Balthus e i maestri italiani

Balthus
 

19/12/2001

Tra il luglio e l’agosto del 1926 Balthus, appena diciottenne, corona il sogno di un soggiorno ad Arezzo per studiare gli affreschi quattrocenteschi di Piero della Francesca per il coro di San Francesco raffiguranti “La leggenda della Vera Croce”. Questo è l’episodio che sintetizza quanto il giovane artista fosse interessato agli stilemi dell’arte italiana di quegli anni; un interesse nettamente sui generis nel panorama dei pittori francesi della sua generazione. Balthus tiene un carteggio con quello che può essere definito il suo mecenate, finanziatore del viaggio in Italia, professor Strohl, cui descrive i dieci episodi affrescati sulle pareti, e al quale invia sei disegni su cartoncino che ne riproducono altrettante scene. La passione di Balthus per Arezzo negli anni precedenti al viaggio è quasi un’ossessione, e in una delle lettere a Strohl lo precisa in maniera molto precisa: “Il desiderio di venire fin qui e vedere le opere di Piero della Francesca mi ha perseguitato per gli scorsi cinque anni”, e ancora: “Mi ero già costruito Arezzo in mente (e a volte vi passeggiavo). Quando qualcuno la nominava, ero scosso da un tremito, come nel sentir pronunciare il nome di una donna amata”. Balthus ha una forte passione per Piero, tra l’altro copia anche la “Resurrezione di Cristo” di Borgo San Sepolcro, ma si sofferma, e nella sua opera risulta abbastanza evidente anche su pittori come Simone Martini e soprattutto Masolino da Panicale e Masaccio, che con Piero hanno in comune una certa fisicità che colpisce particolarmente l’artista francese. Non a caso si ritiene che l'artista, spesso troppo noto semplicemente come “il pittore dei gatti e delle fanciulle”, sia stato soprattutto un pittore neorinascimentale e neoprimitivo (anche nelle tecniche), definito, non a caso, dal suo amico Federico Fellini, “un accumulo di storia”.