Il presidente di Genus Bononiae sulla chiusura dei musei imposta dal nuovo DPCM

Fabio Roversi-Monaco: "L'arte colpita a morte, declassata a servizio non essenziale"

Niccolò dell’Arca, Dettaglio, Compianto su Cristo morto, 1463-1490, Terracotta, Bologna, Chiesa di Santa Maria della Vita
 

Samantha De Martin

05/11/2020

Nel tam tam di comunicazioni alla stampa rimbalzate ieri, anticipate dalla nota (peraltro già tristemente attesa) del Mibact che annunciava “la chiusura di mostre, musei, archivi, biblioteche, aree archeologiche e complessi monumentali, in ottemperanza alle nuove misure di contenimento del Covid-19", la voce di Fabio Roversi-Monaco, presidente di Genus Bononiae. Musei nella città, risuona come un urlo composto colmo di tristezza. Un pensiero condiviso in queste ore da coloro ai quali la stretta del governo sui luoghi della cultura proprio non va giù.
Il presidente del percorso culturale, artistico e museale, nato per iniziativa della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, e articolato in palazzi storici restaurati e riaperti al pubblico, situati nel cuore della città, non ci sta e vuole dire la sua.

“Oggi prendiamo atto della decisione del governo di chiudere nuovamente i musei. Un provvedimento del tutto ingiusto, in quanto già dopo il primo lockdown erano state prese tutte le misure di contenimento necessarie ad assicurare visite nel massimo rispetto della sicurezza e della salute dei cittadini. Questo nuovo DPCM declassa le attività culturali come ‘servizi non essenziali’, ignorando da un lato il valore - anche di conforto - che la fruizione di cultura ha, dall’altro il baratro economico in cui si rischia di far precipitare un intero settore, che dà lavoro a migliaia di persone, che muove l’economia e crea indotto” aveva scritto ieri Roversi-Monaco in una nota stampa.
Lo abbiamo raggiunto al telefono per commentare con lui questa decisione.


Fabio Roversi-Monaco, presidente di Genus Bononiae. Musei nella città

Presidente, quello che tutti temevamo è accaduto. Barbieri e centri estetici aperti, musei, sale scommesse e sale giochi chiusi. Quali soluzioni alternative avrebbe potuto adottare il governo, evitando la chiusura drastica dei luoghi della cultura?
“Sarebbe stato utile far rimanere aperte almeno le mostre già inaugurate, con tutte le tutele del caso, anche solo per l’impegno preso con il pubblico, con i prestatori e per scongiurare le perdite economiche non meritate che siamo costretti a subire. Si sarebbe potuto pensare anche ad aperture dei musei non continuative, a chiusure nel weekend... Questa volta credo che il governo abbia trattato veramente male coloro che nel tempo avevano saputo - e parlo anche degli ultimi anni - costruire un rapporto fisso e cordiale con gli amanti dell’arte, specie con i giovani. Governare è indubbiamente difficile. Le chiese sono rimaste aperte, un gesto di grande civiltà e rispetto, al di là di come ognuno di noi la pensi dal punto di vista religioso".

Chi, in questi mesi, ha avuto modo di visitare le sale di musei e gallerie ha potuto apprezzare la grande attenzione nella gestione della visita che, anche grazie ai controlli, si è svolta in totale sicurezza. Probabilmente la chiusura si è rivelata necessaria per scoraggiare la mobilità e gli spostamenti dei cittadini. Cos’è successo secondo lei?
“Improvvisamente l’atteggiamento del governo è cambiato. Finora i musei hanno rispettato tutte le regole fissate che avevano consentito alle persone, a un pubblico per certi versi anche scelto, di frequentarne le sale in sicurezza. Tutti i musei avevano rispettato queste regole. Fino all’ultimo abbiamo sperato che il buon senso prevalesse su scelte ingiustificate sulla base dei numeri, penso ad esempio al basso indice di contagio registrato nei poli culturali. La mia risposta è: dov’è il rischio?”.


L'allestimento del Polittico Griffoni a Palazzo Fava | Courtesy Genus Bononiae. Musei nella città

A Bologna chiude anche Palazzo Fava, sede della mostra dedicata al Polittico Griffoni, tornato a Bologna dopo tre secoli. Sarà prorogata?
“Palazzo Fava è stato il primo a ripartire dopo il lockdown. La mostra dovrebbe concludersi l’11 gennaio del 2021. La proroga che avevamo ottenuto (la mostra aveva visto slittare l’inaugurazione dall'11 marzo al 18 maggio a causa del primo lockdown ndr) era stata già figlia di un miracolo. Tutti i musei che sono in possesso delle varie parti del Polittico avevano accettato di inviare a Bologna i loro pezzi unici e il Polittico è tornato in città nella sua interezza dopo tre secoli. Si tratta di una mostra costosa (basti pensare al trasporto, alle assicurazioni) frutto di uno sforzo organizzativo straordinario, resa possibile grazie al coinvolgimento e alla fiducia dei prestatori e per la quale avevamo anche avuto sponsorizzazioni importanti. A Palazzo Fava abbiamo realizzato un allestimento molto significativo, e devo dire anche costoso. Sicuramente andremo in perdita. Non voglio sottovalutare l’emergenza sanitaria in corso, che merita grande rispetto ed esige la massima attenzione da parte di tutti, ma abbiamo registrato entrate di gran lunga inferiori a quelle previste. Così abbiamo perso due mesi con una mostra di eccezionale importanza”.

Genius Bononiae pensa già ai prossimi progetti? Cosa farete durante questo periodo di chiusura?
“È ancora troppo presto per pensare a nuovi progetti. Quello che posso dire è che non ci faremo scoraggiare: continueremo a tenere viva l’attenzione del nostro pubblico, grazie alle possibilità che le nuove tecnologie ci offrono. Stiamo già pensando a contenuti culturali che non siano puro intrattenimento, ma offrano al pubblico una proposta di alto valore: cicli di incontri, video-documentari, occasioni di scoprire il dietro le quinte dei musei, fino a vere e proprie visite virtuali. Non mancherà, inoltre, un’attenzione particolare ai più piccoli, con proposte online a cura dei nostri servizi educativi”.


Polittico Griffoni, 1472-1473 circa, Francesco del Cossa, Santa Lucia, Tempera su tavola, Washington, National Gallery of Art

A Bologna resta tuttavia aperta la Chiesa di Santa Maria della Vita con il Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell’Arca, definito da D’Annunzio un “urlo di pietra”. In questo momento possiamo dire che l’arte stia lanciando il suo “urlo” inascoltato?
“Il Compianto sul Cristo morto è un’opera straordinaria, di una bellezza incredibile, che invito tutti a visitare. Per il resto, il mio oggi vuole essere un urlo composto, ma che considero necessario".

C’è qualcosa che l’arte deve fare passata l’emergenza?
“L’arte esce da questa situazione colpita a morte. Quello che può impegnarsi a fare è guardare ai più giovani, perché imparino dai grandi maestri”.


Niccolò dell’Arca, Compianto su Cristo morto 1463-1490, Terracotta, Bologna, Chiesa di Santa Maria della Vita

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