Al cinema dal 21 al 23 ottobre il film di Nexo Digital e 3D Produzioni
Ermitage. Il Potere dell’Arte – La nostra recensione
San Pietroburgo, Museo Statale dell'Ermitage, Logge di Raffaello, Still dal film Ermitage. Il Potere dell'Arte | Courtesy Nexo Digital
Francesca Grego
18/10/2019
Più che un museo, l’Ermitage è un mondo. Un mondo di oltre tre milioni di opere e innumerevoli capolavori racchiusi in architetture mirabili e grondanti di storia. Nelle sue sale - un labirinto quasi infinito, in cui anche la mente più razionale è destinata a sublime disorientamento - riecheggiano i desideri degli zar, le voci dei maestri dell’arte, lo spirito e le vicissitudini del popolo russo, la cultura dell’Europa intera che su queste isole affacciate sul Baltico incontrò l’anima di un impero remoto.
Difficile restituire un mondo in un film di 130 minuti. Ci riesce bene Ermitage. Il Potere dell’Arte, l’ultimo documentario targato Nexo Digital e 3D Produzioni, che vedremo sul grande schermo dal 21 al 23 ottobre per la rassegna La Grande Arte al Cinema. Diretto da Michele Mally su soggetto di Didi Gnocchi, che firma anche la sceneggiatura con Giovanni Piscaglia, il film è un racconto corale in viaggio tra i palazzi degli zar e un universo ancor più grande e magico: quello di San Pietroburgo, la città astratta e irreale dove la sera ad accendere le lampade è il demonio in persona, per mostrare tutto diverso da quello che è, come scrisse in pagine memorabili Fëdor Dostoevskij.
Sulle note di Čaikovskij, Rimskij-Korsakov e del talentuoso musicista contemporaneo Dmitri Igorevich Myachin, ci spostiamo tra la Prospettiva Nevskij e il Palazzo d’Inverno, tra i luoghi cari ai grandi scrittori russi - Puškin, Gogol, Dostoevskij, Nabokov, la Achmatova - e il Piccolo Eremo che Caterina II volle per ospitare la sua collezione. A guidarci in un intrico di storie, immagini e suggestioni è un elegante Toni Servillo, attorno al quale si muovono autorevoli testimoni: il direttore dell’Ermitage Michail Piotrovskij, manager accorto e ambizioso, ma soprattutto appassionatissimo cultore d’arte, figlio ed erede di un illustre storico e archeologo russo che lo ha preceduto alla guida del museo; il regista Aleksandr Sokurov, che in un famoso lungometraggio ha descritto l’Ermitage come “un’arca che naviga sul mare della storia” portando in salvo il suo carico prezioso (Arca russa, 2002); e poi storici dell’arte, scrittori, restauratori, gli stessi dipendenti del museo, ciascuno con una prospettiva da condividere.
Dal sogno di Pietro il Grande, che in pochi anni tirò su San Pietroburgo letteralmente dal nulla con i migliori architetti d’Europa, alle passioni di Caterina, tedesca di nascita e poi russa nell’anima - “non un’intenditrice, ma un’ingorda”, in arte come in amore - vediamo nascere e crescere una delle collezioni più vaste e prestigiose del pianeta. Una collezione che tra Settecento e Ottocento diventa il simbolo della potenza di un Impero, ma che non si fa grande con bottini di guerra, saccheggi o requisizioni. Rembrandt e Caravaggio, Leonardo e Raffaello, Tiziano, Rubens, Murillo, Van Dyck si affacciano sullo schermo attraverso superbi capolavori, mentre i marmi di Antonio Canova risplendono nella Galleria della Scultura Antica e le architetture della Versailles russa sembrano danzare sulle note del Lago dei Cigni. E poi i quadri di Matisse, Gauguin, Renoir, Picasso, eredità di collezionisti di una nuova era come Sergej Sčukin, Michail e Ivan Morozov.
Ma l’Ermitage non è una torre d’avorio. Come il popolo di San Pietroburgo, è investito dalla violenza della storia. Una su tutte: l’assedio nazista, quando sul Palazzo d’Inverno piovono le granate e nei sotterranei centinaia di persone muoiono di fame e di freddo. Poi tutto finisce, ed è emozionante ricordarlo insieme a un’anziana custode del museo che con gli occhi lucidi rievoca il 27 gennaio del ‘44: la cacciata dei tedeschi e i primi fuochi d’artificio sulla città. Immagini d’epoca in bianco e nero contrastano con le riprese girate oggi all’interno del museo, documentando le condizioni disastrose dei servi della gleba e le rivolte di fine Ottocento, l’ascesa dei bolscevichi, le repressioni del regime comunista, la Seconda Guerra Mondiale.
L’arca prosegue il suo viaggio. Oggi più che mai, è come “un’organismo vivente, un’enciclopedia dell’arte mondiale in lingua russa”, dice Piotrovskij. Ma anche un ponte gettato verso il mondo, centro di scambi e collaborazioni internazionali che guarda all’Italia come a un interlocutore privilegiato. Dall’antico al moderno, dall’Europa alla Cina, tutte le strade sembrano portare a San Pietroburgo, la città dei cantucci dove Dostoevskij osservava di nascosto la vita di uomini strani, i sognatori.
“Se potessi non morire, se potessi far tornare indietro la vita”, fa dire lo scrittore al suo Idiota, “trasformerei ogni minuto in un secolo intero”. È quanto accade nelle sale dell’Ermitage, dove la storia riemerge come da una miniera e in ogni attimo si schiude il lungo racconto del tempo.
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• La grande storia dell’Ermitage e San Pietroburgo: un dialogo lungo oltre 250 anni
• I capolavori dell’Ermitage. Una guida alla scoperta dei tesori del museo
Difficile restituire un mondo in un film di 130 minuti. Ci riesce bene Ermitage. Il Potere dell’Arte, l’ultimo documentario targato Nexo Digital e 3D Produzioni, che vedremo sul grande schermo dal 21 al 23 ottobre per la rassegna La Grande Arte al Cinema. Diretto da Michele Mally su soggetto di Didi Gnocchi, che firma anche la sceneggiatura con Giovanni Piscaglia, il film è un racconto corale in viaggio tra i palazzi degli zar e un universo ancor più grande e magico: quello di San Pietroburgo, la città astratta e irreale dove la sera ad accendere le lampade è il demonio in persona, per mostrare tutto diverso da quello che è, come scrisse in pagine memorabili Fëdor Dostoevskij.
Sulle note di Čaikovskij, Rimskij-Korsakov e del talentuoso musicista contemporaneo Dmitri Igorevich Myachin, ci spostiamo tra la Prospettiva Nevskij e il Palazzo d’Inverno, tra i luoghi cari ai grandi scrittori russi - Puškin, Gogol, Dostoevskij, Nabokov, la Achmatova - e il Piccolo Eremo che Caterina II volle per ospitare la sua collezione. A guidarci in un intrico di storie, immagini e suggestioni è un elegante Toni Servillo, attorno al quale si muovono autorevoli testimoni: il direttore dell’Ermitage Michail Piotrovskij, manager accorto e ambizioso, ma soprattutto appassionatissimo cultore d’arte, figlio ed erede di un illustre storico e archeologo russo che lo ha preceduto alla guida del museo; il regista Aleksandr Sokurov, che in un famoso lungometraggio ha descritto l’Ermitage come “un’arca che naviga sul mare della storia” portando in salvo il suo carico prezioso (Arca russa, 2002); e poi storici dell’arte, scrittori, restauratori, gli stessi dipendenti del museo, ciascuno con una prospettiva da condividere.
Dal sogno di Pietro il Grande, che in pochi anni tirò su San Pietroburgo letteralmente dal nulla con i migliori architetti d’Europa, alle passioni di Caterina, tedesca di nascita e poi russa nell’anima - “non un’intenditrice, ma un’ingorda”, in arte come in amore - vediamo nascere e crescere una delle collezioni più vaste e prestigiose del pianeta. Una collezione che tra Settecento e Ottocento diventa il simbolo della potenza di un Impero, ma che non si fa grande con bottini di guerra, saccheggi o requisizioni. Rembrandt e Caravaggio, Leonardo e Raffaello, Tiziano, Rubens, Murillo, Van Dyck si affacciano sullo schermo attraverso superbi capolavori, mentre i marmi di Antonio Canova risplendono nella Galleria della Scultura Antica e le architetture della Versailles russa sembrano danzare sulle note del Lago dei Cigni. E poi i quadri di Matisse, Gauguin, Renoir, Picasso, eredità di collezionisti di una nuova era come Sergej Sčukin, Michail e Ivan Morozov.
Ma l’Ermitage non è una torre d’avorio. Come il popolo di San Pietroburgo, è investito dalla violenza della storia. Una su tutte: l’assedio nazista, quando sul Palazzo d’Inverno piovono le granate e nei sotterranei centinaia di persone muoiono di fame e di freddo. Poi tutto finisce, ed è emozionante ricordarlo insieme a un’anziana custode del museo che con gli occhi lucidi rievoca il 27 gennaio del ‘44: la cacciata dei tedeschi e i primi fuochi d’artificio sulla città. Immagini d’epoca in bianco e nero contrastano con le riprese girate oggi all’interno del museo, documentando le condizioni disastrose dei servi della gleba e le rivolte di fine Ottocento, l’ascesa dei bolscevichi, le repressioni del regime comunista, la Seconda Guerra Mondiale.
L’arca prosegue il suo viaggio. Oggi più che mai, è come “un’organismo vivente, un’enciclopedia dell’arte mondiale in lingua russa”, dice Piotrovskij. Ma anche un ponte gettato verso il mondo, centro di scambi e collaborazioni internazionali che guarda all’Italia come a un interlocutore privilegiato. Dall’antico al moderno, dall’Europa alla Cina, tutte le strade sembrano portare a San Pietroburgo, la città dei cantucci dove Dostoevskij osservava di nascosto la vita di uomini strani, i sognatori.
“Se potessi non morire, se potessi far tornare indietro la vita”, fa dire lo scrittore al suo Idiota, “trasformerei ogni minuto in un secolo intero”. È quanto accade nelle sale dell’Ermitage, dove la storia riemerge come da una miniera e in ogni attimo si schiude il lungo racconto del tempo.
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