Virginio Quarta. Opere recenti
Dal 26 Luglio 2014 al 10 Settembre 2014
Ravello | Salerno
Luogo: Palazzo Avino
Indirizzo: via San Giovanni del Toro
Orari: tutti i giorni 10-13 / 18-22,30
Costo del biglietto: ingresso gratuito
Telefono per informazioni: +39 089 818181
E-Mail info: info@palazzoavino.com
Sito ufficiale: http://www.palazzoavino.com
Sabato 26 luglio, alle ore 19,30, presso la Sala Meeting dell'hotel Palazzo Avino di Ravello, sarà inaugurata la mostra "Opere recenti" di Virginio Quarta, con la direzione artistica dell'art promoter Bruno Mansi e l'organizzazione dell'Archivio Ravello Contemporanea.
La personale presenta un'ampia selezione di opere, tra dipinti, disegni, acquerelli, che l'artista salernitano ha dedicato alla Costa d'Amalfi in una sorta di segreto e intimo dialogo. Ancora alle prese con il mito della Costiera Amalfitana, Quarta immerge nuovamente il suo sguardo tra le forme seducenti della Divina, incorniciandole tra magiche architetture mediterranee.
In questo senso le opere proposte da Virginio Quarta sembrano ricostruire uno spazio sospeso tra passato e presente, un luogo d'incontro tra il ricordo dei viaggiatori di ieri e le aspettative di quelli di oggi, ugualmente attratti dalla seducente bellezza degli scenari, rapiti dall'incanto del mare in cui le montagne sembrano come tuffarsi, inebriati dall'aria mite che sa di gelsomino e di limoni, cullati dal lento e dolce scorrere del tempo.
Quarta dà sostanza a una dimensione ideale, sognante, intessendo la tela di memorie, quelle personali e quelle dei tanti ospiti che ancora oggi vengono rapiti senza scampo dal paesaggio che li circonda. Ogni camera da letto, ogni salottino che si attraversi, ogni finestra che si apre diventa un incontro con il sublime: architetture che sanno di oriente, eleganti arredi, morbidi e raffinati tessuti si mescolano a un'eccitante natura che esalta la tavolozza del pittore attento a cogliere ogni minimo particolare, ogni minimo cambiamento del colore e, quindi, della luce.
«Il silenzio è la sensazione prevalente, in una parola, la sospensione, che invade il nostro cuore quando ci troviamo a contatto con gli interni borghesi dei quadri di Quarta - così narra nel catalogo Alfonso Di Muro - volutamente privi di ogni presenza umana, ma non del tutto orfani delle orme e delle tracce lasciate dai protagonisti di scene abbandonate dagli attori: ed ecco allora letti disfatti, lenzuola stropicciate, poltrone che recano l'impronta della persona sedutavi in precedenza e che forse comunicano ancora il calore del corpo che per del tempo vi si era adagiato, luci d'interni ancora accese nonostante l'incombenza del chiarore diurno, libri aperti e di recente sfogliati ma lasciati sospesi e in attesa che il lettore se ne riappropri, bottiglie e bicchieri che sembrano recare ancora l'impronta di chi le ha usate di recente e li ha lasciati, sebbene per poco, orfani di un proprietario. Agli interni si contrappongono, dialogicamente, gli esterni che, come nei quadri di Magritte o di Hopper o come nella migliore tradizione del trompe l'oeil, fingono un paesaggio di là dell'orizzonte dell'interno borghese - di solito gli immancabili scorci della divina costiera e di Ravello in particolare - o talvolta sembrano alludere, non senza un sottile gioco di ambiguità, a un quadro nel quadro, a una gara di rimandi tra finzione e realtà che possiede precedenti illustri, da Velasquez a Manet e a Degas».
Nonostante, però, la resa evidentemente iperrealista, frutto di un lavoro paziente e minuzioso, capace di rincorrere il più capriccioso brillio, di accarezzare le superfici cangianti dei cuscini e di lenzuola increspate, Quarta ricerca un luogo dell'anima in cui realtà e sogno si confondono, in un gioco di specchi e di riflessi, in un continuo muoversi tra interno ed esterno, tra natura e artificio, dove poter vivere fino in fondo l'esercizio della pittura, dando cioè sostanza al sogno, alla fantasia, all'immateriale.
«Si tratta - spiega nel catalogo Luigi Mansi - della trasposizione sulla tela di uno stato d'animo personale, ma si tratta di un idem sentire nel quale tutti noi possiamo riconoscerci; di un conflitto di coscienza insorto fra l'uomo e l'artista, espresso senza atteggiamenti intellettualistici, ma con il fermo e consapevole proposito di rispecchiare una situazione interiore di dubbio, di incertezza ma anche di speranza. Virginio sembra voler trovare una risposta ad una domanda profonda, impegnativa, interrogativo di chi, come tutti è alla continua ricerca di se stesso. Pare voler mettere sulla tela tutta un'umanità, in una sublime via crucis dell'anima alla costante ricerca di una pace all'apparenza impossibile ma fortemente voluta, agognata, cercata nella gioia del vivere».
La personale presenta un'ampia selezione di opere, tra dipinti, disegni, acquerelli, che l'artista salernitano ha dedicato alla Costa d'Amalfi in una sorta di segreto e intimo dialogo. Ancora alle prese con il mito della Costiera Amalfitana, Quarta immerge nuovamente il suo sguardo tra le forme seducenti della Divina, incorniciandole tra magiche architetture mediterranee.
In questo senso le opere proposte da Virginio Quarta sembrano ricostruire uno spazio sospeso tra passato e presente, un luogo d'incontro tra il ricordo dei viaggiatori di ieri e le aspettative di quelli di oggi, ugualmente attratti dalla seducente bellezza degli scenari, rapiti dall'incanto del mare in cui le montagne sembrano come tuffarsi, inebriati dall'aria mite che sa di gelsomino e di limoni, cullati dal lento e dolce scorrere del tempo.
Quarta dà sostanza a una dimensione ideale, sognante, intessendo la tela di memorie, quelle personali e quelle dei tanti ospiti che ancora oggi vengono rapiti senza scampo dal paesaggio che li circonda. Ogni camera da letto, ogni salottino che si attraversi, ogni finestra che si apre diventa un incontro con il sublime: architetture che sanno di oriente, eleganti arredi, morbidi e raffinati tessuti si mescolano a un'eccitante natura che esalta la tavolozza del pittore attento a cogliere ogni minimo particolare, ogni minimo cambiamento del colore e, quindi, della luce.
«Il silenzio è la sensazione prevalente, in una parola, la sospensione, che invade il nostro cuore quando ci troviamo a contatto con gli interni borghesi dei quadri di Quarta - così narra nel catalogo Alfonso Di Muro - volutamente privi di ogni presenza umana, ma non del tutto orfani delle orme e delle tracce lasciate dai protagonisti di scene abbandonate dagli attori: ed ecco allora letti disfatti, lenzuola stropicciate, poltrone che recano l'impronta della persona sedutavi in precedenza e che forse comunicano ancora il calore del corpo che per del tempo vi si era adagiato, luci d'interni ancora accese nonostante l'incombenza del chiarore diurno, libri aperti e di recente sfogliati ma lasciati sospesi e in attesa che il lettore se ne riappropri, bottiglie e bicchieri che sembrano recare ancora l'impronta di chi le ha usate di recente e li ha lasciati, sebbene per poco, orfani di un proprietario. Agli interni si contrappongono, dialogicamente, gli esterni che, come nei quadri di Magritte o di Hopper o come nella migliore tradizione del trompe l'oeil, fingono un paesaggio di là dell'orizzonte dell'interno borghese - di solito gli immancabili scorci della divina costiera e di Ravello in particolare - o talvolta sembrano alludere, non senza un sottile gioco di ambiguità, a un quadro nel quadro, a una gara di rimandi tra finzione e realtà che possiede precedenti illustri, da Velasquez a Manet e a Degas».
Nonostante, però, la resa evidentemente iperrealista, frutto di un lavoro paziente e minuzioso, capace di rincorrere il più capriccioso brillio, di accarezzare le superfici cangianti dei cuscini e di lenzuola increspate, Quarta ricerca un luogo dell'anima in cui realtà e sogno si confondono, in un gioco di specchi e di riflessi, in un continuo muoversi tra interno ed esterno, tra natura e artificio, dove poter vivere fino in fondo l'esercizio della pittura, dando cioè sostanza al sogno, alla fantasia, all'immateriale.
«Si tratta - spiega nel catalogo Luigi Mansi - della trasposizione sulla tela di uno stato d'animo personale, ma si tratta di un idem sentire nel quale tutti noi possiamo riconoscerci; di un conflitto di coscienza insorto fra l'uomo e l'artista, espresso senza atteggiamenti intellettualistici, ma con il fermo e consapevole proposito di rispecchiare una situazione interiore di dubbio, di incertezza ma anche di speranza. Virginio sembra voler trovare una risposta ad una domanda profonda, impegnativa, interrogativo di chi, come tutti è alla continua ricerca di se stesso. Pare voler mettere sulla tela tutta un'umanità, in una sublime via crucis dell'anima alla costante ricerca di una pace all'apparenza impossibile ma fortemente voluta, agognata, cercata nella gioia del vivere».
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