Enti promotori:
- Comune di Poggio a Caiano
Costo del biglietto: € 5
Telefono per informazioni: +39 055 8798795
E-Mail info: info@museoardengosoffici.it
Sito ufficiale: http://www.museoardengosoffici.it
Nel programma di approfondimento sull’arte italiana del Novecento il Museo Ardengo Soffici organizza un’esposizione documentaria, curata da Luigi Cavallo, con 20 opere del maestro di Poggio a Caiano e altrettante di Mario Sironi.
La mostra (Ardengo Soffici e Mario Sironi. Silenzio e inquietudine, 28 marzo – 19 luglio 2015) sintetizza l’attività dei due pittori nel XX secolo ed è concepita come antologia parallela: non una comparazione storico-critica, dunque, bensì un’occasione importante per rileggere capitoli essenziali nell’evoluzione della nostra storia.
Tra le opere più significative dei vari periodi l’esposizione presenta: per Sironi Il tram e la gru (1921), Nudo di schiena (1942), Paesaggio urbano (1943), L’idolo (1955); per Soffici Scomposizione di piani di zuccheriera e bottiglia (1913), Fruttiera con pere, 1915, Farfa, 1946, Paesaggio toscano (1960), oltre a un inedito Paesaggio (1956), dono di nozze alla figlia dell’editore Vallecchi.
Lo stacco culturale e creativo di Soffici (1879 – 1964) e di Sironi (1885 – 1961) è valutato in un raggio di partecipazioni che con la poetica del ‘richiamo all’ordine’ si svolse quale presa di coscienza della realtà: per Soffici il ‘realismo sintetico’, per Sironi la realtà scavata nelle lacerazioni esistenziali dell’individuo.
Le due diverse esperienze si estendono fino alle incalzanti vicende degli anni Cinquanta, quando Soffici distillava nel paesaggio toscano una perfetta identificazione, ritmando le sue opere sul corso naturale delle stagioni, mentre Sironi giungeva fino alle più rischiate sperimentazioni dell’informale.
‘Silenzio’ e ‘inquietudine’, le definizioni che fanno da sottotitolo alla mostra, possono essere applicate a entrambi gli artisti: c’è silenzio nei lavori di Sironi sostanzialmente ispirati alla classicità mediterranea e nelle sue periferie, luoghi di una inedita solitudine; c’è silenzio nelle figure e nei paesi dipinti da Soffici per renderne l’esemplare immutabilità.
Quanto a ‘inquietudine’ il termine calza perfettamente con l’intreccio di vita e opere, nel cammino che ai più alti livelli hanno entrambi percorso nella nostra società. Un cammino che risulta evidente leggendo le loro biografie, con pagine anche drammatiche e nel sussulto dei loro vari periodi stilistici, dal futurismo al realismo.
I contatti tra Soffici e Sironi non sono certo stati frequenti come, ad esempio, quelli tra Soffici e Medardo Rosso, Carrà, de Chirico, de Pisis, Carena. Li legano però significativi argomenti: anzitutto il rispetto per i maestri del passato, per la nostra tradizione formale, per la cultura figurativa. Caratteri del resto, che rappresentano il ceppo riconoscibile dell’arte italiana.
La mostra (Ardengo Soffici e Mario Sironi. Silenzio e inquietudine, 28 marzo – 19 luglio 2015) sintetizza l’attività dei due pittori nel XX secolo ed è concepita come antologia parallela: non una comparazione storico-critica, dunque, bensì un’occasione importante per rileggere capitoli essenziali nell’evoluzione della nostra storia.
Tra le opere più significative dei vari periodi l’esposizione presenta: per Sironi Il tram e la gru (1921), Nudo di schiena (1942), Paesaggio urbano (1943), L’idolo (1955); per Soffici Scomposizione di piani di zuccheriera e bottiglia (1913), Fruttiera con pere, 1915, Farfa, 1946, Paesaggio toscano (1960), oltre a un inedito Paesaggio (1956), dono di nozze alla figlia dell’editore Vallecchi.
Lo stacco culturale e creativo di Soffici (1879 – 1964) e di Sironi (1885 – 1961) è valutato in un raggio di partecipazioni che con la poetica del ‘richiamo all’ordine’ si svolse quale presa di coscienza della realtà: per Soffici il ‘realismo sintetico’, per Sironi la realtà scavata nelle lacerazioni esistenziali dell’individuo.
Le due diverse esperienze si estendono fino alle incalzanti vicende degli anni Cinquanta, quando Soffici distillava nel paesaggio toscano una perfetta identificazione, ritmando le sue opere sul corso naturale delle stagioni, mentre Sironi giungeva fino alle più rischiate sperimentazioni dell’informale.
‘Silenzio’ e ‘inquietudine’, le definizioni che fanno da sottotitolo alla mostra, possono essere applicate a entrambi gli artisti: c’è silenzio nei lavori di Sironi sostanzialmente ispirati alla classicità mediterranea e nelle sue periferie, luoghi di una inedita solitudine; c’è silenzio nelle figure e nei paesi dipinti da Soffici per renderne l’esemplare immutabilità.
Quanto a ‘inquietudine’ il termine calza perfettamente con l’intreccio di vita e opere, nel cammino che ai più alti livelli hanno entrambi percorso nella nostra società. Un cammino che risulta evidente leggendo le loro biografie, con pagine anche drammatiche e nel sussulto dei loro vari periodi stilistici, dal futurismo al realismo.
I contatti tra Soffici e Sironi non sono certo stati frequenti come, ad esempio, quelli tra Soffici e Medardo Rosso, Carrà, de Chirico, de Pisis, Carena. Li legano però significativi argomenti: anzitutto il rispetto per i maestri del passato, per la nostra tradizione formale, per la cultura figurativa. Caratteri del resto, che rappresentano il ceppo riconoscibile dell’arte italiana.
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