Architettura compatibile

Portoghesi
 

20/06/2001

Dove sta andando oggi l’architettura? "L’architettura è stata l’ultima a cedere le armi, ma ormai le ha cedute completamente. La critica al moderno è diventata il pretesto per una posizione astorica." Si è perso il contatto con l’eredità dei secoli passati? "Non solo, si è anche perso il contatto con il moderno, cioè con quella scuola che si illudeva di cambiare il mondo partendo dall’architettura. Oggi il problema non è più migliorare la vita degli uomini, ma semplicemente esprimere la propria identità d’artista. Si ritiene che i nuovi valori siano già presenti nel disfacimento dell’organismo urbano e della cultura occidentale. L’unico aspetto positivo dell’epoca in cui viviamo sono le conquiste della scienza, che oggi ha un punto di vista molto diverso da quello della tradizione newtoniana. Oggi la nuova scienza porta l’uomo a riflettere sulla concretezza dei suoi rapporti con la terra. Occorre interrompere la furiosa aggressività verso l’ambiente che caratterizza il mondo odierno." L’architettura si dirige verso l’ “ecocompatibilità”, non come moda ma come necessità... "L’errore è puntare soprattutto su aspetti secondari come i materiali o le condizioni climatiche, che non possono incidere più di tanto se non si cambia l’asse portante della disciplina. Esperimenti condotti con le più moderne tecnologie portano alla realizzazione di condizioni ambientali ideali per l’uomo, ma a costo di un enorme consumo d’energia. Il rapporto con la terra dovrebbe diventare il problema fondamentale dell’architettura: l’architetto deve prendere coscienza che viviamo in quella rete di cui parla Frank Capra. Egli asserisce che ogni piccola trasformazione della crosta terrestre si riflette all’infinito su tutte le altre maglie della rete. La globalizzazione deve agire nella consapevolezza di ciò che si fa, mentre ciò che viene fatto deve venire a patti con il luogo in cui si interviene. Occorre individuare nel caos attuale gli elementi di novità, che non emergono accettando il caos così com’è. Credo che il caos vada visto dall’alto, vada visto in profondità attraverso quegli strumenti che ci consentono di decodificarlo. Partendo dal caos, nella consapevolezza del caos occorre trovare un ordine dinamico, non certo figlio di un ordine precostituito." Cosa le ha fatto scegliere Calcata come luogo d’adozione? "Sono giunto per la prima volta a Calcata nel 1953, poiché con mio padre ogni domenica giravamo i paesi del Lazio: mi ero riproposto di conoscerli tutti. Non c’era ancora la strada da Mazzano e l’unica via per raggiungerla era un sentiero sterrato da Faleria. Ho avuto di fronte a questo paese la sensazione di trovarmi di fronte alla Gerusalemme celeste, una specie di meteorite che nella sua perfezione aveva qualcosa di celeste. Sono passati 20 anni prima che potessi comprarmi un fienile nella città vecchia e poi adibirlo ad abitazione. Poi la decisione di trasferire anche lo studio qui, in aperta campagna, per distaccarsi dal mondo e capirlo meglio. A Calcata mi ha anche affascinato il rapporto particolare dell’uomo con la terra: le case sono costruite con il tufo sottratto alla collina su cui la città sorge, e il tufo è terra coagulata, ne ha il colore ma ha consistenza diversa." Il paesaggio circostante è per lei fonte di ispirazione? "La presenza di valli scavate dall’acqua dà quasi una qualità di spazio interno al paesaggio. Con Norbert Schultz abbiamo elaborato l’ipotesi che sono state proprio queste valli profonde, le forre, ad influenzare l’urbanistica romana, facendo sì che Roma diventasse la prima città con le case a più piani e le strade strette. Per chi considera lo spazio interno la matrice di ogni architettura, abitare qui significa vivere in una natura che è già potenzialmente architettura. Inoltre di fronte allo sgomento che si prova confrontando una carta geografica con la realtà fisica, poter vivere in un luogo dove con piccole escursioni si può avere un’idea complessiva e totalitaria del paesaggio è una grande esperienza." Questo non sarebbe stato possibile in una metropoli? "Da ragazzo ho visitato Roma con lo scrupolo del Baedecker, ma Roma è una città tutta misurata dall’uomo. Qui c’è il conflitto tra l’agricoltura e la natura selvaggia che ogni giorno tenta di riappropriarsi dei suoi spazi."

 
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