In mostra fino al 20 febbraio al Museo di Santa Giulia di Brescia

Lattanzio Gambara, il pittore ritrovato. Intervista a Marco Tanzi

Lattanzio Gambara (Brescia 1530 circa - 1574), Autoritratto, 1561 - 1562, Affresco (strappo), 56.5 × 41.5 cm, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo
 

Samantha De Martin

03/12/2021

Nemo propheta in patria si dice. Ma nel caso di Lattanzio Gambara questa frase vale a metà, o meglio solo dopo l’Ottocento, quando, ad offuscare la fama del pittore manierista furono, nella sua Brescia, diverse circostanze.
A farci entrare nell’eclettica personalità del maestro bresciano è lo storico dell’arte Marco Tanzi, curatore della mostra-dossier dal titolo Il senso del nuovo. Lattanzio Gambara, pittore manierista, che si potrà visitare fino al 20 febbraio al Museo di Santa Giulia a Brescia.
Il percorso, articolato in due sezioni, accompagna il visitatore alla scoperta dell’evoluzione delle scelte stilistiche di Gambara, nel tempo sempre più consapevoli e articolate, dalle opere giovanili e profane fino a quelle sacre della maturità.


Lattanzio Gambara, Scena di combattimento, 1555-1557 circa, Affresco (strappo), 46 x 218 cm, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo

Giorgio Vasari aveva definito Lattanzio Gambara “il miglior pittore che sia in Brescia”. Che cos’è che nel tempo ha offuscato la sua fama e perché oggi questo artista è poco conosciuto?
“Gambara è un pittore di prima grandezza nella maniera dell’Italia settentrionale. Oggi è poco conosciuto per due motivi. Il primo è che ci sono poche pale d’altare di Gambara, e mai esposte in una mostra. La grande esposizione svoltasi a Brescia nel 1946 ne aveva presentate al pubblico solo tre. In secondo luogo gli affreschi a Brescia, nelle Chiese di San Lorenzo, Sant’Eufemia, San Faustino, sono stati tutti distrutti nell’Ottocento, mentre quei pochi rimasti in città, quasi tutti profani, si trovano soprattutto nelle case private dove non è possibile avere accesso. Quindi potremmo dire che la fama in patria di Lattanzio Gambara c’è, ma fino all’Ottocento. E poi Romanino e Moretto, artisti molto amati dai bresciani, contriburono ad offuscarne la figura. In più non bisogna dimenticare che la principale impresa di Gambara si trova a Parma, riconoscibile negli affreschi della navata del Duomo. Se questa impresa, anziché a Parma, città già illuminata dalla fama di Correggio, Parmigianino, Antelami, Gambara l’avesse compiuta a Brescia tutti avrebbero oggi un’altra considerazione di questo artista”.

La
Conversione di Saulo, dipinta per San Benedetto al Polirone, arricchisce la ricostruzione del Gambara come pittore di opere su tela. In occasione della mostra il dipinto di proprietà di BPER Banca ha eccezionalmente lasciato le sale di Palazzo Martinengo Villagana a Brescia, dove è custodito. Perché quest’opera è così importante?

“San Benedetto in Polirone è il monastero benedettino più importante della bassa Padana, dove hanno lavorato personalità come Giulio Romano, Antonio Begarelli. La cosa importante da sottolineare è che lo stesso giorno, dallo stesso notaio e dallo stesso abate, vengono commissionate per San Benedetto in Polirone tre pale a Lattanzio Gambara e tre pale a Veronese. Quelle di Veronese sono pale famosissime, una si trova alla National Gallery, un’altra a Norfolk, in Virginia, e un’altra è andata bruciata nell’Ottocento. Di Gambara ne è invece rimasta una sola. Ogni pala fu pagata a Veronese 35 ducati, a Gambara 32. Dunque questa piccolissima differenza di compenso mostra come Gambara fosse tenuto in grande considerazione dai contemporanei. Mi sono imbattuto ne La Conversione di Saulo nel 1990-1991. L’opera era passata sul mercato con l’attribuzione al pittore cremonese Vincenzo Campi”.


Lattanzio Gambara, Conversione di Saulo, Olio su tela, 170 x 250 cm, 1561-1562, Brescia, BPER BANCA Provenienza: Polirone, San Benedetto, almeno fino al 1800; Cremona, collezione privata, 1988

La mostra ruota intorno al Compianto su Cristo morto con i Santi Bartolomeo e Paolo (1570-1574 circa), acquistato da Fondazione Brescia Musei agli inizi del 2021 e adesso, per la prima volta, presentato al pubblico. Sono stati proprio i suoi studi ad aver ricondotto con certezza alla paternità di Gambara. Come si è imbattuto in quest’opera?
“Sono venuto in possesso di alcune fotografie inviatemi dalla casa d’aste Dorotheum che voleva mettere in asta il dipinto con attribuzione a scuola cremonese. Io ho immediatamente riconosciuto il Compianto come opera di Gambara e ho deciso di segnalarla alla Fondazione Brescia Musei che se l’è aggiudicata. Nel frattempo ero arrivato a capire che l’opera proveniva da una chiesa di Brescia, San Bartolomeo, soppressa alla fine del Settecento".

C’è un curioso aneddoto “di famiglia” che ruota intorno a quest’opera di Gambara…
“Tre o quattro anni fa mia figlia Beatrice, che segue le mie orme, lavorava da un antiquario di Milano e mi fece vedere sullo smartphone una foto non professionale del quadro che lei riteneva fosse di Gambara. Ma io, probabilmente in quel momento distratto, le dissi che secondo me non si trattava di un Gambara, bensì di un artista di scuola toscana. È stata lei a riconoscerlo prima di me”.


Lattanzio Gambara, Compianto su Cristo morto con i Santi Bartolomeo e Paolo, 1570-1574 circa, Olio su tela, 185 x 139 cm, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo

In cosa eccelleva Gambara, oltre che nella pittura?
“Era un disegnatore straordinario, ma anche un ritrattista. Ci sono tantissimi suoi disegni. Noi lo conosciamo quasi esclusivamente per i ritratti degli affreschi del Duomo di Parma, di qualità pari a quella di Giovan Battista Moroni o di Bernardino Campi, ma con uno stile diverso, che vira di più sul veneto”.

La mostra si intitola Il senso del nuovo. Lattanzio Gambara, pittore manierista. In cosa in particolare Gambara fu un innovatore?
“Fu un innovatore perché Brescia veniva, da un lato, dalla ventata eccentrica anticlassica di Romanino, di cui Gambara sposò la figlia ereditandone le commissioni, mentre dall’altra aveva conosciuto la ventata del classicismo e dell’eleganza, se vogliamo raffaellesca, del Moretto. Gambara arriva dopo, e viene studiato poco. La cosa davvero moderna è l’aver portato il manierismo appreso non in Toscana, bensì a Venezia. In laguna dal 1539 al 1542 ci sono Giorgio Vasari e Francesco Salviati che cambiano in parte la visione della pittura a Venezia. Gambara lavora anche qui. Non conserviamo più nulla, ma i suoi lavori sono documentati. Subisce una sorta di svolta michelangiolesca. Ed è questo il nuovo che porta a Brescia".


Il senso del nuovo. Lattanzio Gambara, pittore manierista I Foto: © Adicorbetta

Com’è allestita la mostra e quante sono le opere esposte?
“Sono dieci, ma di grande valore, con un allestimento ben pausato. Credo sia la prima volta che si riescono a esporre insieme cinque opere da cavalletto di Lattanzio Gambara, notevolissimo e torrenziale maestro, capace di affrescare con temi sacri e profani chilometri quadrati di superficie muraria, senza cedere mai il passo a stanchezza o a cadute di qualità. Ci sono quattro grandi affreschi che raccontano la storia di Marco Curzio e della voragine, il Ratto delle Sabine, Scipione. C’è anche, dalla Pinacoteca Tosio Martinengo, un Autoritratto ad affresco di Gambara che è quanto ci rimane della decorazione della Chiesa di San Lorenzo, andata distrutta. Nella Sala dei Compianti si può vedere il quadro appena acquistato, “star” dell’allestimento in una sorta di nicchia ben illuminata, assieme ad altri dipinti relativi al tema del compianto, del seppellimento, della morte di Cristo (uno di collezione privata). C’è poi la Deposizione di Vincenzo Campi proveniente da Gallerie degli Uffizi, ispirata all’opera più conosciuta (e più riprodotta) di Gambara, ovvero la Deposizione nel sepolcro della Chiesa di San Pietro al Po a Cremona. Non manca il Trasporto di Cristo nel sepolcro dei Musei reali di Torino. Di fronte spicca la Conversione di Saulo, Pala da San Benedetto in Polirone, ora di proprietà della BPER Banca”.

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