Firenze: terminato il restauro della Porta della Mandorla
Antonio Quattrone |
Porta della Mandorla, Nanni di Banco e collaboratori, 1391 -1422
04/06/2012
Firenze - Il più bello dei portali del Duomo di Firenze, la Porta della Mandorla, ultima delle sette porte della Cattedrale ad essere decorata, torna visibile dopo un restauro durato 10 anni.
Prima del restauro, la superficie dell’opera si presentava ricoperta da uno strato scuro e di spessore molto variabile causato dai depositi atmosferici. Le indagini diagnostiche hanno messo in luce, inoltre, la presenza di scialbi (strati di intonaco), risultati poi aggiunti tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, e le tracce di una pellicola apposta sul marmo di Carrara di cui è fatta l’opera, probabilmente un iniziale trattamento ad olio, una sorta di strato pittorico pigmentato con finissime ocre e nero carbone che conferiva al rilievo, verosimilmente, un aspetto giallastro.
Il restauro è stato commissionato dall’Opera di Santa Maria del Fiore ed è stato eseguito con la tecnica del laser che ha completamente rimosso lo strato di depositi atmosferici e gli scialbi, lasciando in molte zone un sottile strato della pellicola, ben legata al marmo sottostante, che può esercitare un’azione protettiva contro la solfatazione ed erosione ambientale. Le piccole modulazioni cromatiche e di luminosità che si osservano oggi sull’opera, sono attribuibili al rispetto della pellicola a ossalati e a effetti locali di penetrazioni di sostanze oleose e pigmenti al di sotto della superficie del marmo. “Queste, su un capolavoro realizzato sei secoli fa -affermano Salvatore Siano IFAC-CNR e Paolo Bianchini dell’Opera nella relazione del restauro - non sono altro che la traccia tangibile del suo vissuto: da un lato non sarebbe stato possibile eliminarle senza danneggiare l’opera, dall’altro si sarebbe riportato la superficie a un candore che non ha mai avuto”.
La Porta della Mandorla è l’opera monumentale che meglio documenta l’evoluzione della scultura fiorentina tra la fine del Tre e gli inizi del Quattrocento: un frontispizio di marmo in rilievo e intarsiato alto 18 metri, realizzato tra il 1391 e 1422 da maestri di più generazioni tra cui Donatello, Giovanni Tedesco, Lorenzo d’Ambrogio, Niccolò di Pietro Lamberti e Bernardo Ciuffagni e soprattutto Nanni di Banco. Nanni e i suoi collaboratori realizzeranno questa scena monumentale in 11 sezioni, verosimilmente assemblate in loco dopo il decesso del maestro nel 1421. Fu infatti la morte prematura dell’artista a oscurare la fama dell’opera, elogiata dal Vasari ma da lui erroneamente attribuita a Jacopo della Quercia. Tra i collaboratori di Nanni di Banco si ipotizza anche la presenza del giovane Luca della Robbia per la forte rassomiglianza di alcuni degli angeli musicanti con i fanciulli che Luca eseguirà per la celebre cantoria di Santa Maria del Fiore, oggi al Museo dell’Opera.
Il restauro ha interessato non solo la Porta della Mandorla, ma un’ampia porzione della facciata pari a circa 700 metri quadri.
Prima del restauro, la superficie dell’opera si presentava ricoperta da uno strato scuro e di spessore molto variabile causato dai depositi atmosferici. Le indagini diagnostiche hanno messo in luce, inoltre, la presenza di scialbi (strati di intonaco), risultati poi aggiunti tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, e le tracce di una pellicola apposta sul marmo di Carrara di cui è fatta l’opera, probabilmente un iniziale trattamento ad olio, una sorta di strato pittorico pigmentato con finissime ocre e nero carbone che conferiva al rilievo, verosimilmente, un aspetto giallastro.
Il restauro è stato commissionato dall’Opera di Santa Maria del Fiore ed è stato eseguito con la tecnica del laser che ha completamente rimosso lo strato di depositi atmosferici e gli scialbi, lasciando in molte zone un sottile strato della pellicola, ben legata al marmo sottostante, che può esercitare un’azione protettiva contro la solfatazione ed erosione ambientale. Le piccole modulazioni cromatiche e di luminosità che si osservano oggi sull’opera, sono attribuibili al rispetto della pellicola a ossalati e a effetti locali di penetrazioni di sostanze oleose e pigmenti al di sotto della superficie del marmo. “Queste, su un capolavoro realizzato sei secoli fa -affermano Salvatore Siano IFAC-CNR e Paolo Bianchini dell’Opera nella relazione del restauro - non sono altro che la traccia tangibile del suo vissuto: da un lato non sarebbe stato possibile eliminarle senza danneggiare l’opera, dall’altro si sarebbe riportato la superficie a un candore che non ha mai avuto”.
La Porta della Mandorla è l’opera monumentale che meglio documenta l’evoluzione della scultura fiorentina tra la fine del Tre e gli inizi del Quattrocento: un frontispizio di marmo in rilievo e intarsiato alto 18 metri, realizzato tra il 1391 e 1422 da maestri di più generazioni tra cui Donatello, Giovanni Tedesco, Lorenzo d’Ambrogio, Niccolò di Pietro Lamberti e Bernardo Ciuffagni e soprattutto Nanni di Banco. Nanni e i suoi collaboratori realizzeranno questa scena monumentale in 11 sezioni, verosimilmente assemblate in loco dopo il decesso del maestro nel 1421. Fu infatti la morte prematura dell’artista a oscurare la fama dell’opera, elogiata dal Vasari ma da lui erroneamente attribuita a Jacopo della Quercia. Tra i collaboratori di Nanni di Banco si ipotizza anche la presenza del giovane Luca della Robbia per la forte rassomiglianza di alcuni degli angeli musicanti con i fanciulli che Luca eseguirà per la celebre cantoria di Santa Maria del Fiore, oggi al Museo dell’Opera.
Il restauro ha interessato non solo la Porta della Mandorla, ma un’ampia porzione della facciata pari a circa 700 metri quadri.
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