Paganin e Fioravanti. Il grido e il canto

Ilario Fioravanti, Madre, figlia e colomba, 1985. Casa dell’Upupa – Ilario Fioravanti I Ph. Carlo Vannini

 

Dal 07 Dicembre 2024 al 16 Marzo 2025

Rovereto | Trento

Luogo: Mart Rovereto

Indirizzo: Corso Bettini 43

Orari: mar, mer, gio, dom: 10.00-18.00 ven, sab 10.00-19.30 Lunedì chiuso

Curatori: Marina Pizziolo e Marisa Zattini. Da un’idea di Vittorio Sgarbi

Costo del biglietto: Intero 15 Euro Ridotto 10 Euro Gratuito fino ai 14 anni e persone con disabilità

Telefono per informazioni: +39 0465 670820

E-Mail info: info@mart.trento.it

Sito ufficiale: http://www.mart.trento.it


Paganin e Fioravanti. Il grido e il canto presenta un confronto tra le opere di Giovanni Paganin (Asiago, 1913 - Milano, 1997) e Ilario Fioravanti (Cesena, 1922 - Savignano sul Rubicone, 2012), interpreti di una scultura potente ed espressiva, che mette al centro la figura umana, raccontandola talora con grande drammaticità.
Lontani dalle avanguardie, i due artisti restano fedeli all’idea che scolpire è dare forma al corpo. Per Paganin il corpo è un potente simulacro, un affondo solitario e consapevole nel dolore del vivere, che la rigorosa nudità colloca fuori dal tempo. Per Fioravanti, invece, è il luogo della storia.
 
Come messo in luce dal titolo stesso della mostra, Il grido e il canto, le poetiche dei due protagonisti sono profondamente diverse; tuttavia proprio le differenze di soggetto e di linguaggio offrono uno sguardo sulle molteplici possibilità della scultura figurativa.
L’inedito accostamento rappresenta un vero e proprio osservatorio privilegiato perché, scrive Marina Pizziolo in catalogo, «rivela aspetti dei due che sarebbero difficili da cogliere nello studio separato delle loro opere. Perché come sempre è dal contrasto, dalla negazione, dalla definizione delle diversità, che scaturisce la rivendicazione dell’identità».
 
Al Mart l’allestimento mette in scena un appassionante corpo a corpo: da un lato le figure nude, brutali, e i gesti esasperati di Paganin; dall’altro il mascheramento, l’ironia e lo sguardo più sereno, ma mai superficiale, di Fioravanti.
 
La mostra si inserisce nel filone di indagine fortemente voluto dal Presidente Vittorio Sgarbi sui “dimenticati dell’arte”, quegli artisti meno noti al grande pubblico e colpevolmente non valorizzati dal sistema dell’arte, il cui valore è innegabile e la cui riscoperta è oggi doverosa.
Il progetto espositivo è stato affidato a Marina Pizziolo e Marisa Zattini, curatrici indipendenti e profonde conoscitrici dell’opera dei due artisti, ed è accompagnato da un catalogo che accoglie, oltre ai saggi delle curatrici, un prezioso contributo dello scrittore Giuseppe Mendicino, che indaga il rapporto di amicizia tra Paganin e Mario Rigoni Stern, e la ripubblicazione dell’importante dialogo tra Tonino Guerra e Ilario Fioravanti.

Giovanni Paganin
Nasce ad Asiago il 3 giugno 1913 e trascorre l’infanzia nei luoghi che erano stati teatro della Prima guerra mondiale. Nel 1938 si trasferisce a Milano, lo stesso anno in cui nasce la rivista “Corrente”, che avrebbe riunito le forze più vive dell’opposizione culturale al regime fascista. Nel 1941 espone le sue opere alla Bottega di Corrente che, dopo la soppressione della rivista, aveva aperto i suoi battenti in via della Spiga. La mostra si inaugura mentre l’artista è al fronte.
Nel dopoguerra, Paganin fa proprie le istanze del realismo, partecipa al fermento civile e culturale che si esprime su pagine di riviste come “Il ‘45”, “Numero” e “Pittura” ed è tra i firmatari del manifesto Oltre Guernica.
Nel 1948 è invitato alla Biennale di Venezia e alla Quadriennale di Roma e, in seguito, a importanti mostre in Germania, in Giappone e negli Stati Uniti. Nel 1964 la Biennale di Venezia gli dedica una personale.
Muore a Milano il 29 maggio 1997.

Ilario Fioravanti
Nasce a Cesena il 25 settembre 1922.
Fin da giovanissimo, prima con il disegno, poi attraverso l’incisione e la scultura, si avvicina alle arti figurative. Nel 1949 si laurea in architettura all’Università di Firenze. Negli anni Sessanta ritorna alla scultura realizzando una serie di ritratti e si appassiona all’arte arcaica. La sua prima personale, a Cesena, risale al 1966 ma è grazie allo scrittore Giovanni Testori, suo mentore, che raggiunge una maggiore notorietà, a partire dalla mostra alla Galleria Compagnia del disegno di Milano, nel 1990. In seguito, Vittorio Sgarbi curerà le sue mostre personali a Spoleto e Potenza. Nel 2008, a Palazzo Romagnoli a Cesena, gli viene dedicata la grande mostra Il destino di un “Uomo” nell’Arte, curata da Marisa Zattini e Antonio Paolucci.
Muore a Savignano sul Rubicone il 29 gennaio 2012.
 

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