I toni visionari di William Turner

paesaggismo
 

24/02/2001

Joseph Mallord William Turner (1775-1851) dimostrò sin da bambino un talento straordinario nella pittura tanto che il padre, nonostante le modeste condizioni economiche della famiglia, gli fece frequentare sin dai quattordici anni la Royal Academy. I primi quadri che dipinse furono di soggetto architettonico; gli diedero i primi guadagni i fondali scenografici costruiti per il Pantheon, famoso teatro d’opera londinese del tempo. I vagabondaggi nella campagna inglese lo spinsero a riprodurre i luoghi visitati servendosi della matita, della penna e, con eccellenti risultati, dell’acquerello. Guardò le opere di Claude Lorrain e di Nicolas Poussin ma fu affascinato soprattutto dai paesaggi olandesi di Albert Cuyp e di Jan van Goyen. Le opere di John Robert Cozens lo educarono ad un uso sciolto e atmosferico del mezzo pittorico, nel quale trasferì i propri umori di uomo inquieto. Negli anni Dieci e Venti dell’Ottocento Turner svincolò sempre più gli acquerelli e le tele dalla rappresentazione oggettiva verso la dissoluzione del paesaggio nella luce e nel colore. Usò toni visionari e caricò i soggetti di contenuti letterari e di simbologia. Un soggiorno in Svizzera, ai piedi delle Alpi, gli stimolò la riflessione sull’incommensurabile potenza della natura, soverchiante e indiscutibilmente vincente nel confronto con l’uomo. Il primo viaggio in Italia (1819), durante il quale visitò Venezia, Roma e Napoli, gli rivelò l’intensa luminosità dell’atmosfera mediterranea e fu determinante per l’evoluzione del suo stile. In Tempesta di neve (Londra, Tate Gallery), dipinto datato al 1842, un’imbarcazione lotta per non affondare nel cuore della tempesta. L’acqua del mare, la neve e il fumo sono coinvolti in un unico turbine di vento e finiscono per essere riassorbiti e distrutti nel ritmo del moto universale. L’uomo, laddove trovasse rappresentazione, sarebbe costretto a perdersi nel vortice degli elementi naturali. Il valore rivoluzionario dell’opera di Turner non fu compreso dai contemporanei; oggi, essendogli riconosciuto il merito di aver aperto la strada al soggettivismo nell’arte, è considerato il più grande pittore britannico di tutti i tempi. L’abbazia di Newark nel Surrey (1807) della collezione Mellon sarà esposta a Ferrara a partire dal 25 febbraio.

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