Da Helmut Newton a Steve McCurry, gli appuntamenti dell’estate

La grande fotografia torna in scena: 8 mostre da non perdere

Mario Giacomelli, Io non ho mani che mi accarezzino il volto, 1961-1963 | © Archivio Mario Giacomelli - Simone Giacomelli
 

Francesca Grego

29/06/2020

Reportage, ritratti d’autore, moda, nudo, paesaggi: i Maestri della fotografia sono tornati per un’estate a tutto scatto. Da Milano a Napoli, ecco le tappe da non perdere per un viaggio tra le sfumature dell'immagine d’autore.

• Helmut Newton Works - Fino al 20 settembre alla GAM di Torino
Cento anni fa nasceva a Berlino Helmut Newton e solo 12 anni dopo iniziava il suo leggendario sodalizio con la macchina fotografica. La Galleria d'Arte Moderna di Torino festeggia l’anniversario con una mostra realizzata in collaborazione con la Helmut Newton Foundation. A cura di Matthias Harder, direttore della fondazione tedesca, il progetto ricostruisce la carriera del grande fotografo in 68 scatti: memorabili copertine di moda, campagne per griffe come Valentino e Yves Saint-Laurent, ritratti di celebrities - da Andy Warhol a Claudia Schiffer, da Gianni Agnelli a Catherine Deneuve - e nudi che hanno segnato un’epoca. Eleganza, seduzione, teatralità e una punta di ironia li attraversano tutti, in parallelo alla vena ambigua e trasgressiva che ha reso famoso l’enfant terrible della fotografia. “Helmut Newton non ha mai smesso di stupire e fare scalpore”, afferma Harder: “La sua caratteristica distintiva è spostare, trasgredire e abbattere i confini”.


Un'immagine dell'inaugurazione della mostra Helmut Newton - Works alla GAM di Torino | Foto: © 2020 Perottino | Courtesy GAM Torino

• Steve McCurry. Icons - Fino al 10 gennaio 2021 a Cagliari, Palazzo di Città
Quarant’anni di viaggi, esperienze ed emozioni da rivivere nell’obiettivo di uno dei più grandi fotografi di sempre: oltre 100 scatti firmati McCurry approdano a Cagliari per un suggestivo colpo d’occhio sul nostro tempo. Non possono mancare gli occhi verdi della giovanissima Sharbat Gula, catturati in un’immagine icona nel campo profughi di Peshawar, Afghanistan. E poi guerre e fenomeni naturali, eventi impressionanti come l’11 settembre o il terremoto in Giappone, ma anche le scene poetiche e rasserenanti tratte dai progetti di McCurry sulla spiritualità e sulla lettura. “Con le sue foto - ha spiegato la curatrice Biba Giacchetti - Steve McCurry ci pone a contatto con le etnie più lontane e con le condizioni sociali più disparate, ma unite da emozioni universali; ci consente di attraversare le frontiere e di conoscere da vicino un mondo destinato a grandi cambiamenti”.


Steve McCurry, Peshawar, Pakistan, 1984 | © Steve McCurry

• Robert Doisneau - Fino al 9 agosto a Bologna, Palazzo Pallavicini
Il mondo fotografato da Robert Doisneau “non ha nulla a che fare con la realtà, ma è infinitamente più interessante”: nei suoi scatti la vita della gente comune è capace di grandi rivelazioni. A Bologna lo sguardo del reporter francese si svela in 143 immagini scovate dalle figlie Annette Doisneau e Francine Deroudille setacciando una miniera di 450 mila negativi. Raccontano la Resistenza in Francia, le periferie di Parigi, i giochi dei bambini e i personaggi eccentrici incontrati nei caffè, il mondo dell’arte e quello della moda. E naturalmente c’è il Bacio più famoso della storia della fotografia: quello della giovane coppia diventata un’icona in mezzo al traffico di Place de l’Hôtel de Ville. Ribelle, poetico, anticonformista, Doisneau è considerato insieme a Cartier-Bresson il fondatore della fotografia umanista francese e del fotogiornalismo di strada. “Le meraviglie della vita quotidiana sono così eccitanti; nessun regista può ricreare l’inaspettato che trovi per strada”, ha detto una volta il reporter.
A partire dal 26 settembre, la mostra si sposterà a Palazzo Roverella di Rovigo.


Robert Doisneau, Les frères, rue du Docteur Lecène, Paris, 1934 | Foto: © Robert Doisneau

• Sebastião Salgado. Exodus. In cammino sulle strade delle migrazioni - Fino al 26 luglio a Pistoia, Palazzo Buontalenti
Era il 1993 quando Salgado iniziò il suo viaggio nell’universo delle migrazioni: in sei anni ha percorso quattro continenti catturando partenze e approdi, campi profughi dove milioni di persone sono sospese al filo di un destino incerto, teatri di guerre, disastri naturali, luoghi di crisi, di sradicamento e di speranza. Attuale come non mai, il suo lavoro è ora raccolto in una mostra a cura di Lélia Wanick, moglie e compagna di avventura del reporter brasiliano: quasi 200 immagini che parlano di paura e di desiderio, di istinto di sopravvivenza, di disperazione, coraggio e dignità, saltando dal Messico al Nord Africa, dall'Amazzonia ai Balcani o al Vietnam, fino alla sezione finale con i ritratti di bambini incontrati in ogni parte del mondo. “Abbiamo in mano la chiave del futuro dell'umanità, ma dobbiamo capire il presente”, ha spiegato Salgado: “Queste fotografie mostrano una porzione del nostro presente. Non possiamo permetterci di guardare dall'altra parte”.


Sebastião Salgado, Water supplies are often far away from the refugee camps, Goma, Zaire, 1994 | © Sebastião Salgado / Amazonas Images / Contrasto

• Elliott Erwitt. Icons - Fino al 12 luglio a Roma, presso WeGil
Ironico, surreale, talvolta romantico, Elliott Erwitt era un reporter decisamente sui generis: ha spaziato dai grandi eventi alla pubblicità, ma a renderlo veramente popolare sono stati i quattro libri fotografici dedicati ai cani. A Roma 70 tra i suoi scatti più celebri sanno mostrarci il secolo appena trascorso sotto una luce nuova: dall’incontro tra Nixon e Kruscev al match tra Muhammad Alì e Joe Frazier, dalle nozze di Grace Kelly e Ranieri di Monaco ai funerali di John Fitzgerald Kennedy, fino a famosi ritratti di Marilyn, Marlene Dietrich e Che Guevara. Nella galleria degli autoritratti, Elliott dimostra di saper prendere in giro anche se stesso, mentre immagini intime e familiari raccontano la persona dietro l’obiettivo. E per finire, un’incursione piena di humour anticonvenzionale nell’universo canino.


Elliott Erwitt, USA, California, 1956 | © Elliott Erwitt

• Inge Morath. La vita. La fotografia - Fino al 1° novembre a Milano, Museo Diocesano Carlo Maria Martini
“Non appena vede una valigia, Inge comincia a prepararla”, ricordava Arthur Miller, celebre drammaturgo e marito della Morath. Prima donna a far parte della leggendaria agenzia Magnum Photos, Inge Morath ha percorso il mondo da Venezia alla Cina, dalla Spagna all’Iran e all’Unione Sovietica, traducendo la realtà in immagini intense e personali. I suoi reportage li realizzava con cura maniacale, studiando lingua, cultura e costumi di ogni destinazione, senza nulla togliere alla fragranza di ogni incontro. “Fotografare è un fenomeno strano”, diceva, “ti fidi dei tuoi occhi e non puoi fare a meno di mettere a nudo la tua anima”. Nella mostra milanese viaggi, popoli e luoghi lontani si affiancano ai ritratti in cui la reporter austriaca ha fissato l’immagine di personaggi come Picasso, Neruda, Stravinsky o Marilyn: testimoni di uno sguardo curioso e singolare, quello di una viaggiatrice colta e coraggiosa che ha fatto della fotografia non solo un lavoro, ma una parte fondamentale della propria esperienza di vita.


Inge Morath, Un lama a Times Square, New York, 1957 | © Fotohof archivi / Inge Morath / Magnum Photos

• Gabriele Basilico Bord de Mer - Fino al 1° novembre a Napoli, Magazzini Fotografici
La grande fotografia di paesaggio approda nel centro storico di Napoli con Gabriele Basilico. Protagonista della mostra è il mare, con le sue trasformazioni: siamo negli anni Ottanta e Basilico è chiamato a documentare i cambiamenti che hanno interessato le coste francesi. Da Calais alla Normandia, l’occhio del fotografo fruga tra porti, spiagge e candide scogliere, segnando un nuovo modo di raccontare la geografia e riscoprendo il suo lavoro con inedita lentezza. “Quei luoghi del Nord Europa, con il mare burrascoso, i cieli profondi, le nubi pesanti, con la pioggia insistente, il vento, il sole e la luce che cambiava continuamente, mi hanno spalancato una porta verso una nuova visione del paesaggio”, ha ricordato Basilico. “Era il paesaggio di pittori come il Canaletto e il Bellotto, o come i fiamminghi... Artisti descrittivi, che tuttavia mi avevano fatto ben intuire come quel frammento di mondo minuziosamente dipinto andasse molto oltre, superasse i bordi del quadro per espandersi verso altri orizzonti, forse addirittura verso il mondo intero”.


Gabriele Basilico, Merlimont Plage, 1985 | © Gabriele Basilico

• Sguardi di Novecento. Giacomelli e il suo tempo - Fino al 29 settembre a Senigallia, Palazzo del Duca e Palazzetto Baviera
Intense emozioni e una straordinaria sensibilità grafico-pittorica distinguono gli scatti di Mario Giacomelli, il fotografo che dalle Marche ha raggiunto gli onori del MoMa di New York. “Mi dicono spesso che le mie fotografie sono piene di errori, invece non sanno quanta fatica mi costa fare una foto così sbagliata”, disse una volta l’artista. Lo sapeva evidentemente John Szarkowski, che con la mostra The Photographer’s Eye nel 1964 consacrò Giacomelli tra i 100 migliori fotografi del mondo. Quest’estate una doppia mostra ricorda il Maestro a Senigallia, la sua città natale. A Palazzo del Duca Giacomelli si confronta con altri grandi talenti novecenteschi: da Cartier-Bresson a Berengo Gardin, da Nino Migliori a Paolo Monti, da Brassaï a Doisneau, fino al turco Ara Güler, al giapponese Kikuji Kawada e al colombiano Leo Matiz. A Palazzetto Baviera ripercorriamo invece l’avventura di Giacomelli con il Gruppo Misa, l'eccezionale fucina di idee che negli anni Cinquanta vide il fotografo marchigiano impegnato insieme a Giuseppe Cavalli e Ferruccio Ferroni.




Mario Giacomelli, Per poesie, fine anni Sessanta | © Archivio Mario Giacomelli - Rita Giacomelli


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