Fino al 19 febbraio alla Fondazione Stelline il primo capitolo della trilogia Extinction

Max Papeschi racconta l'estinzione della razza umana, tra gnomi di terracotta e intelligenza artificiale

Max Papeschi, Extinction-Chapter One
 

Samantha De Martin

26/01/2023

Milano - C’è un filo che lega il Palazzo di Cnosso, sull’isola di Creta, Alien, una statua del Louvre con il corpo di Apollo e la testa di Zeus, i soggetti chimerici di Max Papeschi, la guerra, l’estinzione della razza umana.
A utilizzare questo filo per cucire un progetto avvincente, totalmente inedito, dal titolo Extinction - Chapter one, nato con l’art direction di Flavia Vago e AIIO, e in corso alla Fondazione Stelline fino al 19 febbraio, è lo stesso Max Papeschi, 15 anni di polemiche alle spalle, show surreali, successi mediatici, una svastica gigante appesa sulla facciata di un palazzo, la vendita all’asta di sua madre, e la finta investitura ad ambasciatore della propaganda socio-culturale della Corea del Nord.

Ma questa volta l’artista dissacrante che stuzzica i sentimenti più profondi celando l’esplosione di una bomba atomica dietro una tenera cornice da “vissero felici e contenti” va in scena come non lo abbiamo mai visto. E accoglie la sfida attraverso una mostra dove lo vedremo in versione “tridimensionale”, a far dialogare la terracotta, materiale che confessa di non aver mai utilizzato, e l’intelligenza artificiale, parlando al pubblico dell’arte, ma anche agli appassionati di cinema.


Max Papeschi, Extinction-Chapter One

Extinction. Chapter one mette in mostra 54 sculture in terracotta alte 1,80 metri - i corpi dei fieri guerrieri di terracotta di Xi'an e le teste di banali nani da giardino - e quattro video installazioni rielaborate dall’intelligenza artificiale, che raccontano in forma parodistica il tema della guerra e dell’impoverimento culturale.
Quando li raggiungiamo al telefono Max e Flavia sono un turbine di idee, raccontano la genesi della mostra, ma guardano anche agli altri due capitoli di questa saga colossale, che però non possono ancora rivelare perché ci stanno ancora lavorando. E lavorare sull’attualità “significa seguire i cambiamenti ed essere anche disposti a cambiare all’ultimo momento per vedere quale sia l’argomento più importante rispetto all’umanità intera”. Insomma ci sarà da attendere.

Quello che è certo è che ogni capitolo rappresenterà i nuovi dati emersi dal “messaggio terrestre originale”, estrapolati come in uno scavo archeologico digitale e ricreati per essere fruiti dal pubblico alieno, esattamente come succede sul pianeta Terra per lo studio di popoli antichi di cui si hanno poche notizie, come nel caso degli Aztechi, di Mesa Verde o di Creta.



Max Papeschi, Extinction-Chapter One

“Era da un po’ che volevamo realizzare un progetto che cristallizzasse l’umanità in un preciso momento - spiegano Max e Flavia -. Poi c’è stata la pandemia. E se ci fossimo estinti veramente? E se tra 2000 anni arrivassero gli alieni sul pianeta o intercettassero segnali? Come ci percepirebbero?”.
Veniamo alla genesi di questo progetto realizzato con la collaborazione di Michele Ronchetti, a cura di Stefania Morici, organizzato e promosso da Fondazione Stelline e Arteventi, con il supporto di MI Hub Agency.
“Questa mostra - spiega Max - è il capitolo 1 di 3, ed è un progetto che nasce dalla pandemia. Con Flavia abbiamo cominciato a parlarne a marzo del 2020, il mondo era cambiato ed era inutile lavorare su un progetto vecchio. Lo stesso 2020 è figlio di un viaggio che abbiamo fatto a Creta prima. Quando eravamo al Palazzo di Cnosso ci siamo resi conto che tutta la ricostruzione archeologica era arbitraria, abbiamo maturato l’idea di una mostra fatta da una razza aliena su una civiltà estinta: quella degli umani. Abbiamo legato la pandemia con questa idea di estinzione, queste ricostruzioni archeologiche al Palazzo di Cnosso e a quelle del Louvre di Parigi”.

Gli fa eco Flavia: “Quando siamo andati a visitare il Palazzo di Cnosso ci siamo accorti che effettivamente spesso più le civiltà sono antiche e meno sappiamo di loro. Spesso gli archeologi fanno deduzioni e l’80% del Palazzo di Cnosso è una deduzione. Così ci siamo chiesti quali difetti di noi verrebbero fuori se a questi alieni arrivassero di noi solo i dati. E quindi abbiamo avuto questa idea che abbiamo poi concretizzato in mostra”.


Max Papeschi, Extinction-Chapter One

E il Louvre che c’entra?
“Siamo tipi un po’ maniaci che leggono tutte le didascalie e proprio al Louvre ci siamo accorti, per la prima volta, che nella famosa sala dei marmi, quelli più antichi sono pezzi di opere diverse messe insieme. Te ne accorgi solo se leggi la didascalia. C’è ad esempio una statua bellissima con il corpo di un Apollo e la testa di Zeus. Sembrava esattamente un’opera di Max ante litteram, che crea collage digitali che danno vita a chimere mischiando personaggi diversi”.

Nel nuovo progetto pensato per la Fondazione Stelline, Papeschi insieme a Flavia Vago e a Michele Ronchetti si è divertito a giocare sul confine sottile tra vero e falso, utilizzando la comunicazione come opera d’arte integrata nella mostra.
“La sfida è stata duplice - confessa l’artista - perché da una parte c’è stato questo lavoro enorme con la produzione di 54 statue in terracotta, un materiale che io non avevo mai utilizzato e di cui ignoravo completamente le più semplici regole, dai costi alle problematiche legate alla fragilità fino alla movimentazione. L’altra sfida è costituita dal lavoro sul tridimensionale in CGA, Computer Graphics and Animation, una cosa di cui non avevo un grande know how”.


Max Papeschi, Extinction-Chapter One

Per creare un ponte di collegamento con la sua produzione precedente, composta da collage digitali, Papeschi utilizza due mezzi per lui nuovi e opposti: da una parte la materia classica, in questo caso la terracotta, con cui realizza l’intero esercito di gnomi, dall’altra, impalpabili dati digitali, con cui costruisce le opere tridimensionali in computer animation, rielaborate dall’ intelligenza artificiale AIIO.
“Grazie alla collaborazione di Michele Rocchetti siamo riusciti a essere tra i primi al mondo a usare un certo tipo di intelligenze artificiali mischiate per un lavoro firmato a sei mani. L’opera è mia in partenza, poi diventa di Michele, ma di fatto è anche dell’intelligenza artificiale che ogni volta fa un lavoro diverso anche molto inaspettato, elaborando effettivamente i dati".

Accanto all’installazione Zwergen Dämmerung - letteralmente “il crepuscolo dei nani”, l’esercito di antitetiche cariatidi dove si mescolano irrimediabilmente “alto” e “basso” - c’è, a concludere il percorso espositivo, l’installazione video-immersiva Snow White Overdrive, una citazione cyber ispirata al titolo originale di Monna Lisa Cyberpunk (Mona Lisa Overdrive).


Max Papeschi

C’è anche molta ispirazione cinematografica in questo viaggio cucito all’unisono da Max e Flavia. L’art direction di Flavia Vago - insieme all’allestimento scenografico di Giovanni Musica - prende ispirazione dal film Alien. Il percorso è un vero viaggio verso la scoperta di un mondo ignoto, come nel film di Ridley Scott. Il light design, che ricorda l’interno della Nostromus e il sound design, firmato da Fabrizio Campanelli e realizzato a partire dal suono originale di alcuni pianeti del nostro sistema solare, trascinano lo spettatore in un’atmosfera surreale e onirica, eppure atrocemente familiare.
Mentre si cammina tra le fila dell’esercito alieno o ci si lascia trasportare dalle immagini elaborate da AIIO si resta incantati e atterriti al tempo stesso.
“Ho scelto Alien e non ad esempio ET - spiega Vago - perché l’idea era quella di rendere l’atmosfera inquietante, di ridere quando vedi i nani, ma poi non c’è nulla da ridere…L’idea era quella di creare un’installazione che fosse di grande impatto emotivo per il pubblico in modo da portarlo dentro l’esperienza”.
Una mostra, insomma, non solo per il pubblico dell’arte ma anche per gli appassionati di cinema.
“Abbiamo inserito anche molti fermo immagine degli gnomi, che abbiamo scelto di posizionare al buio in modo da indurre il pubblico ad accendere la torcia del telefono per individuarli, un po'come fanno gli archeologi”.
La mostra curata da Stefania Morici, con la speciale collaborazione di Gianluca Marziani, è organizzata da Fondazione Stelline e Arteventi ed è patrocinata dal Ministero della Cultura, da Regione Lombardia e da Comune di Milano.
L’esposizione, a ingresso gratuito, è visitabile da martedì a domenica dalle 10 alle 20.

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