Un'opera misteriosa del genio di Vinci
I segreti della Dama con l’ermellino, il capolavoro polacco di Leonardo
Leonardo da Vinci, Dama con l’Ermellino, 1487-1490 circa, Olio su tavola, 40.3 x 54.8 cm, Museo Nazionale di Cracovia
Francesca Grego
14/04/2020
Elegante e misteriosa, la Dama con l’ermellino di Leonardo da Vinci è un’opera che pochi hanno avuto il privilegio di ammirare dal vivo. Custodita dal 1801 nella prestigiosa collezione dei principi Czartoryski, è stata acquisita nel 2016 dallo Stato polacco ed è attualmente esposta al Museo Nazionale di Cracovia.
A lungo gli esperti si sono interrogati sull’identità della giovane donna rappresentata e sul perché stringa tra le braccia un ermellino, non proprio un animale da compagnia e in ogni caso un’apparizione insolita in un ritratto. Al di là di simboli ed enigmi, il quadro ha un taglio particolarmente innovativo per la sua epoca e ci permette di fare un salto indietro nel tempo, in quella Milano dove Leonardo trascorse uno dei periodi più fecondi della sua vita.
Ma andiamo con ordine e partiamo dalla bella fanciulla che si affaccia dalla tavola con look raffinato e sguardo attento. La scritta “La Bele Feroniere Leonard d’Awinci”, leggibile nell’angolo in alto a destra del dipinto, rischia di mandarci fuori strada: come indicano anche le inesattezze ortografiche, si tratta di un elemento apocrifo aggiunto probabilmente in Polonia, e in effetti non abbiamo alcun motivo per pensare che l’opera raffiguri Madame Ferron, l’amante di Francesco I di Francia protagonista di un altro celebre capolavoro di Leonardo. Poco attendibile anche la versione che identificherebbe la dama con Caterina Sforza, figlia di Galeazzo Maria Sforza. Secondo questa interpretazione la collana di granati neri alluderebbe al lutto della nobildonna per la perdita del padre nella congiura ordita nel 1476, mentre l’ermellino sarebbe un richiamo allo stemma araldico di Giovanni Andrea Lampugnani, il sicario responsabile della morte del duca.
Tuttavia è proprio l’animale a portarci verso l’ipotesi più accreditata: quella di Cecilia Gallerani, nobile lombarda colta e di intelletto acuto, ritratta quando a 16 anni era già l’amante del duca di Milano Ludovico Sforza detto il Moro. In greco l’ermellino si chiama galè: la sua presenza nel dipinto alluderebbe quindi al cognome della fanciulla, come avviene in un’altra grande opera di Leonardo, il Ritratto di Ginevra de’ Benci, dove il nome della modella è evocato dal ginepro rigoglioso alle sue spalle. Simbolo della purezza e dell’incorruttibilità della giovane, la bestiola è anche un richiamo a Ludovico, che nel 1488 ricevette dal re di Napoli il titolo onorifico di cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino. A far quadrare il cerchio è la datazione del dipinto, che secondo gli esperti fu realizzato nello stesso anno. E soprattutto del ritratto di Cecilia parla anche una fonte quattrocentesca: si tratta di Bernardo Bellincioni, poeta fiorentino in quegli anni di stanza a Milano, che ne celebra la bellezza in un sonetto.
Ma come potè Leonardo a mettere in braccio a Cecilia un animale selvatico e ritroso come l’ermellino? Sono in molti a pensare che il genio rinascimentale - per il quale l’osservazione dal vero della natura era un valore assoluto - abbia utilizzato come modello un più docile furetto, all’epoca molto comune nella campagna lombarda. Lo testimonierebbero le dimensioni e le fattezze della bestiola, descritte sulla tavola con precisione e vivacità.
L’ermellino e la fanciulla sembrano quasi identificarsi per la sottile comunanza di tratti, la figura slanciata, lo sguardo intenso e candido rivolto nella stessa direzione: un elemento che rafforza la posa inusuale di Cecilia, protagonista di una doppia rotazione, con il busto girato verso sinistra e la testa verso destra, come se qualcuno ne avesse attratto l’attenzione entrando nella stanza. Con quest’opera Leonardo innova profondamente la tradizione del ritratto lombardo, fino ad allora basata soprattutto sulla rappresentazione di profilo. Attraverso la postura e l’espressione del volto continua la sua ricerca nella resa dei moti dell’animo, lasciando immaginare emozioni e situazioni piuttosto che descriverle esplicitamente. Grande rilievo è dato al movimento della mano, che accarezza l’animale con le dita affusolate sottolineandone grazia e purezza, mentre un impercettibile sorriso aleggia sulle labbra della donna: lo stesso che possiamo osservare nel San Giovanni Battista e nella Gioconda.
L’abbigliamento della giovane è curatissimo e ricercato, come si addice a una dama di corte che abbia il privilegio di essere l’amante di uno dei signori più potenti d’Italia. È proprio Ludovico, preso da autentica passione per Cecilia, a commissionare il ritratto a Leonardo. La fanciulla veste alla spagnola, come divenne di moda a Milano in seguito all’avvicinamento degli Sforza al Regno di Napoli. L’acconciatura elaborata che sottolinea i lineamenti con un laccio sulla fronte e il velo dello stesso colore dei capelli, le maniche ampie e preziose adornate da nastri, la collana di granati - simbolo di fedeltà - che spicca sulla carnagione luminosa dipingono in maniera elegante e dettagliata i costumi di una grande stagione, destinata a chiudersi presto con la cattura del Moro ad opera dei francesi.
La risonanza del ritratto tra i contemporanei fu notevole, come documenta il sonetto di Bellincioni solo cinque anni dopo la realizzazione. La marchesa di Mantova Isabella d’Este conobbe l’opera grazie a Cecilia e cercò di farsi immortalare a sua volta dal Maestro, ma ne ricavò solo un disegno che oggi possiamo ammirare al Louvre.
Nei secoli successivi la paternità di Leonardo fu dimenticata: ancora alla fine dell’Ottocento la maggior parte dei critici attribuiva la Dama con l’ermellino ad allievi dell’artista come Giovanni Ambrogio De Predis e Giovanni Antonio Boltraffio. Intanto nel 1801 il dipinto era entrato nella collezione dei principi di Czartoryski - uno scrigno di meraviglie messo insieme in uno dei momenti più bui della storia della Polonia, con il paese diviso tra Prussia, Russia e Impero Asburgico - e viaggiava silenziosamente insieme ai suoi proprietari tra Parigi e Cracovia.
Durante la Seconda Guerra Mondiale gli invasori nazisti scovarono il quadro nei sotterranei del Castello del Wawel, dove era stato nascosto, e lo portarono in Germania. Dopo la restituzione del 1946 sull’angolo inferiore destro della tavola fu scoperta l’impronta di un tallone, segno di un trattamento non proprio rispettoso, poi cancellato dai restauratori.
Massimo tesoro artistico della Polonia, oggi la Dama con l’ermellino racconta al mondo intero le virtù di Leonardo e l’eleganza di un secolo.
A lungo gli esperti si sono interrogati sull’identità della giovane donna rappresentata e sul perché stringa tra le braccia un ermellino, non proprio un animale da compagnia e in ogni caso un’apparizione insolita in un ritratto. Al di là di simboli ed enigmi, il quadro ha un taglio particolarmente innovativo per la sua epoca e ci permette di fare un salto indietro nel tempo, in quella Milano dove Leonardo trascorse uno dei periodi più fecondi della sua vita.
Ma andiamo con ordine e partiamo dalla bella fanciulla che si affaccia dalla tavola con look raffinato e sguardo attento. La scritta “La Bele Feroniere Leonard d’Awinci”, leggibile nell’angolo in alto a destra del dipinto, rischia di mandarci fuori strada: come indicano anche le inesattezze ortografiche, si tratta di un elemento apocrifo aggiunto probabilmente in Polonia, e in effetti non abbiamo alcun motivo per pensare che l’opera raffiguri Madame Ferron, l’amante di Francesco I di Francia protagonista di un altro celebre capolavoro di Leonardo. Poco attendibile anche la versione che identificherebbe la dama con Caterina Sforza, figlia di Galeazzo Maria Sforza. Secondo questa interpretazione la collana di granati neri alluderebbe al lutto della nobildonna per la perdita del padre nella congiura ordita nel 1476, mentre l’ermellino sarebbe un richiamo allo stemma araldico di Giovanni Andrea Lampugnani, il sicario responsabile della morte del duca.
Tuttavia è proprio l’animale a portarci verso l’ipotesi più accreditata: quella di Cecilia Gallerani, nobile lombarda colta e di intelletto acuto, ritratta quando a 16 anni era già l’amante del duca di Milano Ludovico Sforza detto il Moro. In greco l’ermellino si chiama galè: la sua presenza nel dipinto alluderebbe quindi al cognome della fanciulla, come avviene in un’altra grande opera di Leonardo, il Ritratto di Ginevra de’ Benci, dove il nome della modella è evocato dal ginepro rigoglioso alle sue spalle. Simbolo della purezza e dell’incorruttibilità della giovane, la bestiola è anche un richiamo a Ludovico, che nel 1488 ricevette dal re di Napoli il titolo onorifico di cavaliere dell’Ordine dell’Ermellino. A far quadrare il cerchio è la datazione del dipinto, che secondo gli esperti fu realizzato nello stesso anno. E soprattutto del ritratto di Cecilia parla anche una fonte quattrocentesca: si tratta di Bernardo Bellincioni, poeta fiorentino in quegli anni di stanza a Milano, che ne celebra la bellezza in un sonetto.
Ma come potè Leonardo a mettere in braccio a Cecilia un animale selvatico e ritroso come l’ermellino? Sono in molti a pensare che il genio rinascimentale - per il quale l’osservazione dal vero della natura era un valore assoluto - abbia utilizzato come modello un più docile furetto, all’epoca molto comune nella campagna lombarda. Lo testimonierebbero le dimensioni e le fattezze della bestiola, descritte sulla tavola con precisione e vivacità.
L’ermellino e la fanciulla sembrano quasi identificarsi per la sottile comunanza di tratti, la figura slanciata, lo sguardo intenso e candido rivolto nella stessa direzione: un elemento che rafforza la posa inusuale di Cecilia, protagonista di una doppia rotazione, con il busto girato verso sinistra e la testa verso destra, come se qualcuno ne avesse attratto l’attenzione entrando nella stanza. Con quest’opera Leonardo innova profondamente la tradizione del ritratto lombardo, fino ad allora basata soprattutto sulla rappresentazione di profilo. Attraverso la postura e l’espressione del volto continua la sua ricerca nella resa dei moti dell’animo, lasciando immaginare emozioni e situazioni piuttosto che descriverle esplicitamente. Grande rilievo è dato al movimento della mano, che accarezza l’animale con le dita affusolate sottolineandone grazia e purezza, mentre un impercettibile sorriso aleggia sulle labbra della donna: lo stesso che possiamo osservare nel San Giovanni Battista e nella Gioconda.
L’abbigliamento della giovane è curatissimo e ricercato, come si addice a una dama di corte che abbia il privilegio di essere l’amante di uno dei signori più potenti d’Italia. È proprio Ludovico, preso da autentica passione per Cecilia, a commissionare il ritratto a Leonardo. La fanciulla veste alla spagnola, come divenne di moda a Milano in seguito all’avvicinamento degli Sforza al Regno di Napoli. L’acconciatura elaborata che sottolinea i lineamenti con un laccio sulla fronte e il velo dello stesso colore dei capelli, le maniche ampie e preziose adornate da nastri, la collana di granati - simbolo di fedeltà - che spicca sulla carnagione luminosa dipingono in maniera elegante e dettagliata i costumi di una grande stagione, destinata a chiudersi presto con la cattura del Moro ad opera dei francesi.
La risonanza del ritratto tra i contemporanei fu notevole, come documenta il sonetto di Bellincioni solo cinque anni dopo la realizzazione. La marchesa di Mantova Isabella d’Este conobbe l’opera grazie a Cecilia e cercò di farsi immortalare a sua volta dal Maestro, ma ne ricavò solo un disegno che oggi possiamo ammirare al Louvre.
Nei secoli successivi la paternità di Leonardo fu dimenticata: ancora alla fine dell’Ottocento la maggior parte dei critici attribuiva la Dama con l’ermellino ad allievi dell’artista come Giovanni Ambrogio De Predis e Giovanni Antonio Boltraffio. Intanto nel 1801 il dipinto era entrato nella collezione dei principi di Czartoryski - uno scrigno di meraviglie messo insieme in uno dei momenti più bui della storia della Polonia, con il paese diviso tra Prussia, Russia e Impero Asburgico - e viaggiava silenziosamente insieme ai suoi proprietari tra Parigi e Cracovia.
Durante la Seconda Guerra Mondiale gli invasori nazisti scovarono il quadro nei sotterranei del Castello del Wawel, dove era stato nascosto, e lo portarono in Germania. Dopo la restituzione del 1946 sull’angolo inferiore destro della tavola fu scoperta l’impronta di un tallone, segno di un trattamento non proprio rispettoso, poi cancellato dai restauratori.
Massimo tesoro artistico della Polonia, oggi la Dama con l’ermellino racconta al mondo intero le virtù di Leonardo e l’eleganza di un secolo.
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