Roberta Dallara. La tenerezza delle cose
Dal 05 Luglio 2013 al 31 Luglio 2013
Rimini
Luogo: Museo Civico
Indirizzo: via Cavalieri 16
Orari: da martedì a domenica 17-24
Curatori: Alessandro La Motta
Telefono per informazioni: +39 0541 1572086
E-Mail info: robertadallara@yahoo.it
Sito ufficiale: http://robertadallara.blogspot.com
Della pittura di Roberta Dallara colpisce soprattutto la tenerezza. Lo sguardo pieno di tenerezza verso il reale. La luce bacia il tappeto blu. Gli scalini brillano illuminati, finalmente scoperti, la luce della finestra accarezza il pavimento.
Le nature morte di Roberta sono vive: la tovaglia a quadretti bianchi e rossi, la tazza con le uova, sembrano pulsare, risplendono di vita. Le cose sono buone, e belle. Questa visione non è scontata nella pittura contemporanea, che si presta all’insinuazione metafisica che le cose esistano soltanto come noi le percepiamo, o che non esistano del tutto (G. K. Chesterton). E quando le cose ci sono, la realtà rappresentata è brutale nella sua oggettività. Molta pittura, realista o iperrealista, si prefigge di sottolineare ciò che è più inquietante, grottesco, deforme o deformato. Oppure rappresenta il dato della realtà appiattito sul suo aspetto materiale, come se avesse una sola dimensione. Come se la realtà non avesse consistenza, storia, destino.
Invece per Roberta anche il pesce crudo (che ha i toni del grigio e del blu, appunto della crudezza,) è già quasi caldo, è pronto sullo strofinaccio da cucinare, è buono da mangiare, è giusto. Suscitando il pensiero che nella realtà ci sia una giustizia, e lo sguardo di Roberta riesca a coglierlo.
Nei suoi ritratti di donne emerge un tema fondamentale: l’attesa. Nel ritratto che si intitola appunto L’attesa il tormento della donna è detto con intensità e rispetto, grazia. Nei suoi ritratti Roberta è delicata e profonda. Sembra immaginare della donna tanti aspetti, intimi e segreti, e non li rivela. Ci svela solo un punto, un nodo fondamentale: il loro sguardo carico di nostalgia. La donna quasi sempre ha lo sguardo rivolto alla finestra, o alla porta, o all’orologio. Qualcosa deve succedere, deve accadere. Le donne ritratte da Roberta sono concentrate, riposano, ma non sono veramente rilassate: non sono mai tranquille, aspettano la vita che può ricominciare, ricomincia, burrascosa, l’attimo dopo.
Una donna si sta truccando allo specchio, si sta preparando, forse è sera, per una cena, una festa, e la sé stessa riflessa nello specchio la guarda, sospendendo il tempo, la guarda con una domanda, che potrebbe essere: chi sei?
Anch’io mi chiedo chi sono queste donne, le loro storie, da Cabirie o da Angeliche. In ogni volto, in ogni attimo, la somma dei significati è infinita.
Guardando i ritratti di Roberta vengono in mente i numerosi ritratti di donne di Edward Hopper (che in genere ritraeva sua moglie). Donne sole che guardano dalle finestre, e luce. E, forse, basta. Hopper è sicuramente un maestro per Roberta (ricordo con che entusiasmo ammirava le sue opere esposte a Milano a Palazzo reale nel 2009-2010). Hopper è un genio, che non mi consola.
Invece Roberta mi consola, perché mi fa vedere che c’è tutto in ogni cosa: in un pezzo di tovaglia e in una cipolla a metà. Sono grata a Roberta perché mi fa commuovere della brillantezza curva delle tazze, e mi fa pensare che la realtà sia buona, e valga la pena chinarsi a raccogliere l’uva per il vino nuovo come faceva, con mani meravigliosamente rugose e antiche, sua nonna. (Marina Sangiorgi).
Le nature morte di Roberta sono vive: la tovaglia a quadretti bianchi e rossi, la tazza con le uova, sembrano pulsare, risplendono di vita. Le cose sono buone, e belle. Questa visione non è scontata nella pittura contemporanea, che si presta all’insinuazione metafisica che le cose esistano soltanto come noi le percepiamo, o che non esistano del tutto (G. K. Chesterton). E quando le cose ci sono, la realtà rappresentata è brutale nella sua oggettività. Molta pittura, realista o iperrealista, si prefigge di sottolineare ciò che è più inquietante, grottesco, deforme o deformato. Oppure rappresenta il dato della realtà appiattito sul suo aspetto materiale, come se avesse una sola dimensione. Come se la realtà non avesse consistenza, storia, destino.
Invece per Roberta anche il pesce crudo (che ha i toni del grigio e del blu, appunto della crudezza,) è già quasi caldo, è pronto sullo strofinaccio da cucinare, è buono da mangiare, è giusto. Suscitando il pensiero che nella realtà ci sia una giustizia, e lo sguardo di Roberta riesca a coglierlo.
Nei suoi ritratti di donne emerge un tema fondamentale: l’attesa. Nel ritratto che si intitola appunto L’attesa il tormento della donna è detto con intensità e rispetto, grazia. Nei suoi ritratti Roberta è delicata e profonda. Sembra immaginare della donna tanti aspetti, intimi e segreti, e non li rivela. Ci svela solo un punto, un nodo fondamentale: il loro sguardo carico di nostalgia. La donna quasi sempre ha lo sguardo rivolto alla finestra, o alla porta, o all’orologio. Qualcosa deve succedere, deve accadere. Le donne ritratte da Roberta sono concentrate, riposano, ma non sono veramente rilassate: non sono mai tranquille, aspettano la vita che può ricominciare, ricomincia, burrascosa, l’attimo dopo.
Una donna si sta truccando allo specchio, si sta preparando, forse è sera, per una cena, una festa, e la sé stessa riflessa nello specchio la guarda, sospendendo il tempo, la guarda con una domanda, che potrebbe essere: chi sei?
Anch’io mi chiedo chi sono queste donne, le loro storie, da Cabirie o da Angeliche. In ogni volto, in ogni attimo, la somma dei significati è infinita.
Guardando i ritratti di Roberta vengono in mente i numerosi ritratti di donne di Edward Hopper (che in genere ritraeva sua moglie). Donne sole che guardano dalle finestre, e luce. E, forse, basta. Hopper è sicuramente un maestro per Roberta (ricordo con che entusiasmo ammirava le sue opere esposte a Milano a Palazzo reale nel 2009-2010). Hopper è un genio, che non mi consola.
Invece Roberta mi consola, perché mi fa vedere che c’è tutto in ogni cosa: in un pezzo di tovaglia e in una cipolla a metà. Sono grata a Roberta perché mi fa commuovere della brillantezza curva delle tazze, e mi fa pensare che la realtà sia buona, e valga la pena chinarsi a raccogliere l’uva per il vino nuovo come faceva, con mani meravigliosamente rugose e antiche, sua nonna. (Marina Sangiorgi).
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