Ne parla Martina Bagnoli, direttore della Galleria Estense

La Madonna con il Bambino di Correggio, un capolavoro di naturalezza e intimità

Antonio Allegri, detto il Correggio, Madonna con il Bambino (Madonna Campori), 1517-1518, Olio su tavola,  58 x 45 cm, Modena, Gallerie Estensi | Courtesy of Gallerie Estensi, Modena
 

Francesca Grego

30/03/2020

Modena - “Tengasi per certo che nessuno meglio di lui toccò colori”, scrive Giorgio Vasari nelle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori. “Lui” è il maestro Antonio Allegri, universalmente noto come Correggio, dal nome della sua città natale. In genere lo associamo a superbi dipinti mitologici, o alle straordinarie cupole affrescate che ancora oggi in Emilia danno lustro a chiese e cattedrali. Ma c’è un soggetto a cui l’originalissimo ingegno di Correggio diede un’impronta tutta sua: la Madonna con Bambino, di cui ci ha lasciato diverse versioni. A testimonianza del gradimento di cui godettero, ne troviamo dall’Austria alla Spagna, e anche oltre l’Atlantico, in prestigiose collezioni come quelle del Prado, del Kunsthistorisches Museum di Vienna, della National Gallery of Art di Washington D.C.. Per fortuna non tutte partirono. Non la Madonna Campori, che oggi brilla tra i tesori della Galleria Estense di Modena. Grazia e naturalezza contraddistinguono questa tavola piccola (58 x 45 cm) ma estremamente preziosa, una finestra aperta sul Rinascimento e sulla personalità artistica di uno dei suoi interpreti più amati.



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A proposito, chi era Correggio?
Sappiamo davvero poco della vita del maestro. Nasce nel 1489 e si forma a Mantova, ammirando i capolavori dell’anziano Andrea Mantegna. Da lui apprende i segreti della prospettiva, che utilizzerà con virtuosismo sapiente per tutta la vita. Ma un “intimo fuoco” lo spinge presto a sciogliersi dai vincoli della tradizione: la “maniera moderna” cinquecentesca si sta affermando trionfalmente nella penisola e Correggio ne diverrà l’incarnazione in area padana. Sarà un autentico fenomeno nel rielaborare influenze e novità, trovando la sua personalissima via. Prospettive ardite e chiaroscuri delicati, effetti illusionistici e colori sontuosi si fonderanno in una pittura nuova, fatta di soave naturalezza. “Né con maggior vaghezza o con più rilievo alcun artefice dipinse meglio di lui - dirà ancora il Vasari - tanta era la morbidezza delle carni  ch’egli faceva, e la grazia con che e’ finiva i suoi lavori”. Ce ne rendiamo conto anche noi osservando gioielli come la serie degli Amori di Giove o la Camera di San Paolo, la Cupola di San Giovanni Evangelista e la Cupola del Duomo di Parma. Correggio si spegne a soli 45 anni, non prima di aver terminato due pregiate tele allegoriche destinate allo Studiolo di Isabella Gonzaga d’Este, nella reggia di Mantova: sarà ricordato come maestro del colore e di profonde verità simboliche. 

Quale posto occupa la Madonna Campori nel percorso del pittore emiliano? 
Correggio ha solo 19 anni quando dipinge la Madonna con Bambino. É alla ricerca di sé stesso, ma già molto vicino alla meta: poco dopo intraprenderà la sua prima grande impresa, la Camera della Badessa nel monastero parmense di San Paolo. Nella tavola della Galleria Estense l’artista unisce le lezioni di Leonardo e Raffaello. Fa tesoro dello sfumato leonardesco coniugando alla maestria tecnica un’intensa sensibilità emozionale. Su queste innesta l’esempio del maestro urbinate, che possiamo notare nel confronto con la Madonna di Foligno dei Musei Vaticani o con la Madonna Tempi oggi all’Alte Pinakothek di Monaco. Nel dipinto del Correggio, tuttavia, spira un’aria diversa. Una spontanea intimità domina la scena: una madre che gioca teneramente con il proprio bambino prima di allattarlo, un dialogo di sguardi e di mani che si intrecciano in gesti quotidiani. La luce morbida, il dinamismo fluido delle figure e il coinvolgimento emotivo si affermeranno come cifre distintive nell’opera del pittore emiliano. 

Perché la Madonna con il bambino è considerata un capolavoro?
Una tavolozza ricca e raffinata prende forma nel quadro in mille pennellate sovrapposte: solo avvicinandoci al dipinto ne coglieremo la complessa e segreta struttura. Nasce così la luce dolce di Correggio, “stupendissima maraviglia” che contiene già in sé i ricercati effetti tattili delle opere future. Ma a colpire nel segno è soprattutto l’estrema naturalezza dell’interazione tra la Vergine e suo figlio: il sacro incontra gli affetti e la realtà in un altro Rinascimento, lontano dalla monumentalità di Michelangelo o dall’elegante classicismo di Raffaello. Qui l’abilità pittorica e la costruzione formale si mimetizzano per lasciar emergere emozioni familiari a ogni essere umano. 



Qual è il dettaglio più curioso dell’opera?

Impossibile non notare un piedino che scalcia avvolto nel lenzuolo, mentre il bimbo preme con la mano sulla spalla della madre e la fissa con occhio inquieto. Piccoli piedi grassocci abbondano nei libri di storia dell’arte, ma qui ad attrarre l’attenzione è proprio il fatto che sia velato. “Uno dei tratti che rende incomparabile la Madonna Campori è il panno di lino che avvolge, sembra, suo malgrado, il Bambino”, scrive lo storico e curatore Filippo Trevisani. Nel punto del telo che aderisce al piede, Correggio raggiunge uno dei suoi vertici nell’esprimere il movimento come in un’istantanea, e lo fa attraverso lo sfumato: un’anticipazione, spiega ancora Trevisani, di “quanto saprà fare nel lenzuolo che Amore cerca di sottrarre dal corpo di Danae” in uno dei suoi quadri più famosi

Qual è la storia della Madonna Campori ?
Fu il pittore ottocentesco Vincenzo Rasori ad attribuire il quadro a Correggio: un fatto non insolito nella storia del maestro emiliano, che per molto tempo è stato apprezzato più dagli artisti che da critici e storici dell’arte. Non sappiamo chi commissionò il dipinto, né conosciamo i passaggi che lo condussero nella cappella del Castello di Soliera, presso Mantova, tra i possedimenti della famiglia Campori dal 1636. É lì che troviamo la Madonna con il bambino nel 1894, quando con disposizione testamentaria il marchese Giuseppe Campori lo dona alla Galleria Estense di Modena, che il duca Francesco V d’Asburgo-Este ha aperto a Palazzo Ducale 40 anni prima. 



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