Fino al 2 aprile alla Triennale di Milano
999 domande per abitare il futuro
Triennale di Milano |
999. Una collezione di domande sull'abitare contemporaneo
Francesca Grego
18/01/2018
Milano - Non una mostra nell’accezione tradizionale del termine, ma un vero e proprio laboratorio per ispirarsi, interrogarsi, dire la propria sul senso di casa del XXI secolo: è 999. Una collezione di domande sull’abitare contemporaneo, in Triennale fino al 2 aprile.
In spazi di design che alludono alla struttura di un cantiere in divenire, prende forma un viaggio fatto di esperienze e voci multiformi, concepito dal curatore Stefano Mirti per coinvolgere i visitatori, generando stimoli e domande sempre nuove che vanno ad aggiungersi alle centinaia di contributi che già popolano un progetto nato all’insegna della condivisione.
L’idea nasce da lontano, dalla visione del precedente presidente della Triennale Claudio De Albertis, l’ingegnere innamorato del design, dell’arte, dell’abitare inteso come la possibilità di un nuovo umanesimo che spese molte delle sue energie per fare della fondazione di via Alemagna un punto di riferimento culturale internazionale. “Questa mostra fu fortemente voluta da De Albertis, un progetto nel quale lui credeva moltissimo” ha ricordato la vicepresidente Clarice Pecori Giraldi.
Un’indagine ludica ma necessaria su un futuro che è già diventato presente, alla scoperta di una sorprendente varietà di cambiamenti ed esigenze nuove fino a poco tempo fa inimmaginabili.
Non solo tecnologie avveniristiche naturalmente. Accanto a wi-fi e domotica, l’innovazione del quotidiano si intreccia con l’evoluzione del costume e della società: spazio quindi alle nuove pratiche del co-housing e del co-working, all’esplosione di AirBnB, ai servizi di food delivery, ai single e alle famiglie allargate.
Ma ci si interroga anche su come la casa sia percepita e vissuta da un malato di Alzheimer, su chi una casa non ce l’ha più o non l’ha mai avuta
Da esplorare, le wearable home e il giardino domestico, la stanza del cibo e quella dell’anima con interni in lana e seta, la camera dei giochi da tavolo e quella dei videogame. Radio, social media, totem interattivi in dialogo con le vecchie buche della posta riflettono su come sia cambiato negli ultimi tempi il rapporto tra interno ed esterno.
Dopo il contributo di Edison con un excursus che va dalla Casa Elettrica di Giò Ponti alla smart home contemporanea, una grande installazione del Politecnico di Milano ci aiuta a immaginare come ci nutriremo nel futuro, mentre gli architetti di All(zone) di Bangkok presentano un lavoro sulla “casa degli spiriti”, basato sull’idea che ad abitare una dimora siano anche gli antenati degli inquilini ufficiali, e un gruppo di designer di Taiwan ritiene che le scale condominiali siano la chiave di volta del sistema casa.
Altri contributi arrivano da Israele, dalla Romania, dal Messico, in un allestimento corale in cui nessuno ha il diritto di stabilire delle priorità univoche.
“È una mostra che possiamo definire post-autoriale”, ha spiegato Mirti: “Non siamo più in un tempo dove c’è un architetto, mettiamo Le Corbusier, che si sveglia un mattino con un’idea grandiosa da proporre al mondo. È una tessitura, fatta da soggetti diversi che lavorano in multinazionali, aziende, startup, centri di ricerca, scuole, associazioni di attivisti, community: ognuno inventa, mette a punto e questa grande trama definisce il mondo in cui viviamo”.
Concepita come un festival, 999 invita i visitatori a partecipare e interagire in un ricco programma di performance, corsi, talk e workshop.
Con un piccolo supplemento sul biglietto di ingresso, si può entrare negli spazi della Triennale anche tutti i giorni, per continuare a curiosare all’interno di un’esposizione che è un continuo work in progress. Il palinsesto si arricchisce infatti di giorno in giorno, grazie ai contributi di chiunque abbia nuove domande o proposte da offrire personalmente o sulle piattaforme social, che sono state vere e proprie infrastrutture del processo di gestazione della mostra.
“La sfida è stata quella di fare una mostra non per addetti ai lavori, ma per famiglie con bambini”, ha raccontato il curatore: “una mostra ‘hands on’ dove la gente tocca, pigia, prova, gioca. Non una mostra dove vedi delle cose, ma dove fai delle cose. Per questa ragione, l’unico vincolo che abbiamo dato ai soggetti coinvolti è di realizzare qualcosa di divertente, affascinante anche per visitatori non specialisti”.
In spazi di design che alludono alla struttura di un cantiere in divenire, prende forma un viaggio fatto di esperienze e voci multiformi, concepito dal curatore Stefano Mirti per coinvolgere i visitatori, generando stimoli e domande sempre nuove che vanno ad aggiungersi alle centinaia di contributi che già popolano un progetto nato all’insegna della condivisione.
L’idea nasce da lontano, dalla visione del precedente presidente della Triennale Claudio De Albertis, l’ingegnere innamorato del design, dell’arte, dell’abitare inteso come la possibilità di un nuovo umanesimo che spese molte delle sue energie per fare della fondazione di via Alemagna un punto di riferimento culturale internazionale. “Questa mostra fu fortemente voluta da De Albertis, un progetto nel quale lui credeva moltissimo” ha ricordato la vicepresidente Clarice Pecori Giraldi.
Un’indagine ludica ma necessaria su un futuro che è già diventato presente, alla scoperta di una sorprendente varietà di cambiamenti ed esigenze nuove fino a poco tempo fa inimmaginabili.
Non solo tecnologie avveniristiche naturalmente. Accanto a wi-fi e domotica, l’innovazione del quotidiano si intreccia con l’evoluzione del costume e della società: spazio quindi alle nuove pratiche del co-housing e del co-working, all’esplosione di AirBnB, ai servizi di food delivery, ai single e alle famiglie allargate.
Ma ci si interroga anche su come la casa sia percepita e vissuta da un malato di Alzheimer, su chi una casa non ce l’ha più o non l’ha mai avuta
Da esplorare, le wearable home e il giardino domestico, la stanza del cibo e quella dell’anima con interni in lana e seta, la camera dei giochi da tavolo e quella dei videogame. Radio, social media, totem interattivi in dialogo con le vecchie buche della posta riflettono su come sia cambiato negli ultimi tempi il rapporto tra interno ed esterno.
Dopo il contributo di Edison con un excursus che va dalla Casa Elettrica di Giò Ponti alla smart home contemporanea, una grande installazione del Politecnico di Milano ci aiuta a immaginare come ci nutriremo nel futuro, mentre gli architetti di All(zone) di Bangkok presentano un lavoro sulla “casa degli spiriti”, basato sull’idea che ad abitare una dimora siano anche gli antenati degli inquilini ufficiali, e un gruppo di designer di Taiwan ritiene che le scale condominiali siano la chiave di volta del sistema casa.
Altri contributi arrivano da Israele, dalla Romania, dal Messico, in un allestimento corale in cui nessuno ha il diritto di stabilire delle priorità univoche.
“È una mostra che possiamo definire post-autoriale”, ha spiegato Mirti: “Non siamo più in un tempo dove c’è un architetto, mettiamo Le Corbusier, che si sveglia un mattino con un’idea grandiosa da proporre al mondo. È una tessitura, fatta da soggetti diversi che lavorano in multinazionali, aziende, startup, centri di ricerca, scuole, associazioni di attivisti, community: ognuno inventa, mette a punto e questa grande trama definisce il mondo in cui viviamo”.
Concepita come un festival, 999 invita i visitatori a partecipare e interagire in un ricco programma di performance, corsi, talk e workshop.
Con un piccolo supplemento sul biglietto di ingresso, si può entrare negli spazi della Triennale anche tutti i giorni, per continuare a curiosare all’interno di un’esposizione che è un continuo work in progress. Il palinsesto si arricchisce infatti di giorno in giorno, grazie ai contributi di chiunque abbia nuove domande o proposte da offrire personalmente o sulle piattaforme social, che sono state vere e proprie infrastrutture del processo di gestazione della mostra.
“La sfida è stata quella di fare una mostra non per addetti ai lavori, ma per famiglie con bambini”, ha raccontato il curatore: “una mostra ‘hands on’ dove la gente tocca, pigia, prova, gioca. Non una mostra dove vedi delle cose, ma dove fai delle cose. Per questa ragione, l’unico vincolo che abbiamo dato ai soggetti coinvolti è di realizzare qualcosa di divertente, affascinante anche per visitatori non specialisti”.
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