IL SANTO COME MASCHERA DELL’ARTE
Donna asiatica
11/12/2003
Sicuramente l’immagine iconografica che ha avuto più fortuna e che è giunta fino ai giorni nostri è quella dedicata al martirio vero e proprio di San Sebastiano; un’immagine che è stata ripresa molte volte da numerosi artisti e non solo in ambito europeo. Soltanto con l’avvento del Rinascimento si assiste all’apparizione della nota iconografia del santo nudo. Eppure la fonte primaria del V secolo, racconta che Sebastiano, al momento del martirio, venne legato a un palo e denudato, per poi divenire bersaglio di numerose frecce degli arcieri di Diocleziano, fino a somigliare a un riccio: “quasi ericius ita esset irsutus ictibus sagittarum”: letterale è la traduzione che ne fa Benozzo Gozzoli nell’affresco della Collegiata a San Gimignano, in cui l’interesse è volto non tanto alla bellezza, quanto piuttosto alla verità dei fatti.
Ben presto San Sebastiano diviene icona della dedizione e dell’amore, della forza dell’anima che vince sul dolore fisico e sulle cose terrene. Ecco dunque apparire una numerosa varietà di pitture sul suo martirio: la tela di Antonio Pollaiolo oggi alla National Gallery, alla quale si è ispirata Ana Maria Pacheco (Brasile, 1942) per l’opera dallo sfondo politico “Dark night of the soul” del 1999; l’affresco di Pinturicchio nell’appartamento Borgia in Vaticano e l’opera di Luca Signorelli, oggi alla Pinacoteca di Città di Castello. In queste opere il piano principale è occupato dalla figura del santo, colpito dalle frecce, spesso con lo sguardo rivolto al cielo: un corpo mortale, reso in tutta la sua fisicità e matericità, ma elevato ad essere divino. Esemplari sono inoltre le figure del Sodoma e del Perugino che decretano la vittoria della forza della fede sulla natura (San Sebastiano legato all’albero) e della forza della Chiesa sul mondo pagano (San Sebastiano legato alla colonna). Famosissime sono l’opera di Dresda di Antonello da Messina o del Mantegna e il Santo del Polittico Averoldi di Tiziano.
Nelle iconografie successive, il dolore sublimato attraverso la forza della fede addirittura scompare per fare spazio all’estasi, come in molte opere dei veneti in particolare del Guido Reni. A quest’ultimo si è ispirato Luigi Ontani (Vergato, Bologna, 1943) che fin dagli inizi della sua carriera a oggi ha sempre guardato a questa figura come immagine della tradizione, della nostra cultura e dell’arte in particolare. L’artista ne ha rivestito i panni, in molte serie fotografiche, ne ha tradotto l’iconografia classica in sculture di ceramica come una maschera di celebrazione all’arte, una memoria dell’arte proprio perché si rifà all’arte stessa. L’immagine rimane quella dell’iconografia classica, del giovane trafitto dalle frecce, un giovane non devoto alla morte ma alla vita e si arricchisce di forti significati simbolici. San Sebastiano, attraverso le sue stesse forme diventa un omaggio a se stesso, ma inteso come Arte, che, come afferma l’artista, “è un continuo infinito”.
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