Ozge Sahin. La Memoria Collettiva
Dal 17 Dicembre 2021 al 30 Dicembre 2021
Roma
Luogo: Sala Santa Rita
Indirizzo: Via Montanara
Orari: dal martedì alla domenica dalle 18,00 alle 21,00
Enti promotori:
- Roma Culture
Costo del biglietto: ingresso gratuito con Green Pass
Sito ufficiale: http://www.salasantarita.it
Inaugura il 17 dicembre nella Sala Santa Rita la mostra La Memoria Collettiva di Ozge Sahin, ultimo in ordine cronologico dei 12 progetti vincitori del “Bando di selezione Sala Santa Rita 2021”, promosso da ROMA Culture e affidato in gestione all’Azienda Speciale Palaexpo nell’ambito della sua missione di “Polo dell’arte e della cultura contemporanea”. Un esperimento che restituisce la Sala Santa Rita alla Città e la trasforma in un osservatorio attraverso il quale avvicinarsi ad opere d’arte di natura diversa, tutte ideate in stretta relazione con il luogo che le ospita e autentiche espressioni della creatività contemporanea.
L'opera di Ozge Sahin, nata durante il lockdown del 2020, ruota intorno al concetto di tempo e della sua percezione da parte del singolo e della collettività.
L'installazione realizzata per la Sala Santa Rita, caratterizzata da un telo su cui l'artista ha cucito i propri ricordi e le proprie emozioni, esprime la consapevolezza del legame tra memoria personale e memoria collettiva e deriva dall'esperienza di una nuova percezione del tempo non lineare.
Nello spazio che accoglie l'opera, simbolo anch'esso di un tempo che scorre e di una memoria che muta, si dispiega, da una parte, la memoria collettiva, circolare, che tocca tutti, spettatori inclusi, e dall'altra, l’intima percezione, in cui i ricordi e gli eventi sono strettamente legati alla vita dell'artista.
“La mia memoria individuale non potrà mai essere vissuta solo nello spazio chiuso della mia casa, si fa collettiva quando tocca un trauma come il lockdown. I segni circolari nell'opera indicano il desiderio di uscire dall’intimità e di connettersi con gli altri. L'opera non è più solo una terapia individuale, ma è volta a creare un dialogo tra "io" e "noi", il cerchio diventa simbolo di un insieme che accoglie tutti” racconta Ozge Sahin.
“Il silenzio, la solitudine mi hanno insegnato a connettere tutti i diversi tempi. Mentre ricamavo, cucivo, scrivevo, esprimevo me stessa, vivevo diversi stati d'animo come la noia, la paura, l'angoscia. Il mio orologio è diventato uno stato d'animo senza tempo, in cui le emozioni si sono sostituite alle ore, ai giorni, agli anni. La Memoria Collettiva racconta un tempo ciclico, emotivo e folle, senza una fine né un inizio” spiega l’artista.
L'opera site-specific è accompagnata da una registrazione audio.
Nelle giornate di apertura e chiusura della mostra - il 17 e il 30 dicembre - è prevista una performance di Giulia Manili. L’azione performativa si svolgerà in tre turni: alle 18, alle 19 e alle 20.
Originaria di Istanbul, Ozge Sahin è un’artista visiva che vive a Roma. Dopo la laurea presso l’Università di Istanbul Bilgi con specializzazione in relazioni internazionali, studia Grafica e Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Nei suoi ultimi lavori esplora il tema del tempo, spaziando dalla fotografia, all'uso del filo, all'installazione.
Tempo di Me Tempo di Noi - Testo critico di Carmela Rinaldi
La percezione del tempo per Ozge Sahin è cambiata dopo l’isolamento del 2020: Time doesn’t exist. Time is lost.
Il tempo è una condizione emotiva, una dimensione dell’anima e del pensiero che abbraccia nel presente sia il passato che il futuro, la memoria e l’attesa.
Tempo senza tempo, tempo sospeso, tempo dilatato in profondità, in cui Ozge, nel silenzio dell’intimità domestica, fa muovere ricordi ed emozioni attraverso un filo.
Il telo diventa un diario personale e impersonale allo stesso tempo, in cui l’atto del cucire (come quello dello scrivere) è simile ad una cura: il filo stabilisce una congiunzione tra interiorità e mondo esterno, tra memoria intima e memoria collettiva.
Come ci ha insegnato Maria Lai, l’ago sostituisce la penna e il filo subentra all’inchiostro, il linguaggio diventa gesto e si materializza: “un ago entra ed esce lasciandosi dietro un filo segno del suo cammino che unisce luoghi ed intenzioni”. Pensieri e grovigli, intrecci di storie, affidati alla memoria, in un percorso non lineare che unisce individuo e comunità. Il filo di Ozge è giallo ‘psichedelico’, un colore che contrasta con il nero del telo e che rende manifeste le sue visioni. Tracce luminose, epifanie fosforescenti, scie emotive, segni che si insinuano nell’oscurità. Il corpo femminile rappresenta la memoria intima, l’insieme di case ricalca il profilo di Artena, il paese in cui Ozge ha trascorso il lockdown, ed è traccia di un luogo reale ed immaginario ad un tempo, i segni circolari evocano le emozioni personali che si fondono con quelle collettive, il serpente che si morde la coda richiama alla mente l’uroboro a simboleggiare l’eternità e il cosmo, le vecchie foto di persone e luoghi sconosciuti denunciano una volontà di trattenere gli eventi, di inglobare il passato nel presente, i ricordi privati in quelli collettivi, il desiderio di “essere insieme” in un tempo di attesa e distanza, nei giorni che si confondono nello spazio sospeso dell’isolamento. E c’è la voce dell’artista, c’è il tentativo di scandire i momenti e l’impossibilità di farlo.
Collegare elementi disparati per Ozge è vedere la storia come simultanea, una storia non prescritta da uno svolgimento cronologico ma una storia del sentimento, in cui il discorso si ricuce di continuo su un tessuto di riverberi e convergenze, in cui lo spazio dell’interiorità trascende lo spazio della casa e del telo espandendosi senza limite, in cui non c’è un inizio e non c’è una fine e nulla svanisce e passa. Solo un movimento circolare che ingloba ogni cosa, come quello del corpo della performer che ad ogni passo accoglie dentro di sé tracce di vissuti e di emozioni stratificate, di spazio e di tempo, di io e di noi.”
L'opera di Ozge Sahin, nata durante il lockdown del 2020, ruota intorno al concetto di tempo e della sua percezione da parte del singolo e della collettività.
L'installazione realizzata per la Sala Santa Rita, caratterizzata da un telo su cui l'artista ha cucito i propri ricordi e le proprie emozioni, esprime la consapevolezza del legame tra memoria personale e memoria collettiva e deriva dall'esperienza di una nuova percezione del tempo non lineare.
Nello spazio che accoglie l'opera, simbolo anch'esso di un tempo che scorre e di una memoria che muta, si dispiega, da una parte, la memoria collettiva, circolare, che tocca tutti, spettatori inclusi, e dall'altra, l’intima percezione, in cui i ricordi e gli eventi sono strettamente legati alla vita dell'artista.
“La mia memoria individuale non potrà mai essere vissuta solo nello spazio chiuso della mia casa, si fa collettiva quando tocca un trauma come il lockdown. I segni circolari nell'opera indicano il desiderio di uscire dall’intimità e di connettersi con gli altri. L'opera non è più solo una terapia individuale, ma è volta a creare un dialogo tra "io" e "noi", il cerchio diventa simbolo di un insieme che accoglie tutti” racconta Ozge Sahin.
“Il silenzio, la solitudine mi hanno insegnato a connettere tutti i diversi tempi. Mentre ricamavo, cucivo, scrivevo, esprimevo me stessa, vivevo diversi stati d'animo come la noia, la paura, l'angoscia. Il mio orologio è diventato uno stato d'animo senza tempo, in cui le emozioni si sono sostituite alle ore, ai giorni, agli anni. La Memoria Collettiva racconta un tempo ciclico, emotivo e folle, senza una fine né un inizio” spiega l’artista.
L'opera site-specific è accompagnata da una registrazione audio.
Nelle giornate di apertura e chiusura della mostra - il 17 e il 30 dicembre - è prevista una performance di Giulia Manili. L’azione performativa si svolgerà in tre turni: alle 18, alle 19 e alle 20.
Originaria di Istanbul, Ozge Sahin è un’artista visiva che vive a Roma. Dopo la laurea presso l’Università di Istanbul Bilgi con specializzazione in relazioni internazionali, studia Grafica e Fotografia presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Nei suoi ultimi lavori esplora il tema del tempo, spaziando dalla fotografia, all'uso del filo, all'installazione.
Tempo di Me Tempo di Noi - Testo critico di Carmela Rinaldi
La percezione del tempo per Ozge Sahin è cambiata dopo l’isolamento del 2020: Time doesn’t exist. Time is lost.
Il tempo è una condizione emotiva, una dimensione dell’anima e del pensiero che abbraccia nel presente sia il passato che il futuro, la memoria e l’attesa.
Tempo senza tempo, tempo sospeso, tempo dilatato in profondità, in cui Ozge, nel silenzio dell’intimità domestica, fa muovere ricordi ed emozioni attraverso un filo.
Il telo diventa un diario personale e impersonale allo stesso tempo, in cui l’atto del cucire (come quello dello scrivere) è simile ad una cura: il filo stabilisce una congiunzione tra interiorità e mondo esterno, tra memoria intima e memoria collettiva.
Come ci ha insegnato Maria Lai, l’ago sostituisce la penna e il filo subentra all’inchiostro, il linguaggio diventa gesto e si materializza: “un ago entra ed esce lasciandosi dietro un filo segno del suo cammino che unisce luoghi ed intenzioni”. Pensieri e grovigli, intrecci di storie, affidati alla memoria, in un percorso non lineare che unisce individuo e comunità. Il filo di Ozge è giallo ‘psichedelico’, un colore che contrasta con il nero del telo e che rende manifeste le sue visioni. Tracce luminose, epifanie fosforescenti, scie emotive, segni che si insinuano nell’oscurità. Il corpo femminile rappresenta la memoria intima, l’insieme di case ricalca il profilo di Artena, il paese in cui Ozge ha trascorso il lockdown, ed è traccia di un luogo reale ed immaginario ad un tempo, i segni circolari evocano le emozioni personali che si fondono con quelle collettive, il serpente che si morde la coda richiama alla mente l’uroboro a simboleggiare l’eternità e il cosmo, le vecchie foto di persone e luoghi sconosciuti denunciano una volontà di trattenere gli eventi, di inglobare il passato nel presente, i ricordi privati in quelli collettivi, il desiderio di “essere insieme” in un tempo di attesa e distanza, nei giorni che si confondono nello spazio sospeso dell’isolamento. E c’è la voce dell’artista, c’è il tentativo di scandire i momenti e l’impossibilità di farlo.
Collegare elementi disparati per Ozge è vedere la storia come simultanea, una storia non prescritta da uno svolgimento cronologico ma una storia del sentimento, in cui il discorso si ricuce di continuo su un tessuto di riverberi e convergenze, in cui lo spazio dell’interiorità trascende lo spazio della casa e del telo espandendosi senza limite, in cui non c’è un inizio e non c’è una fine e nulla svanisce e passa. Solo un movimento circolare che ingloba ogni cosa, come quello del corpo della performer che ad ogni passo accoglie dentro di sé tracce di vissuti e di emozioni stratificate, di spazio e di tempo, di io e di noi.”
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