Il 24 agosto 1540 moriva a 37 anni l’artista "gentile"
480 anni fa l'addio a Parmigianino, il pittore inquieto sospeso tra manierismo e alchimia
Francesco Mazzola, il Parmigianino, Ritratto di giovane donna detta "Schiava turca", 1532, Parma, Galleria Nazionale | Foto: Courtesy ofMinistero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - Polo museale dell'Emilia Romagna
Samantha De Martin
24/08/2020
Prima che la passione per l’alchimia lo travolgesse, conferendogli l’aspetto bizzarro di un “uomo selvatico”, Girolamo Francesco Maria Mazzola, in arte Parmigianino - dal nome della città che gli diede i natali e in virtù della corporatura minuta - secondo il racconto di Vasari, era un bel giovane, dalla fisionomia più angelica che umana, cortese e vivace nell’ingegno.
Artefice di una pittura rinnovata, sospesa tra le dottrine del passato e attenta ai fervori contemporanei, sferzato dall'ossessione della maniera, fra i fermenti di protesta religiosa, prese presto le distanze dai pennelli per inseguire quelle strane fantasie che, come racconta anche l’autore delle Vite, lo condussero alla rovina economica e all'instabilità mentale. Completamente assorbito dai suoi esperimenti alchemici, arrivava talvolta a trascurare non poche commissioni.
Il 24 agosto 1540, colpito da "una febbre grave e da un flusso crudele", Parmigianino moriva a soli 37 anni, a Casalmaggiore, non troppo tempo dopo aver realizzato, per una chiesa locale, una Pala, oggi a Dresda. I colori sono ormai distanti dalle tinte che caratterizzano le opere degli ultimi anni, come il Ritratto di giovane donna, conosciuto come La Schiava turca, tra i più espressivi della sua produzione, e ancora la Minerva o lo straordinario ritratto di Antea, forse la famosa cortigiana romana ricordata da Benvenuto Cellini e da Pietro Aretino, vestita “alla francese”, che sbuca dalla tela con la sua posa aristocratica e la bellezza verginale, simile a un’apparizione inquietante dal naturalismo solo apparente.
Parmigianino, Antea, 1535-1537, Olio su tela, 135 x 88 cm, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte
In quest’opera lo spazio geometrico, scevro di elementi architettonici, cede il posto a una spazialità psicologica tutta concentrata sul volto della figura, immersa in un’atmosfera intima e sospesa. Quello stesso “zinale”, il grembiule ricamato che avvolge Antea, figura anche in una celebre opera di tre anni prima, La schiava turca. La protagonista, al contrario di quanto farebbe supporre il nome, è una misteriosa nobildonna - forse Giulia Gonzaga di Mantova o la poetessa Veronica Gambara - che sfoggia un’acconciatura a forma di ciambella, la "capigliara", un copricapo in voga al tempo, inventato presumibilmente da Isabella d'Este.
Il nuovo Raffaello
A incuriosire il pubblico di oggi, a 480 anni dalla morte di Parmigianino, è forse l’esistenza tormentata e inquieta di questo maestro del pennello, il suo spirito di avventura che lo avvicina all’impetuoso Caravaggio, il suo catalogo, un vero e proprio schieramento di capolavori. L’impiego di una pennellata salda e sciolta, la capacità di restituire figure monumentali imbevute da risvolti psicologici, trapela già negli affreschi della chiesa di San Giovanni Evangelista, a Parma. Sant'Agata e il carnefice, le Sante Lucia e Apollonia, i Due diaconi leggenti, il presunto San Vitale gli aprirono le porte di nuove commissioni, al punto che, a soli 19 anni, malgrado la presenza dei tutori, il pittore era già “magister”.
Nel 1523 nel soffitto di una stanza della Rocca Sanvitale di Fontanellato, alle porte di Parma, affresca la cosiddetta "stufetta", racchiudendo in con quattordici lunette gli episodi della favola ovidiana di Diana e Atteone, intramezzate da pennacchi in cui sono dipinti dodici putti.
Quando, nell’estate del 1524, decide di raggiungere Roma, per far visita ai suoi vecchi zii, porta con sé tre tavole, tra le quali vi sono molto probabilmente la Sacra Famiglia con angeli, oggi al Museo del Prado e il suo famoso Autoritratto entro uno specchio convesso, divenuto, negli studi sul manierismo, un vero emblema nel panorama artistico, grazie alla presenza della visione anamorfica.
Parmigianino, Autoritratto entro uno specchio convesso, 1524 circa, olio su tavola convessa, 24,4 x 24,4 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Lo stesso Vasari, ammirando l’opera a casa di Pietro Aretino, restò impressionato dall'invenzione del giovane artista che si ritrae come un leggiadro adolescente. Oltre alla bellezza "angelica" del pittore, la tavola restituisce infatti una nuova sensibilità manieristica, grazie a quella visione dirompente della mano deformata dallo specchio. L’opera doveva essere una sorta di biglietto da visita delle capacità virtuose dell'artista, come lo stesso Vasari scrisse affinché “gli facesse entratura ... agli artefici di professione”.
A Roma Parmigianino studiò soprattutto Michelangelo e Raffaello (morto quattro anni prima del suo arrivo), "lo spirito del qual - come scriveva Vasari - si diceva poi esser passato nel corpo di Francesco, per vedersi quel giovane nell'arte raro e ne' costumi gentile e grazioso...e s'ingegnava d'immitarlo in tutte le cose, ma soprattutto nella pittura”, come si evince dalla Sacra Famiglia con san Giovannino del Museo di Capodimonte, il più raffaellesco e classico dei suoi dipinti.
Parmigianino, Sacra Famiglia con san Giovannino, 1528 circa, tempera su tela, 131 x 159 cm, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte
Le figure riprendono la grazia figurativa di Raffaello, ma le proporzioni si fanno più allungate e il costante senso di elevazione è suggerito anche dalle architetture di fondo e dalla scansione su diversi piani prospettici, espediente già adottato nella Scuola di Atene di Raffaello.
È nella città dei Papi che il temperamento intellettuale ed eccentrico di Girolamo Francesco Maria Mazzola partorisce uno stile anticlassico, elegante e ricercato, che ne ha fatto il caposcuola del Manierismo emiliano.
Parmigianino, Visione di san Girolamo, Dettaglio, 1526-1527, olio su tavola, 149 x 343 cm, Londra, National Gallery
Parmigianino e il Sacco di Roma
La pittura di Parmigianino dovette folgorare non poco il suo pubblico, consentendo all’artista, secondo la tradizione, di scampare al Sacco di Roma messo in atto nel 1527 dai Lanzichenecchi. Secondo il racconto di Vasari, il maestro avrebbe addirittura trovato la protezione di alcuni soldati tedeschi folgorati dalla Visione di san Girolamo - la monumentale pala d'altare alla quale l’artista stava lavorando - al punto da chiedergli, come taglia, disegni e acquerelli. Ad affascinarli doveva essere la composizione, originale e volutamente spregiudicata, dove il Battista in primo piano, compiendo una torsione di stampo michelangiolesco, indirizza lo sguardo dello spettatore verso la Vergine col Bambino più in alto, illuminata da un chiarore che ricorda le divine epifanie del Correggio. Eppure, rispetto ai modelli, resta originalissimo il rapporto tra le figure, l'impiego espressivo del colore, la ricercatezza nei dettagli.
Dipinta tra il 1529 e il 1530, la Madonna di Santa Margherita resta, invece, l’opera cardine del periodo bolognese. Le figure allungate ed eleganti, con la loro varietà di pose e sguardi, avvolgono l’occhio in un movimento circolare, invitandolo, grazie al segno veloce e a una pittura moderna e vibrante, a oscillare da un capo all'altro della pala, secondo una tecnica già usata da Correggio.
Parmigianino, Madonna di Santa Margherita, 1529-30, Olio su tavola, 149 x 204 cm, Bologna, Pinacoteca Nazionale
A chiunque visiti oggi la Gemäldegalerie di Dresda, la Madonna della Rosa si mostra invece come un’apparizione di estrema raffinatezza, dal sapore sensuale, quasi pagano, con la veste trasparente della Vergine, la posa del Bambino, gli sbuffi della tenda a scandire un’eleganza decorativa dal raro virtuosismo.
Gli affreschi di Santa Maria della Steccata e l’incarceramento
Ma ad accrescere la fama dell’esponente di spicco della pittura manierista sono soprattutto gli affreschi della Basilica Santa Maria della Steccata, a Parma. A illuminarci sulla natura inquieta di questo periodo sono i vari traslochi del pittore in diverse dimore di Parma, ma anche l’allontanamento dalla sua famiglia, i Mazzola, tanto presenti nella prima parte della sua biografia, forse per via di uno "scandalo", legato alla pratica dell'alchimia di cui parla Vasari, o forse, alla scoperta dell’omosessualità. Sta di fatto che, dopo non poche proroghe chieste dal pittore ai committenti che gli avevano già intimato la restituzione di 225 scudi per inadempienza, i fabbricieri della Steccata arrivarono addirittura a fare incarcerare il Parmigianino per quasi due mesi, affidando il disegno dell'opera a Giulio Romano che tuttavia, raggiunto da una lettera dal tono minaccioso, consegnata da un fidato "amichissimo” di Parmigianino, declinò l'invito.
Parmigianino, Tre vergini savie e tre vergini stolte, 1531-39, affresco, Parma, Basilica di Santa Maria della Steccata
La Madonna dal collo lungo e il distacco dal Rinascimento
Della sua partenza da Parma, organizzata in fretta e furia, resta traccia nell’incompiuta Madonna dal collo lungo, commissionata nel 1534 per la cappella della sorella del cavalier Francesco Baiardo, amico e patrono del Parmigianino. In questa tavola, oggi gioiello degli Uffizi, le forme allungate e sinuose, accostate all'anticlassicismo, segnano una rottura degli equilibri del Rinascimento, rendendo l’opera uno dei dipinti più rappresentativi del Manierismo italiano, con la proclamazione di una nuova corrente che omaggia angoscia, drammaticità, disarmonia, tormento.
Parmigianino, Madonna dal collo lungo, 1534-1540, Olio su tavola, 132 x 216 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi
Un aspetto marcatamente manierista dell’opera è, ad esempio, lo sconvolgimento delle proporzioni umane: il collo della Vergine è più lungo del normale, il corpo monumentale e michelangiolesco di Maria è circa il doppio di quello degli angeli. Questo insolito allungarsi delle figure, così lontano dagli equilibrati canoni rinascimentali, conferisce alle immagini un aspetto più elegante e sofisticato.
Sacralità ed erotismo
Pur rappresentando un tema sacro, l’artista non rinuncia alla sensualità tipica della sua produzione: le eleganti figure dalle membra allungate e le pose ricercate sono attraversate da un sottile erotismo, evidente nei panneggi che aderiscono al corpo della Vergine, nella mano affusolata accostata al seno, nella sinuosità della gamba nuda del giovane angelo in primo piano. Entrata nelle collezioni medicee nel 1698, la Madonna dal collo lungo fu acquistata dal Gran Principe Ferdinando per accrescere la sua collezione di capolavori dal Rinascimento al primo Seicento. Lui stesso descrive l’opera “disegnata come da Raffaello, finita con l’anima, ma senza stento, e colorita a meraviglia”.
Un aneddoto curioso relativo alla Madonna dal collo lungo riguarda il contratto con cui l'artista si impegnava, per trentatré scudi versati in anticipo, a completare il dipinto in cinque mesi, entro la pentecoste del 1535, pena un risarcimento danni con a garanzia la propria casa di Borgo delle Asse, ereditata dal padre. Ovviamente il termine venne sforato e l'opera restò incompiuta in seguito alla repentina partenza dell'artista per Casalmaggiore, e quindi alla morte, avvenuta nel 1540.
L’ossessione del disegno
Parmigianino era mosso da un bisogno quasi ossessivo di disegnare. I suoi lavori, tra xilografie e acqueforti, sono circa un migliaio, distribuiti nelle maggiori collezioni al mondo. I soggetti, talvolta ritratti dal vero, com’era solito fare Leonardo, spaziano dal sacro al mitologico.
Artista trasversale, che riuscì a conferire ai volti, due secoli prima, l’intensità degli sguardi femminili di Goya, ma anche la posa fotografica della pittura più tarda, Parmigianino ricevette la lezione di Correggio, ma portò agli estremi la visione del maestro già lontano dalla pittura toscana e dal Manierismo romano. Le forme allungate e sinuose, l'asimmetria, l'anticlassicismo raggiungono, nelle sue opere, un livello tale da costituire una decisa cesura dagli equilibri del Rinascimento.
Parmigianino, Madonna col Bambino, 1529 circa, Pietra rossa con tracce di biacca su carta gialletta, Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe
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• Con gli occhi di Correggio e Parmigianino
Artefice di una pittura rinnovata, sospesa tra le dottrine del passato e attenta ai fervori contemporanei, sferzato dall'ossessione della maniera, fra i fermenti di protesta religiosa, prese presto le distanze dai pennelli per inseguire quelle strane fantasie che, come racconta anche l’autore delle Vite, lo condussero alla rovina economica e all'instabilità mentale. Completamente assorbito dai suoi esperimenti alchemici, arrivava talvolta a trascurare non poche commissioni.
Il 24 agosto 1540, colpito da "una febbre grave e da un flusso crudele", Parmigianino moriva a soli 37 anni, a Casalmaggiore, non troppo tempo dopo aver realizzato, per una chiesa locale, una Pala, oggi a Dresda. I colori sono ormai distanti dalle tinte che caratterizzano le opere degli ultimi anni, come il Ritratto di giovane donna, conosciuto come La Schiava turca, tra i più espressivi della sua produzione, e ancora la Minerva o lo straordinario ritratto di Antea, forse la famosa cortigiana romana ricordata da Benvenuto Cellini e da Pietro Aretino, vestita “alla francese”, che sbuca dalla tela con la sua posa aristocratica e la bellezza verginale, simile a un’apparizione inquietante dal naturalismo solo apparente.
Parmigianino, Antea, 1535-1537, Olio su tela, 135 x 88 cm, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte
In quest’opera lo spazio geometrico, scevro di elementi architettonici, cede il posto a una spazialità psicologica tutta concentrata sul volto della figura, immersa in un’atmosfera intima e sospesa. Quello stesso “zinale”, il grembiule ricamato che avvolge Antea, figura anche in una celebre opera di tre anni prima, La schiava turca. La protagonista, al contrario di quanto farebbe supporre il nome, è una misteriosa nobildonna - forse Giulia Gonzaga di Mantova o la poetessa Veronica Gambara - che sfoggia un’acconciatura a forma di ciambella, la "capigliara", un copricapo in voga al tempo, inventato presumibilmente da Isabella d'Este.
Il nuovo Raffaello
A incuriosire il pubblico di oggi, a 480 anni dalla morte di Parmigianino, è forse l’esistenza tormentata e inquieta di questo maestro del pennello, il suo spirito di avventura che lo avvicina all’impetuoso Caravaggio, il suo catalogo, un vero e proprio schieramento di capolavori. L’impiego di una pennellata salda e sciolta, la capacità di restituire figure monumentali imbevute da risvolti psicologici, trapela già negli affreschi della chiesa di San Giovanni Evangelista, a Parma. Sant'Agata e il carnefice, le Sante Lucia e Apollonia, i Due diaconi leggenti, il presunto San Vitale gli aprirono le porte di nuove commissioni, al punto che, a soli 19 anni, malgrado la presenza dei tutori, il pittore era già “magister”.
Nel 1523 nel soffitto di una stanza della Rocca Sanvitale di Fontanellato, alle porte di Parma, affresca la cosiddetta "stufetta", racchiudendo in con quattordici lunette gli episodi della favola ovidiana di Diana e Atteone, intramezzate da pennacchi in cui sono dipinti dodici putti.
Quando, nell’estate del 1524, decide di raggiungere Roma, per far visita ai suoi vecchi zii, porta con sé tre tavole, tra le quali vi sono molto probabilmente la Sacra Famiglia con angeli, oggi al Museo del Prado e il suo famoso Autoritratto entro uno specchio convesso, divenuto, negli studi sul manierismo, un vero emblema nel panorama artistico, grazie alla presenza della visione anamorfica.
Parmigianino, Autoritratto entro uno specchio convesso, 1524 circa, olio su tavola convessa, 24,4 x 24,4 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Lo stesso Vasari, ammirando l’opera a casa di Pietro Aretino, restò impressionato dall'invenzione del giovane artista che si ritrae come un leggiadro adolescente. Oltre alla bellezza "angelica" del pittore, la tavola restituisce infatti una nuova sensibilità manieristica, grazie a quella visione dirompente della mano deformata dallo specchio. L’opera doveva essere una sorta di biglietto da visita delle capacità virtuose dell'artista, come lo stesso Vasari scrisse affinché “gli facesse entratura ... agli artefici di professione”.
A Roma Parmigianino studiò soprattutto Michelangelo e Raffaello (morto quattro anni prima del suo arrivo), "lo spirito del qual - come scriveva Vasari - si diceva poi esser passato nel corpo di Francesco, per vedersi quel giovane nell'arte raro e ne' costumi gentile e grazioso...e s'ingegnava d'immitarlo in tutte le cose, ma soprattutto nella pittura”, come si evince dalla Sacra Famiglia con san Giovannino del Museo di Capodimonte, il più raffaellesco e classico dei suoi dipinti.
Parmigianino, Sacra Famiglia con san Giovannino, 1528 circa, tempera su tela, 131 x 159 cm, Napoli, Museo nazionale di Capodimonte
Le figure riprendono la grazia figurativa di Raffaello, ma le proporzioni si fanno più allungate e il costante senso di elevazione è suggerito anche dalle architetture di fondo e dalla scansione su diversi piani prospettici, espediente già adottato nella Scuola di Atene di Raffaello.
È nella città dei Papi che il temperamento intellettuale ed eccentrico di Girolamo Francesco Maria Mazzola partorisce uno stile anticlassico, elegante e ricercato, che ne ha fatto il caposcuola del Manierismo emiliano.
Parmigianino, Visione di san Girolamo, Dettaglio, 1526-1527, olio su tavola, 149 x 343 cm, Londra, National Gallery
Parmigianino e il Sacco di Roma
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Dipinta tra il 1529 e il 1530, la Madonna di Santa Margherita resta, invece, l’opera cardine del periodo bolognese. Le figure allungate ed eleganti, con la loro varietà di pose e sguardi, avvolgono l’occhio in un movimento circolare, invitandolo, grazie al segno veloce e a una pittura moderna e vibrante, a oscillare da un capo all'altro della pala, secondo una tecnica già usata da Correggio.
Parmigianino, Madonna di Santa Margherita, 1529-30, Olio su tavola, 149 x 204 cm, Bologna, Pinacoteca Nazionale
A chiunque visiti oggi la Gemäldegalerie di Dresda, la Madonna della Rosa si mostra invece come un’apparizione di estrema raffinatezza, dal sapore sensuale, quasi pagano, con la veste trasparente della Vergine, la posa del Bambino, gli sbuffi della tenda a scandire un’eleganza decorativa dal raro virtuosismo.
Gli affreschi di Santa Maria della Steccata e l’incarceramento
Ma ad accrescere la fama dell’esponente di spicco della pittura manierista sono soprattutto gli affreschi della Basilica Santa Maria della Steccata, a Parma. A illuminarci sulla natura inquieta di questo periodo sono i vari traslochi del pittore in diverse dimore di Parma, ma anche l’allontanamento dalla sua famiglia, i Mazzola, tanto presenti nella prima parte della sua biografia, forse per via di uno "scandalo", legato alla pratica dell'alchimia di cui parla Vasari, o forse, alla scoperta dell’omosessualità. Sta di fatto che, dopo non poche proroghe chieste dal pittore ai committenti che gli avevano già intimato la restituzione di 225 scudi per inadempienza, i fabbricieri della Steccata arrivarono addirittura a fare incarcerare il Parmigianino per quasi due mesi, affidando il disegno dell'opera a Giulio Romano che tuttavia, raggiunto da una lettera dal tono minaccioso, consegnata da un fidato "amichissimo” di Parmigianino, declinò l'invito.
Parmigianino, Tre vergini savie e tre vergini stolte, 1531-39, affresco, Parma, Basilica di Santa Maria della Steccata
La Madonna dal collo lungo e il distacco dal Rinascimento
Della sua partenza da Parma, organizzata in fretta e furia, resta traccia nell’incompiuta Madonna dal collo lungo, commissionata nel 1534 per la cappella della sorella del cavalier Francesco Baiardo, amico e patrono del Parmigianino. In questa tavola, oggi gioiello degli Uffizi, le forme allungate e sinuose, accostate all'anticlassicismo, segnano una rottura degli equilibri del Rinascimento, rendendo l’opera uno dei dipinti più rappresentativi del Manierismo italiano, con la proclamazione di una nuova corrente che omaggia angoscia, drammaticità, disarmonia, tormento.
Parmigianino, Madonna dal collo lungo, 1534-1540, Olio su tavola, 132 x 216 cm, Firenze, Galleria degli Uffizi
Un aspetto marcatamente manierista dell’opera è, ad esempio, lo sconvolgimento delle proporzioni umane: il collo della Vergine è più lungo del normale, il corpo monumentale e michelangiolesco di Maria è circa il doppio di quello degli angeli. Questo insolito allungarsi delle figure, così lontano dagli equilibrati canoni rinascimentali, conferisce alle immagini un aspetto più elegante e sofisticato.
Sacralità ed erotismo
Pur rappresentando un tema sacro, l’artista non rinuncia alla sensualità tipica della sua produzione: le eleganti figure dalle membra allungate e le pose ricercate sono attraversate da un sottile erotismo, evidente nei panneggi che aderiscono al corpo della Vergine, nella mano affusolata accostata al seno, nella sinuosità della gamba nuda del giovane angelo in primo piano. Entrata nelle collezioni medicee nel 1698, la Madonna dal collo lungo fu acquistata dal Gran Principe Ferdinando per accrescere la sua collezione di capolavori dal Rinascimento al primo Seicento. Lui stesso descrive l’opera “disegnata come da Raffaello, finita con l’anima, ma senza stento, e colorita a meraviglia”.
Un aneddoto curioso relativo alla Madonna dal collo lungo riguarda il contratto con cui l'artista si impegnava, per trentatré scudi versati in anticipo, a completare il dipinto in cinque mesi, entro la pentecoste del 1535, pena un risarcimento danni con a garanzia la propria casa di Borgo delle Asse, ereditata dal padre. Ovviamente il termine venne sforato e l'opera restò incompiuta in seguito alla repentina partenza dell'artista per Casalmaggiore, e quindi alla morte, avvenuta nel 1540.
L’ossessione del disegno
Parmigianino era mosso da un bisogno quasi ossessivo di disegnare. I suoi lavori, tra xilografie e acqueforti, sono circa un migliaio, distribuiti nelle maggiori collezioni al mondo. I soggetti, talvolta ritratti dal vero, com’era solito fare Leonardo, spaziano dal sacro al mitologico.
Artista trasversale, che riuscì a conferire ai volti, due secoli prima, l’intensità degli sguardi femminili di Goya, ma anche la posa fotografica della pittura più tarda, Parmigianino ricevette la lezione di Correggio, ma portò agli estremi la visione del maestro già lontano dalla pittura toscana e dal Manierismo romano. Le forme allungate e sinuose, l'asimmetria, l'anticlassicismo raggiungono, nelle sue opere, un livello tale da costituire una decisa cesura dagli equilibri del Rinascimento.
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