Teatro“La gente vuole ridere ancora”. Parte da Roma il tour di Salemme

 

16/02/2006

Dopo una burrascosa prima a Roma, ricca di imprevisti acutamente risolti dal padrone di casa ha debuttato al Sistina, “La gente vuole ridere ancora” di Vincenzo Salemme. Lo spettacolo che parte dalla capitale toccherà i maggiori teatri italiani. Questa nuova versione de “La gente vuole ridere ancora”, infatti, è - per questa edizione - completamente rivisitata, aggiornata e sono state aggiunte delle canzoni per renderla uno spettacolo praticamente inedito. Accanto a lui ritroviamo la sua “tradizionale” compagnia protagonista di tanti successi, quyi riportata in stretto ordine alfabetico: Domenico Aria, Maurizio Casagrande, Elisabetta D’acunzo, Teresa del Vecchio, Roberta Formilli, Ernesto Lama, Biancamaria Lelli, Rosa Miranda, Giovanni Ribò e Stefano Sarcinelli. Nel descrivere il suo spettacolo Salemme ha detto: “Lo spettacolo che metto in scena in questa stagione ha come titolo “La gente vuole ridere... ancora". Perché la parola ancora? È proprio in questa domanda, e soprattutto nella risposta che ne deriva, il senso del mio progetto. Innanzitutto non è un caso che io parli di progetto e non di commedia. Perché quando ho immaginato per la prima volta la storia di un gruppo di attori chiusi in un teatro, ospiti di una contessa mezza matta che in cambio del vitto e dell'alloggio chiede loro di rappresentarle la vita, avevo in mente proprio un progetto più che una commedia. Devo prima di tutto specificare che in quegli anni non esistevano ancora i reality show. E’ importante questa precisazione non tanto per la rivendicazione di una forma di brevetto delle idee (non sarei felice peraltro di guadagnare soldi grazie a un copy-right di uno spettacolo che sta distruggendo il mio mestiere di attore), quanto per dimostrare a chi mi sta leggendo che le mie intenzioni di allora erano solo una provocazione. Con il mio spettacolo volevo proprio manifestare il mio disagio di fronte al lento declino del teatro. Sentivo che il teatro stava perdendo la sua funzione vitale di divertimento e di dialogo tra le persone. Non riesco più a pensare agli spettacoli come confezioni chiuse. Quel tipo di teatro rappresenta ai miei occhi, forse troppo inquieti, l'assenza della vita. Io cerco emozioni più che racconti. Sollecitazioni più che finzioni narrative. Vorrei che il pubblico uscisse dalla sala portandosi via una parte di me e lasciandomi in cambio qualcosa di sé".

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