Al cinema dal 21 al 23 ottobre “Ermitage. Il Potere dell’Arte”
I capolavori dell’Ermitage. Una guida alla scoperta dei tesori del museo
Scalone d'onore della Galleria Superiore, Palazzo d'Inverno | © San Pietroburgo, Museo Statale dell'Ermitage | Courtesy Nexo Digital
Francesca Grego
16/10/2019
Mondo - C’è un luogo al mondo dove la sindrome di Stendhal è quasi una certezza: è il Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, dove la storia dell’arte si racconta in oltre tre milioni di oggetti e un numero davvero incredibile di capolavori. Percorrere le sue sale è un’esperienza sorprendente e anche un po’ faticosa: sembra che i tesori conservati in questi splendidi palazzi non finiscano mai e che per qualche oscuro motivo i più grandi artisti di ogni tempo si siano dati appuntamento tra le acque ghiacciate della Neva. Leonardo e Raffaello, Rembrandt e Velàsquez, Caravaggio, Canova, Matisse, Picasso sono infatti in ottima compagnia nella terra di Pietro e Caterina la Grande.
Un film è pronto a svelare l’arcano ripercorrendo le vicende di questo luogo magico: dal 21 al 23 ottobre Ermitage. Il Potere dell’Arte porterà al cinema quel concentrato di bellezza che il tempo e la passione degli uomini hanno distillato nella città delle notti bianche. Storie, curiosità, opinioni autorevoli e immagini spettacolari si intrecciano nel documentario prodotto da 3D e Nexo Digital su soggetto di Didi Gnocchi con la regia di Michele Mally. Sullo sfondo, le meraviglie di San Pietroburgo dalla danza all’architettura, tra le parole dei grandi scrittori russi e le note di musicisti immortali.
In attesa di scoprirli al cinema, vi proponiamo la nostra piccola selezione di capolavori imperdibili all’Ermitage: 12 tesori da assaporare in poltrona, sognando una sublime sfacchinata al museo.
1. Il suonatore di liuto di Caravaggio
“E dipinse per il Cardinale un giovane che suonava el Lauto, che vivo e vero tutto parea”, scrisse con meraviglia Giovanni Baglione dopo aver visto questo quadro di Caravaggio, ancora più stupefacente se pensiamo che il maestro seicentesco lo realizzò a soli 25 anni. C’è chi dice che il modello fosse il pittore siciliano Mario Minniti, amico e compagno di scorribande del Merisi, chi lo identifica con il castrato spagnolo Pedro Montonya, in quegli anni cantore presso la Cappella Sistina, chi ancora vi rintraccia i lineamenti del giovane Caravaggio. Fatto sta che con quest’opera il pittore in cerca di fortuna convinse definitivamente il Cardinal Dal Monte, suo primo mecenate, a prenderlo presso di sé. Se al giovane ritratto manca solo la parola, non è da meno la natura morta sul tavolo: frutti, fiori, uno spartito musicale e perfino i riflessi dentro un vaso sembrano quasi tangibili.
2. Le Tre Grazie di Antonio Canova
Fu Giuseppina Beauharnais, prima moglie di Napoleone, a chiedere a Canova di realizzare una scultura dedicata alle tre Grazie. La signora morì prima che l’opera fosse completata, ma questa riscosse un grandissimo successo e molti chiesero allo scultore di replicarla. All’Ermitage la ammiriamo in versione originale, in cui il maestro neoclassico trasfuse la quintessenza del suo ideale di bellezza: tre divinità dall’incarnato splendente si stringono in un abbraccio che è quasi un passo di danza, mentre il virtuosismo di Canova dà il massimo nel velo impalpabile che le avvolge e nelle elaborate acconciature.
Il marmo giunse a San Pietroburgo nel 1901: troppo tardi per far gioire la zarina Caterina, che invano aveva pregato il maestro di trasferirsi alla corte di Russia. Oggi le collezioni dell’Ermitage comprendono un importante nucleo di sculture di Canova, con capolavori come Amore e Psiche, Ebe, l’Amorino Alato.
3. La Danza di Henri Matisse
“Una cacofonia demoniaca”, sentenziarono i critici del Salon de Automne del 1910 davanti alla Danza. Oggi il dipinto è considerato un’icona dell’arte del Novecento ed è in assoluto tra i più conosciuti capolavori di Matisse. Linee essenziali e tinte piatte spiccano sulla grande tela. Ma la chiave dell’opera è il ritmo, che si esprime nel dinamismo delle figure in cerchio, nei verdi, nei blu e nei rossi brillanti che le delineano in vaste campiture.
Acquistata insieme alla Musica dal grande collezionista russo Sergej Scukin, all’Ermitage l’opera è in buona compagnia: il museo pietroburghese ospita infatti una delle più grandi collezioni di Matisse esistenti al mondo, con opere chiave come la Stanza rossa.
4. La Madonna Litta di Leonardo
Da tempo attribuita alla mano di Leonardo, nell’ultimo secolo la Madonna Litta è stata al centro di un acceso dibattito intorno alla sua paternità. Ma a Pietroburgo non hanno dubbi: qui il dipinto è accompagnato da un solo nome, quello del genio vinciano, e un disegno autografo del maestro conservato al Louvre sembra suffragare l’ipotesi.
Guardando l’opera si è colpiti dai colori brillanti e dalla nitidezza delle figure, una Vergine che con grande naturalezza allatta il Bambino in una stanza aperta sul paesaggio: frutti del soggiorno di Leonardo in Lombardia, dove il maestro fu affascinato dall’azzurro del cielo e dalla vegetazione scintillante. In Russia questa tempera su tavola arrivò alla fine dell’Ottocento: lo zar Alessandro II lo acquistò per una cifra equivalente a 2,5 milioni di euro dai marchesi Litta, la cui memoria resta impressa nel nome del dipinto.
5. Signora in giardino a Saint-Adresse di Claude Monet
Difficile credere che questo quadro sia stato dipinto quando per Monet l’Impressionismo era ancora un esperimento. Eppure è proprio così: da tempo sostenitore della pittura en plein air, l’artista si esercitava nella villa di un cugino in Normandia, restando affascinato dagli effetti della luce su fiori e piante. Il risultato fu una serie di opere dall’aspetto smagliante, che si impongono con presenza nuova. La più conosciuta è la Signora in giardino a Saint-Adresse, in cui l’occhio è completamente assorbito da una natura rigogliosa. La luce abbagliante del sole e i colori accesi del parco contrastano con la figura bianca e solitaria di una donna in abiti estivi, dando vita a una composizione dal forte impatto visivo.
6. Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt Van Rijn
Quando l’anziano Rembrandt morì in solitudine e indigenza, il Ritorno del figliol prodigo fu uno dei pochi quadri rinvenuti nella sua casa. L’aveva dipinto di sua volontà, senza l’invito di un committente. Un Cristianesimo modernissimo per l’epoca e un raffinato linguaggio pittorico si incontrano su una grande tela di oltre due metri per due. Della parabola evangelica il pittore ha scelto di rappresentare l’epilogo: il momento in cui il padre – simbolo della misericordia di Dio – perdona con gesto amoroso il figlio inginocchiato ai suoi piedi. La luce scivola dai personaggi secondari per soffermarsi sulla scena principale e portare sui protagonisti l’attenzione dell’osservatore, che si ritrova con gli occhi alla stessa altezza del figlio pentito in un invito a identificarsi.
Tra le opere più amate del maestro olandese, Il ritorno del figliol prodigo è conosciuto anche per un particolare misterioso: le mani del padre sono diverse, una ha forme maschili, l’altra sembra una mano di donna. Questo ha dato adito ad accese dispute tra gli esperti.
7. La ragazza al pianoforte di Paul Cézanne (L’ouverture del Tannhauser)
È un omaggio a Richard Wagner questa scena familiare contemporaneamente intima e solenne: il titolo cita un’opera del compositore tedesco ben nota a Parigi. In un salotto di provincia una giovane (forse Rose, la sorella del pittore) siede al piano, mentre una donna più anziana cuce sullo sfondo. Pennellate rapide e corpose definiscono la stanza con sintesi efficace, in una composizione che alla prospettiva dell’Accademia e alla fugacità impressionista preferisce la ricerca di un’essenza oltre il visibile.
8. Il pranzo di Diego Velàsquez
La tavola di una taverna popolare balza al centro di questo capolavoro giovanile di Velàsquez, che offre già un’interpretazione originale di un genere diffuso nel Sud della Spagna. Siamo nel Secolo d’oro della pittura iberica e un genio in erba dipinge i personaggi di una scena popolare con lo stesso acume penetrante che userà più tardi nei celebri ritratti dei Reali. Non ci sono simboli o parabole recondite nel pranzo dei tre personaggi riuniti attorno a una tovaglia bianca, tra una pagnotta, un piatto di cozze e due melagrane: solo la ricerca di un realismo condito da spiccata attitudine psicologica. Nulla è lasciato al caso, ogni gesto, ogni dettaglio mira a un effetto preciso, ma nel complesso il quadro sembra fatto per porre domande più che per fornire risposte: la prima evidenza di uno sguardo indagatore, che affascinerà i posteri da Edouard Manet a Francis Bacon.
9. L’Orologio del Pavone
Ogni giorno un automa in rame dorato lascia a bocca aperta i visitatori dell’Ermitage: si tratta dell’Orologio del Pavone, una meraviglia di arte orafa e ingegneria meccanica settecentesche. Realizzato dall’inglese James Cox, conquistò subito l’attenzione di Caterina la Grande che lo volle per la sua collezione personale. Oggi rappresenta la principale attrazione del Piccolo Ermitage, fatto costruire dalla zarina per conservare le opere d’arte che più amava. Allo scoccare di ogni ora, ancora oggi un gufo, un gallo e un pavone a grandezza naturale si animano in una danza sorprendente accompagnata da squilli acuti di campanelle.
10. La Madonna Conestabile di Raffaello
Armonia e dolcezza spirano da questo piccolo ma preziosissimo quadro da sempre attribuito al maestro urbinate, che mostra la Vergine nell’atto di porgere un libretto al Bambino sullo sfondo di un inconsueto paesaggio invernale.
Fu lo zar Alessandro Ii a portarlo in Russia nel 1871 come regalo per la moglie Marija Alexandrovna. Dieci anni dopo il dipinto fu trasferito su tela, portando alla luce il disegno originale e una sorpresa: nel primo progetto di Raffaello, invece del libro Maria porgeva al piccolo una melograna, simbolo della Passione. Ecco spiegato il motivo della sua espressione malinconica.
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In attesa di scoprirli al cinema, vi proponiamo la nostra piccola selezione di capolavori imperdibili all’Ermitage: 12 tesori da assaporare in poltrona, sognando una sublime sfacchinata al museo.
1. Il suonatore di liuto di Caravaggio
“E dipinse per il Cardinale un giovane che suonava el Lauto, che vivo e vero tutto parea”, scrisse con meraviglia Giovanni Baglione dopo aver visto questo quadro di Caravaggio, ancora più stupefacente se pensiamo che il maestro seicentesco lo realizzò a soli 25 anni. C’è chi dice che il modello fosse il pittore siciliano Mario Minniti, amico e compagno di scorribande del Merisi, chi lo identifica con il castrato spagnolo Pedro Montonya, in quegli anni cantore presso la Cappella Sistina, chi ancora vi rintraccia i lineamenti del giovane Caravaggio. Fatto sta che con quest’opera il pittore in cerca di fortuna convinse definitivamente il Cardinal Dal Monte, suo primo mecenate, a prenderlo presso di sé. Se al giovane ritratto manca solo la parola, non è da meno la natura morta sul tavolo: frutti, fiori, uno spartito musicale e perfino i riflessi dentro un vaso sembrano quasi tangibili.
2. Le Tre Grazie di Antonio Canova
Fu Giuseppina Beauharnais, prima moglie di Napoleone, a chiedere a Canova di realizzare una scultura dedicata alle tre Grazie. La signora morì prima che l’opera fosse completata, ma questa riscosse un grandissimo successo e molti chiesero allo scultore di replicarla. All’Ermitage la ammiriamo in versione originale, in cui il maestro neoclassico trasfuse la quintessenza del suo ideale di bellezza: tre divinità dall’incarnato splendente si stringono in un abbraccio che è quasi un passo di danza, mentre il virtuosismo di Canova dà il massimo nel velo impalpabile che le avvolge e nelle elaborate acconciature.
Il marmo giunse a San Pietroburgo nel 1901: troppo tardi per far gioire la zarina Caterina, che invano aveva pregato il maestro di trasferirsi alla corte di Russia. Oggi le collezioni dell’Ermitage comprendono un importante nucleo di sculture di Canova, con capolavori come Amore e Psiche, Ebe, l’Amorino Alato.
3. La Danza di Henri Matisse
“Una cacofonia demoniaca”, sentenziarono i critici del Salon de Automne del 1910 davanti alla Danza. Oggi il dipinto è considerato un’icona dell’arte del Novecento ed è in assoluto tra i più conosciuti capolavori di Matisse. Linee essenziali e tinte piatte spiccano sulla grande tela. Ma la chiave dell’opera è il ritmo, che si esprime nel dinamismo delle figure in cerchio, nei verdi, nei blu e nei rossi brillanti che le delineano in vaste campiture.
Acquistata insieme alla Musica dal grande collezionista russo Sergej Scukin, all’Ermitage l’opera è in buona compagnia: il museo pietroburghese ospita infatti una delle più grandi collezioni di Matisse esistenti al mondo, con opere chiave come la Stanza rossa.
4. La Madonna Litta di Leonardo
Da tempo attribuita alla mano di Leonardo, nell’ultimo secolo la Madonna Litta è stata al centro di un acceso dibattito intorno alla sua paternità. Ma a Pietroburgo non hanno dubbi: qui il dipinto è accompagnato da un solo nome, quello del genio vinciano, e un disegno autografo del maestro conservato al Louvre sembra suffragare l’ipotesi.
Guardando l’opera si è colpiti dai colori brillanti e dalla nitidezza delle figure, una Vergine che con grande naturalezza allatta il Bambino in una stanza aperta sul paesaggio: frutti del soggiorno di Leonardo in Lombardia, dove il maestro fu affascinato dall’azzurro del cielo e dalla vegetazione scintillante. In Russia questa tempera su tavola arrivò alla fine dell’Ottocento: lo zar Alessandro II lo acquistò per una cifra equivalente a 2,5 milioni di euro dai marchesi Litta, la cui memoria resta impressa nel nome del dipinto.
5. Signora in giardino a Saint-Adresse di Claude Monet
Difficile credere che questo quadro sia stato dipinto quando per Monet l’Impressionismo era ancora un esperimento. Eppure è proprio così: da tempo sostenitore della pittura en plein air, l’artista si esercitava nella villa di un cugino in Normandia, restando affascinato dagli effetti della luce su fiori e piante. Il risultato fu una serie di opere dall’aspetto smagliante, che si impongono con presenza nuova. La più conosciuta è la Signora in giardino a Saint-Adresse, in cui l’occhio è completamente assorbito da una natura rigogliosa. La luce abbagliante del sole e i colori accesi del parco contrastano con la figura bianca e solitaria di una donna in abiti estivi, dando vita a una composizione dal forte impatto visivo.
6. Il ritorno del figliol prodigo di Rembrandt Van Rijn
Quando l’anziano Rembrandt morì in solitudine e indigenza, il Ritorno del figliol prodigo fu uno dei pochi quadri rinvenuti nella sua casa. L’aveva dipinto di sua volontà, senza l’invito di un committente. Un Cristianesimo modernissimo per l’epoca e un raffinato linguaggio pittorico si incontrano su una grande tela di oltre due metri per due. Della parabola evangelica il pittore ha scelto di rappresentare l’epilogo: il momento in cui il padre – simbolo della misericordia di Dio – perdona con gesto amoroso il figlio inginocchiato ai suoi piedi. La luce scivola dai personaggi secondari per soffermarsi sulla scena principale e portare sui protagonisti l’attenzione dell’osservatore, che si ritrova con gli occhi alla stessa altezza del figlio pentito in un invito a identificarsi.
Tra le opere più amate del maestro olandese, Il ritorno del figliol prodigo è conosciuto anche per un particolare misterioso: le mani del padre sono diverse, una ha forme maschili, l’altra sembra una mano di donna. Questo ha dato adito ad accese dispute tra gli esperti.
7. La ragazza al pianoforte di Paul Cézanne (L’ouverture del Tannhauser)
È un omaggio a Richard Wagner questa scena familiare contemporaneamente intima e solenne: il titolo cita un’opera del compositore tedesco ben nota a Parigi. In un salotto di provincia una giovane (forse Rose, la sorella del pittore) siede al piano, mentre una donna più anziana cuce sullo sfondo. Pennellate rapide e corpose definiscono la stanza con sintesi efficace, in una composizione che alla prospettiva dell’Accademia e alla fugacità impressionista preferisce la ricerca di un’essenza oltre il visibile.
8. Il pranzo di Diego Velàsquez
La tavola di una taverna popolare balza al centro di questo capolavoro giovanile di Velàsquez, che offre già un’interpretazione originale di un genere diffuso nel Sud della Spagna. Siamo nel Secolo d’oro della pittura iberica e un genio in erba dipinge i personaggi di una scena popolare con lo stesso acume penetrante che userà più tardi nei celebri ritratti dei Reali. Non ci sono simboli o parabole recondite nel pranzo dei tre personaggi riuniti attorno a una tovaglia bianca, tra una pagnotta, un piatto di cozze e due melagrane: solo la ricerca di un realismo condito da spiccata attitudine psicologica. Nulla è lasciato al caso, ogni gesto, ogni dettaglio mira a un effetto preciso, ma nel complesso il quadro sembra fatto per porre domande più che per fornire risposte: la prima evidenza di uno sguardo indagatore, che affascinerà i posteri da Edouard Manet a Francis Bacon.
9. L’Orologio del Pavone
Ogni giorno un automa in rame dorato lascia a bocca aperta i visitatori dell’Ermitage: si tratta dell’Orologio del Pavone, una meraviglia di arte orafa e ingegneria meccanica settecentesche. Realizzato dall’inglese James Cox, conquistò subito l’attenzione di Caterina la Grande che lo volle per la sua collezione personale. Oggi rappresenta la principale attrazione del Piccolo Ermitage, fatto costruire dalla zarina per conservare le opere d’arte che più amava. Allo scoccare di ogni ora, ancora oggi un gufo, un gallo e un pavone a grandezza naturale si animano in una danza sorprendente accompagnata da squilli acuti di campanelle.
10. La Madonna Conestabile di Raffaello
Armonia e dolcezza spirano da questo piccolo ma preziosissimo quadro da sempre attribuito al maestro urbinate, che mostra la Vergine nell’atto di porgere un libretto al Bambino sullo sfondo di un inconsueto paesaggio invernale.
Fu lo zar Alessandro Ii a portarlo in Russia nel 1871 come regalo per la moglie Marija Alexandrovna. Dieci anni dopo il dipinto fu trasferito su tela, portando alla luce il disegno originale e una sorpresa: nel primo progetto di Raffaello, invece del libro Maria porgeva al piccolo una melograna, simbolo della Passione. Ecco spiegato il motivo della sua espressione malinconica.
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