La ferita della bellezza. Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina
Dal 21 Giugno 2019 al 03 Novembre 2019
Riva del Garda | Trento
Luogo: MAG Museo Alto Garda
Indirizzo: piazza Cesare Battisti 3/A
Orari: 10-18 (chiuso il lunedì nel mese di ottobre)
Curatori: Massimo Recalcati
Enti promotori:
- Patrocinio di
- Fondazione Palazzo Albizzini Collezione Burri
- Regione Sicilia
- Comune di Gibellina
- Fondazione Orestiadi
Telefono per informazioni: +39 0464 573869
E-Mail info: info@museoaltogarda.it
Sito ufficiale: http://www.museoaltogarda.it
Sarà inaugurata venerdì 21 giugno 2019 alle ore 18.30 al MAG di Riva del Garda la mostra curata da Massimo Recalcati La ferita della bellezza. Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina.
Alberto Burri, chiamato a realizzare un intervento per la ricostruzione del paese distrutto dal terremoto nella Valle del Belice del 1968, decide di intervenire sulle macerie della città di Gibellina, creando l’opera di Land Art più grande al mondo. Le ricopre di un sudario bianco, di un’enorme gettata di cemento che ingloba i resti e riveste, in parte ricalcandola, la planimetria della vecchia Gibellina.
La mostra La ferita della bellezza. Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina è un progetto itinerante curato da Massimo Recalcati con il coordinamento scientifico di Alessandro Sarteanesi, prodotta e realizzata da Magonza editore. Dopo essere stata allestita nelle sale del Museo Carlo Bilotti – Aranciera di Villa Borghese di Roma, giunge al MAG di Riva del Garda, in collaborazione con il Mart Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto, dal 22 giugno al 3 novembre 2019.
Partendo dal grande intervento del Grande Cretto di Gibellina, l'esposizione risale il percorso dell'artista con una selezione di lavori esemplari, letti in relazione alla poetica della ferita, tema che nell’interpretazione di Massimo Recalcati attraversa la sua intera opera, incidendo la materia, disegnando strappi, lacerazioni, crettature, bruciature, giungendo sino a declinazioni inedite che pensano ad una genesi e a un processo di carattere spirituale.
Culmine del percorso interpretativo sono le fotografie in bianco e nero di Aurelio Amendola sul Grande Cretto. Fotografo che per eccellenza ha raccolto le immagini di Burri, dei suoi lavori e dei processi creativi, Amendola ha realizzato gli scatti in due riprese, nel 2011 e nel 2018, a completamento avvenuto dell’opera (2015).
Nel percorso inoltre, il video Il Grande Cretto di Gibellina di Petra Noordkamp – prodotto e presentato nel 2015 dal Guggenheim Museum di New York, in occasione della grande retrospettiva The Trauma of Painting – filma in un racconto poetico e di grande sapienza tecnica l’opera di Burri e il paesaggio circostante.
Alcune opere uniche dell’artista, veri e propri capolavori, inoltre, estendono non solo ai Cretti ma anche ai Sacchi, ai Catrami, alle Plastiche e a una selezione di opere grafiche la lettura proposta dal celebre psicanalista.
«È una ferita che è dappertutto, che trema ovunque. Una scossa, un tormento, un precipitare di fessurazioni infinite ed ingovernabili». Come scrive Recalcati in Alberto Burri e il Grande Cretto di Gibellina, «nei Legni la ferita è generata dal fuoco e dalla carbonizzazione del materiale ma, soprattutto, dal resto che sopravvive alla bruciatura. Nelle Combustioni, lo sgretolamento della materia, la manifestazione della sua umanissima friabilità, della sua più radicale vulnerabilità, viene restituita con grande equilibrio poetico e formale. È ciò che avviene anche con le Plastiche dove, ancora una volta, è sempre l’uso del fuoco a infliggere su di una materia debole ed inconsistente come la plastica, l’ustione della vita e della morte».
In occasione della mostra è realizzato dalla casa editrice Magonza un importante volume stampato su carta di pregio e di grande formato con testimonianze e ricerche inedite su Alberto Burri, la sua opera e Il Grande Cretto di Gibellina. Un nuovo testo di Massimo Recalcati raccoglierà gli sviluppi ulteriori della sua ricerca, insieme a interventi di storici dell'arte quali Gianfranco Maraniello e Aldo Iori.
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