Oliviero Toscani
 
										
										 
										
										
																		
																									Oliviero Toscani
															
							04/12/2000
							 Forse Oliviero Toscani è solo un bravo fotografo. O forse è davvero quel guru della comunicazione, il rivoluzionario guerriero dell’immagine che è quotidianamente osannato e criticato, censurato e adulato da giornali, televisioni, imprese e uomini d’affari. Il binomio amore-odio lo definisce solo in parte, lo descrive per quell’aspetto di superficie, di ”rappresentazione” come lui stesso ama dire, che serve a comunicare agli altri la sua diversità, il suo non-allineamento culturale prima che politico, sociale o artistico. Raccontarlo non è cosa facile, anche se al contrario incontarlo ed intervistarlo è stato semplice, perchè è persona disponibile ed affabile, che ama parlare di sé e delle cose che lo circondano. Le idee, le sue idee, sono un’esposizione di paradigmi a cui corrisponde un’applicazione quotidiana nelle scelte di lavoro che fa, nelle operazioni di comunicazione che porta avanti. Si tratti di fare la pubblicità per Benetton, di dirigere Colors o di essere l’art director di un magazine come Talk, Oliviero Toscani è un uomo che unisce allo straordinario intuito artistico un talento unico, irripetibile, nel disturbare il suo interlocutore, nello spostare la domanda, nel deformare la risposta...
Toscani, lei ha per primo portato l’informazione all’interno della comunicazione commerciale di un grande gruppo industriale. Oggi, a qualche mese dal suo ”divorzio” con Luciano Benetton pensa che questo ”modello” sarebbe replicabile altrove ? 
”Il modello della campagna di Benetton è replicabilissimo. Ho sempre fatto questo genere di campagne per le imprese con cui ho lavorato. Per fare comunicazione ci vogliono i media, i capitali, l’applicazione, i manifesti, la televisione e tutto questo che ce l’hanno le imprese. Sono i budget pubblicitari e di comunicazione delle imprese. In verità la comunicazione commerciale ha tali mezzi che non ha alcun interesse di fare qualcosa di diverso da quello che già fa. Perchè questo è il sistema. Bisogna fare comunicazione, così vive la televisione, vivono i giornali ... è tutto un sistema di autofinanziamento” 
Dopo aver avuto a che fare con molti uomini d’affari, sa cosa pensino e cosa cerchino in lei?
”Le imprese potrebbero produrre controinformazione ma non hanno alcun interesse a farlo. Perchè non hanno il livello culturale. Chi decide la comunicazione delle aziende normalmente è l’amministratore delegato che quando va bene ha studiato alla Bocconi di Milano. Quindi non ha alcun senso estetico, ha solamente la volgarità di chi si interessa esclusivamente all’economia. Per questa ragione la comunicazione delle aziende è mediocre, volgare e inutile. Nei media comunque sia ci vuole un minimo di ricerca. L’informazione industriale è decisa dall’amministratore delegato dell’impresa.
Le sue priorità sono la sua demenza. Penso che qualsiasi manager e uomo del marketing sia basilarmente un demente. Crede che il suo prodotto faccia svenire la gente, il mondo. I prodotti in verità creano imbarazzo. Siamo sotterrati, ci sono troppi prodotti, tutti uguali. Non c’è nessuna differenza. Produrre qualsiasi cosa ormai è talmente facile che quasi lo si può fare per telefono” 
Anche i media sono un prodotto?
”C’è una differenza. Si crede che la comunicazione sia il cavalier servente della spinta al consumo. In realtà le cose non stanno così. La comunicazione è una forma moderna di azione culturale. Cosa fa un giornale? Un giornale usa immagini e parole per informare e per vendere un oggetto stampato su carta. Anche quello è un prodotto. Cosa fa la comunicazione commerciale? Usa le parole per vendere e al tempo stesso per informare. La prospettiva tutto sommato è la stessa. Perchè dovrebbe essere differente? Di fronte a uno spot la mia prima reazione non è di andare a comprare il prodotto reclamizzato. Ho una reazione emotiva, umana, come accade quando guardo la copertina di un giornale o il trailer di un film”
Chi opera nel mondo del marketing ragiona spesso adottando alcune parole chiave: il livello di conoscibilità del marchio e il gradimento ottenuto sono due dei parametri più importanti per giudicare l’efficacia di una campagna pubblicitaria. La critica più comune alle sue iniziative è che generalmente tra il pubblico aumenta la riconoscibilità del marchio sul mercato, ma il gradimento per il prodotto scade. Lei crede che oggi, nell’enorme flusso di informazione cui siamo sottoposti, sia necessario andare oltre il messaggio pubblicitario, dando un’anima alla comunicazione d’impresa ? 
”Perché l’esigenza di attribuire un’anima? Io penso che già oggi nei fatti le aziende siano un’entità sociale molto importante. Credo che debbano avere una responsabilità sociopolitica. E’ strano che al capitale venga perdonato tutto, che a fini di lucro e di profitto si permettano le cazzate che vengono realizzate a livello di comunicazione. Io non lo accetto. Quando vedo certe pubblicità ho vergogna di appartenere alla razza umana”
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