Emory Douglas. Freedom Is A Constant Struggle
Dal 19 Agosto 2017 al 19 Agosto 2017
Modica | Ragusa
Luogo: Laveronica arte contemporanea
Indirizzo: via Grimaldi 93
E-Mail info: info@gallerialaveronica.it
Sito ufficiale: http://www.gallerialaveronica.it/
Laveronica Arte Contemporanea, in occasione dei dieci anni di attività, è lieta di presentare la mostra Freedom Is A Constant Struggle di Emory Douglas, un artista che ha legato il suo nome al Black Panther Party, il partito rivoluzionario dei neri d’America, e che ha fatto della militanza per i diritti civili, della lotta per la libertà degli oppressi la sua ragione di vita. Le sue opere hanno ispirato e influenzato l’immaginario iconico e simbolico di molti movimenti di liberazione terzomondisti, tra America Latina, Asia e Africa. In anni più recenti sono divenute un punto di riferimento per la cultura della Street-Art.
Per comprendere a fondo l’essenza di questa arte, occorre ripensare al contesto originario in cui prese forma.
Negli anni Sessanta dietro il gigantismo metallico e abbagliante dei grattacieli, dei ponti di acciaio, degli enormi complessi industriali, delle immense highways, sbandierati dagli USA come simboli di libertà e benessere nella logica della guerra fredda, si celava una società ancora chiusa ai temi dell'integrazione razziale e dell'uguaglianza dei diritti per la popolazione di colore.
Nei quartieri ghetto delle metropoli, dove si concentrava la popolazione nera, montava sempre più la protesta degli afroamericani che chiedevano lavoro, alloggi decenti, accesso all’istruzione e alla sanità, uguali trattamenti nei tribunali a quelli riservati ai bianchi.
Nel 1966 a Oakland, in California, la rabbia montante spezzò le catene del riformismo e della non-violenza predicate da Martin Luther King e si incanalò in un movimento rivoluzionario vicino alle idee di Malcolm X, il Black Panther Party for Self-Defence (poi Black Panther Party). Esso proponeva un’ampia piattaforma rivendicativa da attuare, in ultima analisi, anche con la forza e propugnava l’uso delle armi come deterrente contro gli abusi della polizia. Non a caso il movimento scelse come simbolo un animale nobile e coraggioso, la pantera nera, che rappresenta la forza e la dignità. Le biografie dei fondatori si assomigliano tutte. Erano cresciuti in edifici squallidi e cadenti, in case di legno o mattoni in cui le precipitose scalette di ferro esterne antincendio esprimevano un senso di caducità e di fuga, avevano conosciuto la fame e la miseria, l’alcol o la droga, l’odio per il poliziotto bianco e il carcere. Dietro le sbarre impararono a studiare, lessero i libri di Marcuse e Mao Tse-tung, i classici dell’economia e della filosofia, i codici delle leggi civili e penali. Così, una volta usciti di prigione, presero coscienza della loro forza ideologica e si organizzarono politicamente.
Non fu diverso il caso di Emory Douglas: visse l’infanzia in povertà nei ghetti neri di San Francisco, trascorse alcuni periodi in istituti correzionali per minori, frequentò corsi di grafica al City College di San Francisco e al San Francisco State studiando, finché nel 1967, a 24 anni, entrò nel Black Panther Party. Ne divenne Ministro della Cultura e direttore artistico del The Black Panther, l’organo ufficiale diffuso in centinaia di migliaia di copie con cadenza settimanale dal 1967 al 1976 e vi assunse sempre più un ruolo di primo piano, man mano che la repressione e la violenza reazionaria decimavano gli altri leader. Ebbe il merito di tradurre nelle illustrazioni di copertina, nelle vignette, nei fumetti gli ideali rivoluzionari del partito, sintetizzando in rappresentazioni grafiche dirette e immediate – nella comunità nera vi era un alto tasso di analfabetismo - gli articoli d’analisi politica ospitati all’interno del settimanale.
Le illustrazioni vertevano non soltanto su temi specificamente razziali, ma più in generale sull’ empowerment, sulla lotta alla povertà, le discriminazioni, l’imperialismo, le politiche di immigrazione, la libertà per i prigionieri politici, migliori condizioni di lavoro nelle “prigioni” industriali, l’organizzazione collettiva di colazioni gratuite, l’assistenza sanitaria e le scuole popolari.
Immagini di poliziotti raffigurati come porci, politici e giudici come sorci, donne nere con un fucile in spalla e un bimbo in braccio, giovani armati e minacciosi fasciati dalla tipica divisa di pelle nera con baschi delle Black Panther, mitra puntati e cartucciere a vista, figure sullo sfondo del sole nascente socialcomunista, avevano come obiettivi quelli di smitizzare il potere dell’oppressore e costruire per contro una mitologia del movimento e dei militanti, attraverso un atteggiamento di aperta sfida all’establishment che incitasse il popolo nero all’orgoglio, alla lotta e alla resistenza. I militanti tappezzavano con i suoi manifesti muri, recinzioni, cabine telefoniche, autobus, stazioni di servizio, lavanderie automatiche, vetrine di groceries ed empori nei ghetti, influenzando migliaia di altri giovani neri. L’arte di Emory Douglas è sopravvissuta al Black Panther Party scioltosi nel 1982 e oggi rappresenta un corpus di
migliaia di immagini, poster, fumetti, collage e fotomontaggi, che nell’immaginario collettivo contemporaneo rappresenta una delle più potenti interpretazioni visive della lotta.
L’opera di Emory esula dal convenzionale sistema dell’arte, dove artisti-produttori di opere create liberamente e intenzionalmente per questo scopo si rivolgono a intermediari (gallerie, mercanti d’arte, piattaforme) ai quali spetta il compito di collocarle attraverso il circuito espositivo presso collezionisti e musei. Ogni artista rivendica, in modo più o meno esplicito, la propria individualità e originalità creatrice e ambisce a consegnare la sua opera all'eternità della memoria culturale.
Nel caso di Emory, invece, ci troviamo dinanzi a opere nate con uno scopo effimero e circoscritto, fortemente condizionate dai tempi ristretti del giornale, dai limitati mezzi tecnologici e dalle scarse possibilità economiche, destinate alla circolazione di massa (giornali, stampe ciclostilate, volantini, manifesti semi-clandestini), dove la funzione artistica era assolutamente marginale. L’autore ha più volte ribadito che esse sono un’opera collettiva, un patrimonio della comunità nera. La quale, del resto, ne è la sorgente d’ispirazione. I disegni originali sono andati perduti né è stato ed è importante per l’artista la loro archiviazione e conservazione. L’autore conserva soltanto alcuni file, che utilizza e rielabora al computer. Tuttavia, la forza del messaggio, la sua adattabilità a tutti i contesti geopolitici dove si leva vibrante la protesta contro lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, nonché la grande qualità estetica dei suoi lavori ha consentito alle opere di Douglas di entrare nel novero di ciò che oggi i critici considerano arte.
Negli scambi di e-mail che hanno preceduto l’organizzazione della mostra, avevamo proposto a Emory di intitolarla Where is Freedom? Ci sembrava importante porre quella domanda, tanto più che oggi molte conquiste del passato sono rimesse in discussione. Puntuale e rivelatrice è arrivata la sua risposta: Freedom is a Constant Struggle. Ed è questo il titolo che lui ha voluto dare alla mostra. Come s'addice a un’arte collettiva, Emory ci ha chiesto di riunire una comunità di artisti locali per contribuire alla realizzazione in galleria di alcuni suoi murales . Saranno presenti inoltre posters, video e una serie di riviste originali delle Black Panther Party.
La mostra prevede, inoltre, una serie di eventi collaterali – l’organizzazione collettiva di colazioni gratuite in collaborazione con il Centro diurno per minori “Maria SS. del Rosario” di Scicli, una conferenza ed una festa finale– che avranno per protagonista Emory Douglas, nostro ospite speciale, verso il quale ci sentiamo legati da una particolare affinità e una profonda ammirazione.
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