Oriente Mudec a Milano fino al 2 febbraio
Storie da un incontro: al Mudec il Giappone e l’Europa allo specchio
Leon-Francois Comerre, Ritratto della signorina Achille-Dould in abito giapponese, 1885. Olio su tela. Collezione privata. Photo Michiel Elsevier Stokmans
Francesca Grego
04/10/2019
Milano - L’autunno di Milano ha i colori del Giappone con il progetto Oriente Mudec, che fa del Museo delle Culture la sede di un viaggio affascinante tra le molteplici sfaccettature di un incontro. Ad animare il programma espositivo c’è infatti la volontà di raccontare una relazione, quella tra l’Europa e il paese del Sol Levante, attraverso più di 400 anni di arte e storia Due le mostre appena inaugurate, portatrici di prospettive diverse e complementari: Quando il Giappone scoprì l’Italia. Storie d’incontri (1585-1890) e Impressioni d’Oriente. Arte e collezionismo tra Europa e Giappone. Insieme danno vita a un percorso di scoperta in due direzioni, capace di presentare opere di grande bellezza, ma anche di superare miti e stereotipi attraverso un rigoroso lavoro di analisi. Offrire allestimenti originali ad alto contenuto di ricerca d’altronde è una costante del Mudec, che nel caso del Giappone può contare anche sui preziosi manufatti custoditi nelle collezioni permanenti. Tra capolavori di pittura, scultura, arti grafiche e decorative, possono incrociarsi perciò i punti di vista dell’arte, della storia, dell’etnografia e del costume.
Vediamo nel dettaglio le sorprese che ci attendono.
Curata da Flemming Friborg, studioso dell’Università di Copenaghen, e dalla conservatrice della Galleria d’Arte Moderna di Milano Paola Zatti, Impressioni d’Orienteesplora la fascinazione per il Giappone che travolse gli artisti e i collezionisti europei sul finire dell’Ottocento, quando il paese del Sol Levante riaprì i suoi porti dopo un lungo periodo di isolamento. Circa 170 dipinti, stampe, sculture, arredi e oggetti decorativi provenienti da musei italiani ed europei, nonché da importanti collezioni private, testimoniano la diffusione del Japonisme, una tendenza che, spiegano i curatori della mostra, non ebbe nulla a che vedere con la reale conoscenza di un paese e della sua cultura. Si trattò piuttosto di un insieme di fantasie esotiche e proiezioni attraverso le quali, come in un sogno, “l’Europa entrava in dialogo con una parte di se stessa. Alcuni erano convinti che l’Estremo Oriente potesse rappresentare una via di fuga dall’impasse della cultura occidentale; altri ci trovavano una sorta di guida al gusto e alla raffinatezza per decorare e abbellire la propria vita; altri ancora si accontentavano di viaggi immaginari verso l’Oriente, vagheggiando orizzonti inesplorati”.
Agli artisti europei i contatti con le creazioni giapponesi offrirono soluzioni perfette per ricerche già in atto: fu così che le stampe ukyo-e o “immagini del mondo fluttuante” sedussero grandi talenti come Vincent Van Gogh, Paul Gauguin, Eduard Manet, Henri de Toulouse-Lautrec, Berthe Morisot, Auguste Rodin, tutti presenti nel percorso della mostra.
Un’attenzione particolare è poi riservata all’arte italiana, con preziose opere di Giuseppe De Nittis, Galileo Chini, Federico Zandomeneghi, Girolamo Induno e Giovanni Segantini.
Ma la vera scoperta è un’altra: quella che ci mostra maestri nipponici come Hokusai, Hiroshige e Utamaro intenti a seguire a loro volta un “sogno occidentale” fatto di colori sintetici e prospettive centrali, proprio quegli elementi che gli artisti europei erano felici di non trovare in Giappone. Sullo sfondo si staglia quel gusto diffuso che pervade l’Europa delle Esposizioni Universali, non esente da legami con il colonialismo: dal Simbolismo al movimento Arts and Craft, le nuove estetiche entrano nei parchi e nelle case, nei caffè e nei teatri. E a proposito di teatro, dalla Scala arrivano anche alcuni tra i più bei costumi di scena dipinti a mano per la Madama Butterflydi Giacomo Puccini, opera icona dell’immaginario giapponista ed esotista di fine Ottocento.
Promossa da Comune di Milano-Cultura e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, Impressioni d’Oriente sarà visitabile al Mudec fino al 2 febbraio.
Quando il Giappone scoprì l’Italia ci porta indietro nel tempo fino al XVII secolo, per esplorare storie che sono in pochi a conoscere. Ad accompagnarci è un quadro appartenente alla Fondazione Trivulzio esposto al pubblico per la prima volta: rappresenta il volto dell’ambasciatore giapponese Ito Mancio, ritratto in un’occasione eccezionale da Giandomenico Tintoretto. Siamo nel 1585 e nei regni italiano il Giappone è noto come “Cipango”, il leggendario paese descritto da Marco Polo nel Milione. Mentre i Gesuiti sono già presenti in Estremo Oriente, nobili nipponici convertiti alla religione cattolica raggiungono Roma e l’Italia, cuore del mondo cristiano, e il pittore veneziano fissa per sempre i loro volti sulla tela. Un variegato repertorio di oggetti, in primis lacche e porcellane, ci parla del successo immediato dell’arte e dell’artigianato giapponese presso i collezionisti italiani, al punto da dar a un mercato di imitazioni, mentre in Giappone si producono oggetti di fogge occidentali con tecniche locali. Intanto i rapporti si deteriorano: i gesuiti hanno tirato troppo la corda e i cristiani del Sol Levante diventano bersaglio di persecuzioni. Un preludio alla politica di isolamento che inizierà ufficialmente nel 1639.
Con un salto di due secoli, la seconda e ultima sezione introduce uno dei massimi tesori del Mudec: si tratta della collezione del conte Giovanni Battista Lucini Passalacqua, tra i primi grandi cultori di opere d’arte e oggetti giapponesi in Italia, tanto appassionato da creare un fornitissimo museo privato nella sua casa sul lago di Como. Accanto a manufatti provenienti da altre importanti raccolte italiane, i gioielli di Passalacqua ricalcano l’allestimento voluto dal loro primo proprietario. Le loro storie si intrecciano con le vicende dei commerci che fioriscono tra l’Italia e l’Oriente sulle rotte del baco da seta.
Vediamo nel dettaglio le sorprese che ci attendono.
Curata da Flemming Friborg, studioso dell’Università di Copenaghen, e dalla conservatrice della Galleria d’Arte Moderna di Milano Paola Zatti, Impressioni d’Orienteesplora la fascinazione per il Giappone che travolse gli artisti e i collezionisti europei sul finire dell’Ottocento, quando il paese del Sol Levante riaprì i suoi porti dopo un lungo periodo di isolamento. Circa 170 dipinti, stampe, sculture, arredi e oggetti decorativi provenienti da musei italiani ed europei, nonché da importanti collezioni private, testimoniano la diffusione del Japonisme, una tendenza che, spiegano i curatori della mostra, non ebbe nulla a che vedere con la reale conoscenza di un paese e della sua cultura. Si trattò piuttosto di un insieme di fantasie esotiche e proiezioni attraverso le quali, come in un sogno, “l’Europa entrava in dialogo con una parte di se stessa. Alcuni erano convinti che l’Estremo Oriente potesse rappresentare una via di fuga dall’impasse della cultura occidentale; altri ci trovavano una sorta di guida al gusto e alla raffinatezza per decorare e abbellire la propria vita; altri ancora si accontentavano di viaggi immaginari verso l’Oriente, vagheggiando orizzonti inesplorati”.
Agli artisti europei i contatti con le creazioni giapponesi offrirono soluzioni perfette per ricerche già in atto: fu così che le stampe ukyo-e o “immagini del mondo fluttuante” sedussero grandi talenti come Vincent Van Gogh, Paul Gauguin, Eduard Manet, Henri de Toulouse-Lautrec, Berthe Morisot, Auguste Rodin, tutti presenti nel percorso della mostra.
Un’attenzione particolare è poi riservata all’arte italiana, con preziose opere di Giuseppe De Nittis, Galileo Chini, Federico Zandomeneghi, Girolamo Induno e Giovanni Segantini.
Ma la vera scoperta è un’altra: quella che ci mostra maestri nipponici come Hokusai, Hiroshige e Utamaro intenti a seguire a loro volta un “sogno occidentale” fatto di colori sintetici e prospettive centrali, proprio quegli elementi che gli artisti europei erano felici di non trovare in Giappone. Sullo sfondo si staglia quel gusto diffuso che pervade l’Europa delle Esposizioni Universali, non esente da legami con il colonialismo: dal Simbolismo al movimento Arts and Craft, le nuove estetiche entrano nei parchi e nelle case, nei caffè e nei teatri. E a proposito di teatro, dalla Scala arrivano anche alcuni tra i più bei costumi di scena dipinti a mano per la Madama Butterflydi Giacomo Puccini, opera icona dell’immaginario giapponista ed esotista di fine Ottocento.
Promossa da Comune di Milano-Cultura e 24 ORE Cultura – Gruppo 24 ORE, Impressioni d’Oriente sarà visitabile al Mudec fino al 2 febbraio.
Quando il Giappone scoprì l’Italia ci porta indietro nel tempo fino al XVII secolo, per esplorare storie che sono in pochi a conoscere. Ad accompagnarci è un quadro appartenente alla Fondazione Trivulzio esposto al pubblico per la prima volta: rappresenta il volto dell’ambasciatore giapponese Ito Mancio, ritratto in un’occasione eccezionale da Giandomenico Tintoretto. Siamo nel 1585 e nei regni italiano il Giappone è noto come “Cipango”, il leggendario paese descritto da Marco Polo nel Milione. Mentre i Gesuiti sono già presenti in Estremo Oriente, nobili nipponici convertiti alla religione cattolica raggiungono Roma e l’Italia, cuore del mondo cristiano, e il pittore veneziano fissa per sempre i loro volti sulla tela. Un variegato repertorio di oggetti, in primis lacche e porcellane, ci parla del successo immediato dell’arte e dell’artigianato giapponese presso i collezionisti italiani, al punto da dar a un mercato di imitazioni, mentre in Giappone si producono oggetti di fogge occidentali con tecniche locali. Intanto i rapporti si deteriorano: i gesuiti hanno tirato troppo la corda e i cristiani del Sol Levante diventano bersaglio di persecuzioni. Un preludio alla politica di isolamento che inizierà ufficialmente nel 1639.
Con un salto di due secoli, la seconda e ultima sezione introduce uno dei massimi tesori del Mudec: si tratta della collezione del conte Giovanni Battista Lucini Passalacqua, tra i primi grandi cultori di opere d’arte e oggetti giapponesi in Italia, tanto appassionato da creare un fornitissimo museo privato nella sua casa sul lago di Como. Accanto a manufatti provenienti da altre importanti raccolte italiane, i gioielli di Passalacqua ricalcano l’allestimento voluto dal loro primo proprietario. Le loro storie si intrecciano con le vicende dei commerci che fioriscono tra l’Italia e l’Oriente sulle rotte del baco da seta.
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