Arturo Galansino parla della prossima esposizione a Firenze
American Art 1961-2001: a Palazzo Strozzi 40 anni di arte americana tra diversità e diritti civili
Gary Simmons, Us and Them, 1991, Minneapolis, Walker Art Center
Samantha De Martin
17/06/2020
Firenze - Una fortuita coincidenza vuole che le opere della prossima mostra di punta di Palazzo Strozzi, dedicata all’arte americana, provengano da Minneapolis - città simbolo di forti proteste dopo "il caso" George Floyd - per ripercorrere 40 anni di storia artistica a stelle e strisce strizzando l’occhio ai temi della diversità e della lotta per i diritti civili.
L’illustre istituzione fiorentina si impegna così, ancora una volta, a sedurre il proprio pubblico attraverso i temi più rilevanti e urgenti del nostro presente.
Dal 20 marzo al 25 luglio 2021 al Piano Nobile di Palazzo Strozzi, American Art 1961-2001 racconterà - attraverso un centinaio di opere provenienti dalle collezioni del Walker Art Center di Minneapolis - il secondo museo di arte contemporanea negli Stati Uniti - quarant’anni di vicende artistiche e avvenimenti storici, dalla guerra in Vietnam fino all’attacco alle Twin Towers.
Arturo Galansino, direttore della Fondazione Palazzo Strozzi, curerà questo viaggio assieme a Vincenzo de Bellis, curator of Visual Arts del Walker Art Center.
Che tipo di percorso sarà quello a Palazzo Strozzi e che tipo di America vuole raccontare?
“Attraverso la storia dell’arte e le opere dei più grandi artisti di questi 40 anni, abbiamo voluto tracciare un percorso incentrato non solo sugli sviluppi artistici, ma anche in grado di narrare la storia americana di questo periodo. Seguendo una linea cronologica partiremo dal post espressionismo astratto con Mark Rothko per arrivare al 2001 e ad artisti come Matthew Barney. In mezzo si collocano la Pop art, con Andy Warhol, il Neo-Dada con Robert Rauschenberg e Jasper Johns, le performance di Bruce Nauman o il minimalismo di Donald Judd, e avranno ampio spazio diversi artisti che si sono serviti dell’arte in modo più militante”.
Il Walker Art Center di Minneapolis | Foto: Rachel Joyce | Courtesy Walker Art Museum
La mostra sarà incentrata su tematiche sociali importanti e attuali, dal razzismo ai diritti civili. Potrebbe anticiparci qualcosa?
“La mostra, curata da me e da Vincenzo de Bellis, alla quale lavoriamo da più di tre anni, rende conto della grande varietà artistica e culturale americana affrontando, specie nell’ultima sezione, temi importanti, oggi all’ordine del giorno, come il razzismo, i diritti civili e la discriminazione".
Ci saranno anche artiste?
“Abbiamo cercato di dare il dovuto spazio alle artiste donne - penso ad esempio all’afroamericana Kara Walker che sarà grande protagonista - con l’obiettivo di cambiare la narrazione della storia dell’arte americana, fuori da un mainstream ancora fortemente incentrato nella percezione del grande pubblico intorno ad artisti maschi e bianchi”.
Il percorso porta avanti il discorso iniziato nel 2016 con le Collezioni dei Guggenheim a Palazzo Strozzi. Oltre alla mostra in programma, quali sorprese attendono in visitatore nell’anno dedicato all’arte americana?
“Dal punto di vista della programmazione cerchiamo sempre di percorrere linee di ricerca con coerenza, con uno sguardo sempre rivolto all’attualità. La mostra in programma a Palazzo Strozzi completa un percorso intrapreso con la mostra del 2016 dedicata alle Collezioni dei Guggenheim, che ha svelato al pubblico la grande arte americana dagli anni Quaranta ai Cinquanta. Con American Art 1961-2001 si riparte dall’ inizio degli anni Sessanta fino al 2001. Un’indagine con una periodizzazione ampia e mai utilizzata prima in una mostra. E ancora una volta ci serviremo dell’arte per parlare di temi importanti. Questa ricerca proseguirà nel 2021, anno interamente dedicato all’arte americana. A settembre avremo Shine, la più importante esposizione mai realizzata in Italia su Jeff Koons, l’icona dell'arte contemporanea globale che trova nell’idea di “lucentezza” una delle principali caratteristiche della sua arte”.
Jeff Koons, Rabbit, 1986, Collection Museum of Contemporary Art Chicago | Foto: Nathan Keay | © MCA Chicago | © Jeff Koons
La collezione di opere proviene proprio da Minneapolis, città dalla quale, dopo l’uccisione dell’afroamericano George Floyd, è partito il forte movimento di protesta che ha avuto pesanti ripercussioni. Pensiamo alla furia iconoclasta che ha portato al danneggiamento e, in molti casi, all’abbattimento di alcune statue ritenute razziste. Si tratta di episodi che si ripetono e che, in passato hanno visto coinvolti gli stessi artisti. In che modo?
“Come abbiamo visto in passato, diversi artisti, specie di colore, hanno lavorato partendo da proteste simili a quelle delle scorse settimane. Sono reazioni di fronte a discriminazioni e ingiustizie che purtroppo continuano nella società americana, e a volte sfociano in proteste su larga scala come in questi giorni. Si tratta di artisti che sono vissuti con questi problemi, con sotto gli occhi situazioni intollerabili, che per forza son entrate nella loro ricerca espressiva”.
Può farci qualche esempio?
“Artisti di colore come Glenn Ligon, Gary Simmons, Kerry James Marshall o Kara Walker si sono imposti nel panorama artistico americano grazie alla capacità di utilizzare la loro arte per parlare di questi temi sociali con un linguaggio di forte impatto e suggestione. Un’ampia sezione della mostra American Art 1961-2001 metterà in luce queste figure che hanno dimostrato con le loro opere una forza espressiva senza precedenti, figlia di ingiustizie e tensioni che ancora oggi sono lontane da essere risolte.
Ad esempio, Kerry James Marshall spazia dall’astrazione al fumetto, dalla pittura alla fotografia, imponendosi negli anni Novanta come uno dei maggiori artisti in grado di raccontare la storia e il presente dell’identità nera negli Stati Uniti. A Palazzo Strozzi saranno esposte le opere degli anni Ottanta che riprendono slogan del movimento per i diritti civili degli anni Cinquanta e Sessanta, come ‘Black is Beautiful’, ‘Black Power’, ‘We Shall Overcome’, ‘By Any Means Necessary’, ‘Burn Baby Burn’”.
Kerry James Marshall, “BLACK POWER”, 1998, Minneapolis, Walker Art Center
È possibile punire la storia prendendosela con l’arte? Perché l’arte diventa il primo bersaglio della rabbia?
“Non è l’arte a diventare bersaglio della rabbia, e comunque ogni situazione va esaminata caso per caso, piuttosto lo sono i simboli. Bisogna contestualizzare queste distruzioni. Le proteste in molti casi investono infatti monumenti posti piuttosto recentemente, in particolare negli Stati Uniti del Sud, dedicati a personaggi della Guerra di Secessione la cui vicenda storica è macchiata dal razzismo e dallo schiavismo. Non si tratta di prendersela con l’arte - ammesso che queste statue abbiano un valore artistico - ma con quei simboli collocati, quasi a sfregio, in un determinato contesto.
Oggi si parla di musealizzare questi e altri monumenti. Potrebbe essere una soluzione, ma in generale molte opere di arte pubblica richiederebbero per lo meno una spiegazione storica”.
Una ripartenza in grande per Palazzo Strozzi dopo il lockdown. Che tipo di pubblico vi aspettate?
“Palazzo Strozzi riparte con grandi mostre come Tomás Saraceno. Aria, aperta fino al 1° novembre, capaci di attrarre un turismo di qualità in un momento in cui Firenze e l’Italia hanno bisogno di essere particolarmente attrattive per un certo tipo di visitatori. Siamo all’inizio della riapertura, le nostre città d’arte sono in attesa di quel turismo colto, raffinato, attento, sostenibile che secondo le nostre statistiche viene a Firenze appositamente per le mostre di Palazzo Strozzi. I prossimi due appuntamenti saranno sicuro uno strumento importante per far ripartire il turismo nella nostra città, due asset per ricominciare a costruire, attraverso la cultura, anche un’economia sana”.
Palazzo Strozzi, Firenze
Leggi anche:
• Tomas Saraceno. Aria
L’illustre istituzione fiorentina si impegna così, ancora una volta, a sedurre il proprio pubblico attraverso i temi più rilevanti e urgenti del nostro presente.
Dal 20 marzo al 25 luglio 2021 al Piano Nobile di Palazzo Strozzi, American Art 1961-2001 racconterà - attraverso un centinaio di opere provenienti dalle collezioni del Walker Art Center di Minneapolis - il secondo museo di arte contemporanea negli Stati Uniti - quarant’anni di vicende artistiche e avvenimenti storici, dalla guerra in Vietnam fino all’attacco alle Twin Towers.
Arturo Galansino, direttore della Fondazione Palazzo Strozzi, curerà questo viaggio assieme a Vincenzo de Bellis, curator of Visual Arts del Walker Art Center.
Che tipo di percorso sarà quello a Palazzo Strozzi e che tipo di America vuole raccontare?
“Attraverso la storia dell’arte e le opere dei più grandi artisti di questi 40 anni, abbiamo voluto tracciare un percorso incentrato non solo sugli sviluppi artistici, ma anche in grado di narrare la storia americana di questo periodo. Seguendo una linea cronologica partiremo dal post espressionismo astratto con Mark Rothko per arrivare al 2001 e ad artisti come Matthew Barney. In mezzo si collocano la Pop art, con Andy Warhol, il Neo-Dada con Robert Rauschenberg e Jasper Johns, le performance di Bruce Nauman o il minimalismo di Donald Judd, e avranno ampio spazio diversi artisti che si sono serviti dell’arte in modo più militante”.
Il Walker Art Center di Minneapolis | Foto: Rachel Joyce | Courtesy Walker Art Museum
La mostra sarà incentrata su tematiche sociali importanti e attuali, dal razzismo ai diritti civili. Potrebbe anticiparci qualcosa?
“La mostra, curata da me e da Vincenzo de Bellis, alla quale lavoriamo da più di tre anni, rende conto della grande varietà artistica e culturale americana affrontando, specie nell’ultima sezione, temi importanti, oggi all’ordine del giorno, come il razzismo, i diritti civili e la discriminazione".
Ci saranno anche artiste?
“Abbiamo cercato di dare il dovuto spazio alle artiste donne - penso ad esempio all’afroamericana Kara Walker che sarà grande protagonista - con l’obiettivo di cambiare la narrazione della storia dell’arte americana, fuori da un mainstream ancora fortemente incentrato nella percezione del grande pubblico intorno ad artisti maschi e bianchi”.
Il percorso porta avanti il discorso iniziato nel 2016 con le Collezioni dei Guggenheim a Palazzo Strozzi. Oltre alla mostra in programma, quali sorprese attendono in visitatore nell’anno dedicato all’arte americana?
“Dal punto di vista della programmazione cerchiamo sempre di percorrere linee di ricerca con coerenza, con uno sguardo sempre rivolto all’attualità. La mostra in programma a Palazzo Strozzi completa un percorso intrapreso con la mostra del 2016 dedicata alle Collezioni dei Guggenheim, che ha svelato al pubblico la grande arte americana dagli anni Quaranta ai Cinquanta. Con American Art 1961-2001 si riparte dall’ inizio degli anni Sessanta fino al 2001. Un’indagine con una periodizzazione ampia e mai utilizzata prima in una mostra. E ancora una volta ci serviremo dell’arte per parlare di temi importanti. Questa ricerca proseguirà nel 2021, anno interamente dedicato all’arte americana. A settembre avremo Shine, la più importante esposizione mai realizzata in Italia su Jeff Koons, l’icona dell'arte contemporanea globale che trova nell’idea di “lucentezza” una delle principali caratteristiche della sua arte”.
Jeff Koons, Rabbit, 1986, Collection Museum of Contemporary Art Chicago | Foto: Nathan Keay | © MCA Chicago | © Jeff Koons
La collezione di opere proviene proprio da Minneapolis, città dalla quale, dopo l’uccisione dell’afroamericano George Floyd, è partito il forte movimento di protesta che ha avuto pesanti ripercussioni. Pensiamo alla furia iconoclasta che ha portato al danneggiamento e, in molti casi, all’abbattimento di alcune statue ritenute razziste. Si tratta di episodi che si ripetono e che, in passato hanno visto coinvolti gli stessi artisti. In che modo?
“Come abbiamo visto in passato, diversi artisti, specie di colore, hanno lavorato partendo da proteste simili a quelle delle scorse settimane. Sono reazioni di fronte a discriminazioni e ingiustizie che purtroppo continuano nella società americana, e a volte sfociano in proteste su larga scala come in questi giorni. Si tratta di artisti che sono vissuti con questi problemi, con sotto gli occhi situazioni intollerabili, che per forza son entrate nella loro ricerca espressiva”.
Può farci qualche esempio?
“Artisti di colore come Glenn Ligon, Gary Simmons, Kerry James Marshall o Kara Walker si sono imposti nel panorama artistico americano grazie alla capacità di utilizzare la loro arte per parlare di questi temi sociali con un linguaggio di forte impatto e suggestione. Un’ampia sezione della mostra American Art 1961-2001 metterà in luce queste figure che hanno dimostrato con le loro opere una forza espressiva senza precedenti, figlia di ingiustizie e tensioni che ancora oggi sono lontane da essere risolte.
Ad esempio, Kerry James Marshall spazia dall’astrazione al fumetto, dalla pittura alla fotografia, imponendosi negli anni Novanta come uno dei maggiori artisti in grado di raccontare la storia e il presente dell’identità nera negli Stati Uniti. A Palazzo Strozzi saranno esposte le opere degli anni Ottanta che riprendono slogan del movimento per i diritti civili degli anni Cinquanta e Sessanta, come ‘Black is Beautiful’, ‘Black Power’, ‘We Shall Overcome’, ‘By Any Means Necessary’, ‘Burn Baby Burn’”.
Kerry James Marshall, “BLACK POWER”, 1998, Minneapolis, Walker Art Center
È possibile punire la storia prendendosela con l’arte? Perché l’arte diventa il primo bersaglio della rabbia?
“Non è l’arte a diventare bersaglio della rabbia, e comunque ogni situazione va esaminata caso per caso, piuttosto lo sono i simboli. Bisogna contestualizzare queste distruzioni. Le proteste in molti casi investono infatti monumenti posti piuttosto recentemente, in particolare negli Stati Uniti del Sud, dedicati a personaggi della Guerra di Secessione la cui vicenda storica è macchiata dal razzismo e dallo schiavismo. Non si tratta di prendersela con l’arte - ammesso che queste statue abbiano un valore artistico - ma con quei simboli collocati, quasi a sfregio, in un determinato contesto.
Oggi si parla di musealizzare questi e altri monumenti. Potrebbe essere una soluzione, ma in generale molte opere di arte pubblica richiederebbero per lo meno una spiegazione storica”.
Una ripartenza in grande per Palazzo Strozzi dopo il lockdown. Che tipo di pubblico vi aspettate?
“Palazzo Strozzi riparte con grandi mostre come Tomás Saraceno. Aria, aperta fino al 1° novembre, capaci di attrarre un turismo di qualità in un momento in cui Firenze e l’Italia hanno bisogno di essere particolarmente attrattive per un certo tipo di visitatori. Siamo all’inizio della riapertura, le nostre città d’arte sono in attesa di quel turismo colto, raffinato, attento, sostenibile che secondo le nostre statistiche viene a Firenze appositamente per le mostre di Palazzo Strozzi. I prossimi due appuntamenti saranno sicuro uno strumento importante per far ripartire il turismo nella nostra città, due asset per ricominciare a costruire, attraverso la cultura, anche un’economia sana”.
Palazzo Strozzi, Firenze
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