Il soggiorno a Venezia e la svolta nella pittura in Laguna
Antonello da Messina e i capolavori del soggiorno veneziano
Antonello da Messina, San Girolamo nello studio, 1475 circa, Olio su tavola di tiglio, 36.2 x 45.7 cm, The National Gallery, Londra | Foto: ©The National Gallery, London
Samantha De Martin
23/06/2020
Tra il 1474 e il 1475 un benefico vento del Sud, impregnato di volti e sguardi dall’intensità disarmante e della luce brillante di Sicilia, soffiava in Laguna con il nome di Antonello da Messina.
Ricorda Vasari, nelle sue Vite, che fu Antonello il primo in Italia a imparare e a diffondere il segreto della pittura a olio direttamente dai fiamminghi e a diventare talmente abile nella resa dei particolari da competere con loro. Ma soprattutto lo storico dell’arte faceva coincidere con l’arrivo del pittore siciliano a Venezia una svolta decisiva per la storia della pittura in Laguna.
Il pittore di Messina, che nella città in riva allo Stretto aveva aperto bottega già intorno al 1460, aveva toccato le corde dell’arte grazie ai suoi ritratti carichi di introspezione psicologica che, sulla scorta degli sviluppi della pittura fiamminga, si liberavano dalla vecchia connotazione idealizzata per proporsi in Italia come opere rivoluzionarie. Quindici anni dopo l’apertura della bottega, tra il 1474 e il 1475, il pittore si recò a Venezia lasciando in Laguna l’impronta della sua pittura, divenuta presto determinante tanto per la formazione di Giovanni Bellini quanto per la maturazione di quella "pittura tonale" che fu alla base del Rinascimento veneto.
Non sappiamo chi avesse chiamato Antonello a Venezia, città nella quale il pittore soggiornò meno di due anni, dopo essere stato a Napoli, impregnandosi di influssi fiamminghi, spagnoli e provenzali. E dopo aver attraversato l’Italia incontrando, o semplicemente ammirando, Piero della Francesca e il coetaneo Giovanni Bellini.
Quello che è certo è che in Laguna esportò la sua geniale intuizione nel fondere la visione realistica e lenticolare, tipicamente fiamminga, con la forma italiana e con la nuova spazialità prospettica.
Un altro elemento certo è che nella città veneta - dove ad accompagnarlo fu probabilmente il figlio Iacobello, erede, pochi anni dopo, della bottega - ricevette un numero importante di commissioni. Ritratti di personaggi come il Condottiero del Louvre (1475) e quelli di Michele Vianello e Alvise Pasqualino, tavole come la Crocifissione di Anversa (anch'essa del 1475) e il San Girolamo di Londra, o la Pala per la chiesa di San Cassiano ne sono illustri testimonianze.
Il San Sebastiano
Databile al 1478 e custodito nella Gemäldegalerie di Dresda, San Sebastiano, il santo che proteggeva dalla peste, campeggia seminudo con cinque frecce conficcate in altrettante parti del corpo, legato ad un albero al centro di una strada sulla quale si affacciano edifici tipici della Venezia del tempo.
Al santo, con la sua espressione priva di dolore nella sopportazione del martirio, fanno da sfondo due donne affacciate dalla balaustra su un tappeto, un soldato ubriaco, una donna col figlio in braccio, una coppia di mercanti in conversazione, che riproducono alcune scenette "di genere". Vi si colgono non poche influenze: dalla simmetrica disposizione matematica degli elementi dello sfondo alla maniera di Piero della Francesca alle sperimentazioni illusionistiche di Andrea Mantegna, visibili in particolare nell'uomo sdraiato in scorcio, citazione del Trasporto del corpo di san Cristoforo nella Cappella Ovetari fino alla dolcezza della posa del corpo del santo, che richiama Giovanni Bellini.
San Girolamo nello studio
Al periodo veneziano del pittore che per primo riuscì a fondere la luce, l'atmosfera e l'attenzione al dettaglio della pittura fiamminga con la monumentalità della scuola italiana, risale il San Girolamo nello studio, uno dei suoi capolavori più celebrati. Questo dipinto a olio su tavola di tiglio, conservato dal 1894 alla National Gallery di Londra, è menzionato, per la prima volta nel 1529, dallo studioso d'arte veneziano Marcantonio Michiel che credeva si trattasse di un van Eyck o di Memling.
Antonello da Messina doveva aver visto a Napoli un dipinto di Jan Van Eyck che ritraeva il medesimo soggetto. Tuttavia quell’armonia e la chiarezza geometrica della struttura erano solo dell’artista siciliano. A ricordare in questa tavola l’influsso della pittura fiamminga è soprattutto l’uso sapiente della luce che si propaga da più fonti verso le mani e il libro di San Girolamo, conferendo al santo imponenza.
Antonello da Messina, San Girolamo nello studio, 1475 circa, Olio su tavola di tiglio, 36.2 x 45.7 cm, The National Gallery, Londra | Foto: ©The National Gallery, London
Alla luce e a una salda costruzione prospettica Antonello affida il compito di unire le diverse parti della tavola. Ai modi fiamminghi rimandano anche la ricchezza dei dettagli e l'attenta descrizione dei singoli oggetti che occupano la scena, dai vasi in maiolica per le erbe aromatiche al pavimento a piastrelle geometriche, dal pavone al gatto fino al cappello da cardinale. Il dipinto - che immortala San Girolamo nel suo studio, immerso nella lettura - diventa monumentale grazie allo scandirsi dell'architettura catalana e alla luce che colpisce il soggetto, insinuandosi dalle finestre sullo sfondo e lasciando intravedere un paesaggio curato nei minimi dettagli.
La Crocifissione di Anversa
Firmata e datata 1475 è invece la cosiddetta Crocifissione di Anversa, ispirata ai Calvari fiamminghi e oggi gioiello del Musée Royal des Beaux Arts di Anversa. Gesù, crocifisso al centro della scena, è affiancato dai due ladroni legati a due alberi e con le gambe spezzate. Il dolore che attraversa i loro corpi contorti contrasta con la posizione composta del Cristo e con l’atteggiamento raccolto di Maria e Giovanni Evangelista, seduti a terra. La tradizione delle Fiandre si scorge nella composizione, nei dettagli dipinti con meticolosa attenzione e nei rimandi simbolici alla morte, costruiti dai teschi, dal gufo, dalle serpi. Lo sfondo ritrarrebbe il panorama dello Stretto di Messina osservato a valle del torrente Camaro. Altri dettagli della città sarebbero invece riconoscibili nel castello Mata-Grifone, l’odierno sacrario di Cristo Re.
Antonello da Messina, Calvario, 1475, Particolare, Olio su pannello,
42.5 x 52.5 cm, Royal Museum of Fine Arts Antwerp
La Pala di San Cassiano
Evidentemente il 1475, anno del soggiorno in Laguna, dovette rappresentare per il pittore siciliano una sorta di annus mirabilis. Sempre in quest’anno il nobile Pietro Bon commissionò all’artista la Pala di San Cassiano, destinata a un altare laterale della Chiesa veneziana. Purtroppo il grande pannello che la caratterizzava nel XVII secolo venne diviso in più parti e disperso. A oggi il pannello centrale, il pannello sinistro e quello destro si trovano al Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Quello che è certo è che questo capolavoro, oltre a rappresentare la prima opera veneziana di Antonello da Messina, costituisce un autentico spartiacque nella pittura veneta del Quattrocento che si libera definitivamente dalle linee di un gotico ormai desueto per vestirsi di una prorompente modernità rinascimentale. A colpire i colleghi di Antonello fu principalmente la tecnica della pittura ad olio, ancora poco diffusa in Italia in quegli anni, ma anche la composizione innovativa, la disinvolta naturalezza dei personaggi, o ancora gli effetti atmosferici creati dalla luce che avvolge la Madonna col Bambino e i santi Nicola, Maria Maddalena, Orsola e Domenico.
Undici anni più tardi, nel 1487, Giovanni Bellini, con la Pala di San Giobbe, avrebbe tradotto su tavola l’assimilazione dello stile rinascimentale proprio di Antonello. La Madonna del Bellini, come quella di Antonello, occupa il centro della scena staccandosi fisicamente da terra, dove invece vengono collocati i santi, in una nuova forma semicircolare che supera la staticità delle nicchie dei polittici di impronta gotica. Attraverso il braccio di San Francesco proteso in avanti, il pittore riesce ad accogliere lo spettatore e a coinvolgerlo nel momento rappresentato.
Giovanni Bellini, Pala di San Giobbe, 1487 ca., olio su pannello, 471×259 cm. Gallerie dell'Accademia, Venezia (part.)
Sarà Giorgione, agli albori del Cinquecento, ad acquisire i tecnicismi stilistici di matrice nordica importati da Antonello da Messina. Nelle Tre età dell'uomo, databile al 1500-1501 e custodito nella Galleria Palatina di Firenze, il pittore veneziano compone la scena più per un virtuosismo pittorico che per un’esigenza rappresentativa. Le figure, alla maniera fiamminga, posano in tre pose differenti su un fondo nero, mentre emergono da un’oscurità che le rende eteree.
Il dettaglio fisico più suggestivo coincide con la rappresentazione della barba dell’uomo anziano.
Giorgione, Le tre età dell'uomo, 1501, olio su tavola di pioppo. Firenze, Galleria Palatina
Tra gli artisti sedotti da Antonello da Messina spicca Alvise Vivarini. In particolare era stato il sublime Salvator Mundi - realizzato tra il 1465 e il 1475 e oggi alla National Gallery - a conquistare il pennello del maestro di Murano, il cui Cristo benedicente, seppure molto simile a quello di Antonello per la forma del volto e il fondo scuro, presenta una resa pittorica meno coinvolgente. Vivarini, inoltre rinuncia all’espediente prospettico offerto da Antonello attraverso le mani benedicenti protese in avanti.
Quello stesso anno, rientrato a Messina, il pittore avrebbe realizzato l’Annunciata, dove lo sguardo magnetico e la mano sospesa in una dimensione astratta fanno del capoalvoro di palazzo Abatellis uno dei traguardi fondamentali della pittura rinascimentale italiana.
Antonello da Messina, Annunciata di Palermo, 1475, olio su tavola, 34 x 46 cm, Palermo, Galleria regionale di Palazzo Abatellis
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• Umana seduzione e pudica bellezza: l'Annunciata di Antonello da Messina
Ricorda Vasari, nelle sue Vite, che fu Antonello il primo in Italia a imparare e a diffondere il segreto della pittura a olio direttamente dai fiamminghi e a diventare talmente abile nella resa dei particolari da competere con loro. Ma soprattutto lo storico dell’arte faceva coincidere con l’arrivo del pittore siciliano a Venezia una svolta decisiva per la storia della pittura in Laguna.
Il pittore di Messina, che nella città in riva allo Stretto aveva aperto bottega già intorno al 1460, aveva toccato le corde dell’arte grazie ai suoi ritratti carichi di introspezione psicologica che, sulla scorta degli sviluppi della pittura fiamminga, si liberavano dalla vecchia connotazione idealizzata per proporsi in Italia come opere rivoluzionarie. Quindici anni dopo l’apertura della bottega, tra il 1474 e il 1475, il pittore si recò a Venezia lasciando in Laguna l’impronta della sua pittura, divenuta presto determinante tanto per la formazione di Giovanni Bellini quanto per la maturazione di quella "pittura tonale" che fu alla base del Rinascimento veneto.
Non sappiamo chi avesse chiamato Antonello a Venezia, città nella quale il pittore soggiornò meno di due anni, dopo essere stato a Napoli, impregnandosi di influssi fiamminghi, spagnoli e provenzali. E dopo aver attraversato l’Italia incontrando, o semplicemente ammirando, Piero della Francesca e il coetaneo Giovanni Bellini.
Quello che è certo è che in Laguna esportò la sua geniale intuizione nel fondere la visione realistica e lenticolare, tipicamente fiamminga, con la forma italiana e con la nuova spazialità prospettica.
Un altro elemento certo è che nella città veneta - dove ad accompagnarlo fu probabilmente il figlio Iacobello, erede, pochi anni dopo, della bottega - ricevette un numero importante di commissioni. Ritratti di personaggi come il Condottiero del Louvre (1475) e quelli di Michele Vianello e Alvise Pasqualino, tavole come la Crocifissione di Anversa (anch'essa del 1475) e il San Girolamo di Londra, o la Pala per la chiesa di San Cassiano ne sono illustri testimonianze.
Il San Sebastiano
Databile al 1478 e custodito nella Gemäldegalerie di Dresda, San Sebastiano, il santo che proteggeva dalla peste, campeggia seminudo con cinque frecce conficcate in altrettante parti del corpo, legato ad un albero al centro di una strada sulla quale si affacciano edifici tipici della Venezia del tempo.
Al santo, con la sua espressione priva di dolore nella sopportazione del martirio, fanno da sfondo due donne affacciate dalla balaustra su un tappeto, un soldato ubriaco, una donna col figlio in braccio, una coppia di mercanti in conversazione, che riproducono alcune scenette "di genere". Vi si colgono non poche influenze: dalla simmetrica disposizione matematica degli elementi dello sfondo alla maniera di Piero della Francesca alle sperimentazioni illusionistiche di Andrea Mantegna, visibili in particolare nell'uomo sdraiato in scorcio, citazione del Trasporto del corpo di san Cristoforo nella Cappella Ovetari fino alla dolcezza della posa del corpo del santo, che richiama Giovanni Bellini.
San Girolamo nello studio
Al periodo veneziano del pittore che per primo riuscì a fondere la luce, l'atmosfera e l'attenzione al dettaglio della pittura fiamminga con la monumentalità della scuola italiana, risale il San Girolamo nello studio, uno dei suoi capolavori più celebrati. Questo dipinto a olio su tavola di tiglio, conservato dal 1894 alla National Gallery di Londra, è menzionato, per la prima volta nel 1529, dallo studioso d'arte veneziano Marcantonio Michiel che credeva si trattasse di un van Eyck o di Memling.
Antonello da Messina doveva aver visto a Napoli un dipinto di Jan Van Eyck che ritraeva il medesimo soggetto. Tuttavia quell’armonia e la chiarezza geometrica della struttura erano solo dell’artista siciliano. A ricordare in questa tavola l’influsso della pittura fiamminga è soprattutto l’uso sapiente della luce che si propaga da più fonti verso le mani e il libro di San Girolamo, conferendo al santo imponenza.
Antonello da Messina, San Girolamo nello studio, 1475 circa, Olio su tavola di tiglio, 36.2 x 45.7 cm, The National Gallery, Londra | Foto: ©The National Gallery, London
Alla luce e a una salda costruzione prospettica Antonello affida il compito di unire le diverse parti della tavola. Ai modi fiamminghi rimandano anche la ricchezza dei dettagli e l'attenta descrizione dei singoli oggetti che occupano la scena, dai vasi in maiolica per le erbe aromatiche al pavimento a piastrelle geometriche, dal pavone al gatto fino al cappello da cardinale. Il dipinto - che immortala San Girolamo nel suo studio, immerso nella lettura - diventa monumentale grazie allo scandirsi dell'architettura catalana e alla luce che colpisce il soggetto, insinuandosi dalle finestre sullo sfondo e lasciando intravedere un paesaggio curato nei minimi dettagli.
La Crocifissione di Anversa
Firmata e datata 1475 è invece la cosiddetta Crocifissione di Anversa, ispirata ai Calvari fiamminghi e oggi gioiello del Musée Royal des Beaux Arts di Anversa. Gesù, crocifisso al centro della scena, è affiancato dai due ladroni legati a due alberi e con le gambe spezzate. Il dolore che attraversa i loro corpi contorti contrasta con la posizione composta del Cristo e con l’atteggiamento raccolto di Maria e Giovanni Evangelista, seduti a terra. La tradizione delle Fiandre si scorge nella composizione, nei dettagli dipinti con meticolosa attenzione e nei rimandi simbolici alla morte, costruiti dai teschi, dal gufo, dalle serpi. Lo sfondo ritrarrebbe il panorama dello Stretto di Messina osservato a valle del torrente Camaro. Altri dettagli della città sarebbero invece riconoscibili nel castello Mata-Grifone, l’odierno sacrario di Cristo Re.
Antonello da Messina, Calvario, 1475, Particolare, Olio su pannello,
42.5 x 52.5 cm, Royal Museum of Fine Arts Antwerp
La Pala di San Cassiano
Evidentemente il 1475, anno del soggiorno in Laguna, dovette rappresentare per il pittore siciliano una sorta di annus mirabilis. Sempre in quest’anno il nobile Pietro Bon commissionò all’artista la Pala di San Cassiano, destinata a un altare laterale della Chiesa veneziana. Purtroppo il grande pannello che la caratterizzava nel XVII secolo venne diviso in più parti e disperso. A oggi il pannello centrale, il pannello sinistro e quello destro si trovano al Kunsthistorisches Museum di Vienna.
Quello che è certo è che questo capolavoro, oltre a rappresentare la prima opera veneziana di Antonello da Messina, costituisce un autentico spartiacque nella pittura veneta del Quattrocento che si libera definitivamente dalle linee di un gotico ormai desueto per vestirsi di una prorompente modernità rinascimentale. A colpire i colleghi di Antonello fu principalmente la tecnica della pittura ad olio, ancora poco diffusa in Italia in quegli anni, ma anche la composizione innovativa, la disinvolta naturalezza dei personaggi, o ancora gli effetti atmosferici creati dalla luce che avvolge la Madonna col Bambino e i santi Nicola, Maria Maddalena, Orsola e Domenico.
Undici anni più tardi, nel 1487, Giovanni Bellini, con la Pala di San Giobbe, avrebbe tradotto su tavola l’assimilazione dello stile rinascimentale proprio di Antonello. La Madonna del Bellini, come quella di Antonello, occupa il centro della scena staccandosi fisicamente da terra, dove invece vengono collocati i santi, in una nuova forma semicircolare che supera la staticità delle nicchie dei polittici di impronta gotica. Attraverso il braccio di San Francesco proteso in avanti, il pittore riesce ad accogliere lo spettatore e a coinvolgerlo nel momento rappresentato.
Giovanni Bellini, Pala di San Giobbe, 1487 ca., olio su pannello, 471×259 cm. Gallerie dell'Accademia, Venezia (part.)
Sarà Giorgione, agli albori del Cinquecento, ad acquisire i tecnicismi stilistici di matrice nordica importati da Antonello da Messina. Nelle Tre età dell'uomo, databile al 1500-1501 e custodito nella Galleria Palatina di Firenze, il pittore veneziano compone la scena più per un virtuosismo pittorico che per un’esigenza rappresentativa. Le figure, alla maniera fiamminga, posano in tre pose differenti su un fondo nero, mentre emergono da un’oscurità che le rende eteree.
Il dettaglio fisico più suggestivo coincide con la rappresentazione della barba dell’uomo anziano.
Giorgione, Le tre età dell'uomo, 1501, olio su tavola di pioppo. Firenze, Galleria Palatina
Tra gli artisti sedotti da Antonello da Messina spicca Alvise Vivarini. In particolare era stato il sublime Salvator Mundi - realizzato tra il 1465 e il 1475 e oggi alla National Gallery - a conquistare il pennello del maestro di Murano, il cui Cristo benedicente, seppure molto simile a quello di Antonello per la forma del volto e il fondo scuro, presenta una resa pittorica meno coinvolgente. Vivarini, inoltre rinuncia all’espediente prospettico offerto da Antonello attraverso le mani benedicenti protese in avanti.
Quello stesso anno, rientrato a Messina, il pittore avrebbe realizzato l’Annunciata, dove lo sguardo magnetico e la mano sospesa in una dimensione astratta fanno del capoalvoro di palazzo Abatellis uno dei traguardi fondamentali della pittura rinascimentale italiana.
Antonello da Messina, Annunciata di Palermo, 1475, olio su tavola, 34 x 46 cm, Palermo, Galleria regionale di Palazzo Abatellis
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