In Svizzera fino al 16 aprile
Yves Klein e l'arte degli aborigeni d'Australia: alla Fondation Opale un incontro nel tempo del sogno
Rêver dans le rêve des autres, Allestimento della mostra nelle sale della Fondation Opale | Foto: © Yorick Chassigneux
Samantha De Martin
10/01/2023
Mondo - E se Yves Klein, il creatore del blu oltremare, fosse stato uno dei primi artisti europei a nutrire uno spiccato interesse per l’arte visiva aborigena, mostrandosi, anche in quest’ambito, uno straordinario precursore?
A spalancare un’illuminante riflessione sui legami tra il maestro di Nizza che prese tra le mani la natura per trasformarla in strumento di creazione, e le arti primitive, aprendo una poetica breccia nella primordiale fratellanza di coscienze di cui solo gli artisti sono in grado di rivelare le prove, è una mostra in corso fino al 16 aprile alla Fondation Opale di Lens, nella regione di Crans-Montana, in Svizzera.
Inaugurata nel 2018, la Fondation Opale è l'unico centro di arte contemporanea dedicato alla promozione dell'arte aborigena in Europa, incentivando un dialogo tra popoli e culture attraverso l'arte.
La mostra, dal titolo Rêver dans le rêve des autres, più che porsi come una retrospettiva dell'opera del pittore che utilizzava i corpi come pennelli viventi, offre al pubblico un approccio poetico e libero al suo lavoro, messo a confronto con una serie di opere di artisti aborigeni originari di città o regioni isolate dall'Australia, le cui creazioni ruotano intorno al dualismo materiale e immateriale, fisico e spirituale, temporalità e infinito.
Rêver dans le rêve des autres, Allestimento della mostra nelle sale della Fondation Opale | Foto: © Yorick Chassigneux
"Ho scoperto che leggere è un modo servile di sognare. Se devo sognare, perché sognare i sogni degli altri?” recitava un aforisma di Fernando Pessoa. Questa riflessione, ripresa da Yves Klein nei suoi scritti, dà il titolo alla mostra alla Fondation Opale, evocando “Il sognare”, affascinante e misterioso fondamento spirituale della cultura degli aborigeni d’Australia. Nella mitologia aborigena il Tempo del Sogno è l'epoca che precede la creazione del mondo. La cosmologia aborigena vuole che il paesaggio sia stato creato da esseri ancestrali attraverso i loro corpi e i loro canti. Gli itinerari creativi del Sogno - una sorta di eterno presente che l'antropologo W. E. H. Stanner ha proposto di chiamare “Ogniquando” (“di tutti i tempi e in tutti i luoghi”) - hanno lasciato tracce che possono ancora essere viste e percepite dagli iniziati.
Rêver dans le rêve des autres, Allestimento della mostra nelle sale della Fondation Opale | Foto: © Yorick Chassigneux
I quattro elementi, soprattutto l’acqua, l’aria, il fuoco, svolgono un ruolo cardine anche nelle opere di Yves Klein. Le sue Cosmogonie sono il frutto dell’interazione sulla tela tra i pigmenti e gli agenti atmosferici, pioggia, acqua e vento.
“Qualche mese fa - scriveva Klein - ho sentito il bisogno di registrare i segni atmosferici mettendo su una tela le tracce istantanee di rovesci primaverili, venti meridionali e fulmini […] Ho messo una tela, appena spalmata di vernice, sul tetto della mia Citroën bianca. E mentre guidavo nella pioggia a 70 chilometri all'ora, il caldo, il freddo, la luce, il vento, la pioggia hanno fatto sì che trovassi la mia tela prematuramente invecchiata. […] Dopotutto, il mio obiettivo è quello di ottenere tracce dell'immediato negli oggetti naturali, qualunque sia l'impatto".
Partendo dalle prime presentazioni pubbliche delle Antropometrie - impronte di corpi “intinti” nel colore e distesi sulla tela per lasciare quella che l’artista definiva una “traccia di vita” - i curatori della mostra, Philippe Siauve per la Fondazione Yves Klein, e Georges Petitjean, Bérengère Primat per la Fondation Opale, hanno associato il lavoro di Klein ai dipinti parietali. Il gesto di lasciare un'impronta colorata, ad esempio a mano, non risale forse alla notte dei tempi?
Rêver dans le rêve des autres, Allestimento della mostra nelle sale della Fondation Opale | Foto: © Yorick Chassigneux
Eppure tutto procedeva come se il fascino di Klein per la preistoria lo avesse distolto da ciò che è noto come arte indigena. Non era stato rintracciato, nel lavoro di Klein, alcun riferimento all’Africa o all’Oceania con l'eccezione di alcuni disegni giovanili custoditi negli Yves Klein Archives di Parigi. Un attento esame ha recentemente permesso di riconoscere in questi disegni riproduzioni di opere d’arte aborigene, probabilmente disegnate da Klein a metà degli anni Cinquanta, un'epoca in cui la cultura dei primi abitanti dell'Australia era poco conosciuta e anche un po’ screditata in Europa.
Confrontando metodicamente queste opere su carta con le immagini di catalogo dell’antropologo e archeologo australiano Frederick David McCarthy, è stato possibile scoprire la fonte dell’artista francese. Le opere sono copie relativamente fedeli di un motivo attinto da un dupun australiano (un baule cavo destinato a conservare le ossa di un defunto), riprodotto nel libro di McCarthy, mentre Klein avrebbe aggiunto soltanto i colori.
Klein ha sempre nutrito un vivo interesse per l'arte preistorica e per la funzione rituale nell'arte come dimostrano le sue Antropometrie, ma anche la sua passione per il judo dove la dimensione fisica e quella spirituale si incontrano. D’altra parte l’interesse di Klein per l’arte parietale preistorica deriva non solo dalla capacità di documentare le più antiche tracce di attività artistica umana, ma anche dalla sua capacità di questo tipo di arte di inscenare, secondo l’artista, la battaglia tra linea e colore.
Nel 1957 Klein inizia a lavorare alla sceneggiatura di un film incentrato su questa "battaglia", dal titolo La guerra. Attraverso questo lavoro, descritto come "una piccola mitologia personale della monocromia ", l’artista effettuava una riflessione sul colore nella storia dell'umanità, dove l'arte rupestre testimoniava l'introduzione della linea nell’arte. In principio erano il colore e il "suono monotono", che corrispondono a una visione interiore, all'anima universale dell'uomo. Quando la linea prende gradualmente il sopravvento sul colore e sull'umanità nasce la scrittura. Per Klein sarebbe proprio questa problematica coesistenza della linea e del colore in uno stato di guerra permanente a determinare la nascita dell'arte.
Rêver dans le rêve des autres, Allestimento della mostra nelle sale della Fondation Opale | Foto: © Yorick Chassigneux
La mostra alla Fondation Opale affianca i lavori di Yves Klein alle opere di dodici artisti aborigeni: Angkaliya Curtis, Bardayal “Lofty” Nadjamerrek, Bill Whisky Tjapaltjarri, Danie Mellor, Dhambit Mununggurr, Emily Kame Kngwarreye, Ignatia Djanghara, Paddy Bedford, Waigan Djanghara, Wattie Karruwara, Judy Watson, Paji Honeychild Yankarr.
Il paesaggio ancestrale di Danie Mellor è segnato da tracce di un passato più recente. Nell'opera di questo artista australiano il blu, caro a Klein, allude alla porcellana cinese importata in Australia, ma anche ai paesaggi Cinesi che adornavano i servizi di porcellana inglese del XVIII secolo. Nell'evocazione del paesaggio ancestrale che l’artista australiano Bill Whisky Tjapaltjarri propone in mostra mancano le righe. Prevalgono piuttosto punti colorati che costruiscono la visione di un paesaggio nel quale gli elementi naturali e le impronte di azioni ancestrali coincidono. Il blu è un'aggiunta insolita alla tavolozza composta tradizionalmente da rosso, giallo, nero e bianco.
Anche Judy Watson evoca nella sua opera il paesaggio naturale impresso sulla tela. Come Klein, l’artista innalza le intemperie a elemento creativo, arricchendo i suoi lavori di conchiglie, argilla, cortecce. Lasciando le sue tele all’aperto, gli elementi come le polveri o gli insetti si impadroniscono delle opere depositando sulla superficie segni e macchie inaspettate.
Se Yves Klein utilizza principalmente acqua, fuoco e aria, Emily Kame concentra il suo lavoro intorno al quarto elemento, la terra, collegata nel pensiero aborigeno all'impercettibilità del Sognare e all'atto immateriale della creazione. Come l'acqua, il fuoco e l'aria, la terra non potrà mai essere posseduta da esseri umani, in quanto eterna, onnipresente, infinita e immateriale nella sua essenza. Non ci sono barriere tra la natura e l’arte. Entrambe costituiscono un unico elemento.
Veduta dell'edificio che ospita la Fondation Opale | Foto: © Olivier Maire
Accanto alla mostra principale, lo spazio Special Focus presso la Fondation Opale accoglie anche l’esposizione Aboriginal Afterimages, una serie di Ulay. L'artista tedesco entra in contatto per la prima volta con gli aborigeni nel 1979 quando, con la compagna Marina Abramovic, è invitato a partecipare alla Biennale di Sydney. Mosso dal suo vivo interesse per i popoli nomadi non occidentali e per il loro modo di vivere, Ulay aveva tentato di catturare nei suoi Aboriginal Afterimages, l'effimero, il transitorio. Si tratta di immagini residue, che nascono dalla collaborazione diretta dell'artista con gli aborigeni, e che immortalano ciò che resta dopo la partenza dei nomadi, al termine della cerimonia rituale, riflettendo il punto di vista di Ulay sulla cultura indigena.
La mostra si potrà visitare da mercoledì a domenica dalle 10 alle 18.
Leggi anche:
• I colori e gli elementi. Nel mondo di Yves Klein
A spalancare un’illuminante riflessione sui legami tra il maestro di Nizza che prese tra le mani la natura per trasformarla in strumento di creazione, e le arti primitive, aprendo una poetica breccia nella primordiale fratellanza di coscienze di cui solo gli artisti sono in grado di rivelare le prove, è una mostra in corso fino al 16 aprile alla Fondation Opale di Lens, nella regione di Crans-Montana, in Svizzera.
Inaugurata nel 2018, la Fondation Opale è l'unico centro di arte contemporanea dedicato alla promozione dell'arte aborigena in Europa, incentivando un dialogo tra popoli e culture attraverso l'arte.
La mostra, dal titolo Rêver dans le rêve des autres, più che porsi come una retrospettiva dell'opera del pittore che utilizzava i corpi come pennelli viventi, offre al pubblico un approccio poetico e libero al suo lavoro, messo a confronto con una serie di opere di artisti aborigeni originari di città o regioni isolate dall'Australia, le cui creazioni ruotano intorno al dualismo materiale e immateriale, fisico e spirituale, temporalità e infinito.
Rêver dans le rêve des autres, Allestimento della mostra nelle sale della Fondation Opale | Foto: © Yorick Chassigneux
"Ho scoperto che leggere è un modo servile di sognare. Se devo sognare, perché sognare i sogni degli altri?” recitava un aforisma di Fernando Pessoa. Questa riflessione, ripresa da Yves Klein nei suoi scritti, dà il titolo alla mostra alla Fondation Opale, evocando “Il sognare”, affascinante e misterioso fondamento spirituale della cultura degli aborigeni d’Australia. Nella mitologia aborigena il Tempo del Sogno è l'epoca che precede la creazione del mondo. La cosmologia aborigena vuole che il paesaggio sia stato creato da esseri ancestrali attraverso i loro corpi e i loro canti. Gli itinerari creativi del Sogno - una sorta di eterno presente che l'antropologo W. E. H. Stanner ha proposto di chiamare “Ogniquando” (“di tutti i tempi e in tutti i luoghi”) - hanno lasciato tracce che possono ancora essere viste e percepite dagli iniziati.
Rêver dans le rêve des autres, Allestimento della mostra nelle sale della Fondation Opale | Foto: © Yorick Chassigneux
I quattro elementi, soprattutto l’acqua, l’aria, il fuoco, svolgono un ruolo cardine anche nelle opere di Yves Klein. Le sue Cosmogonie sono il frutto dell’interazione sulla tela tra i pigmenti e gli agenti atmosferici, pioggia, acqua e vento.
“Qualche mese fa - scriveva Klein - ho sentito il bisogno di registrare i segni atmosferici mettendo su una tela le tracce istantanee di rovesci primaverili, venti meridionali e fulmini […] Ho messo una tela, appena spalmata di vernice, sul tetto della mia Citroën bianca. E mentre guidavo nella pioggia a 70 chilometri all'ora, il caldo, il freddo, la luce, il vento, la pioggia hanno fatto sì che trovassi la mia tela prematuramente invecchiata. […] Dopotutto, il mio obiettivo è quello di ottenere tracce dell'immediato negli oggetti naturali, qualunque sia l'impatto".
Partendo dalle prime presentazioni pubbliche delle Antropometrie - impronte di corpi “intinti” nel colore e distesi sulla tela per lasciare quella che l’artista definiva una “traccia di vita” - i curatori della mostra, Philippe Siauve per la Fondazione Yves Klein, e Georges Petitjean, Bérengère Primat per la Fondation Opale, hanno associato il lavoro di Klein ai dipinti parietali. Il gesto di lasciare un'impronta colorata, ad esempio a mano, non risale forse alla notte dei tempi?
Rêver dans le rêve des autres, Allestimento della mostra nelle sale della Fondation Opale | Foto: © Yorick Chassigneux
Eppure tutto procedeva come se il fascino di Klein per la preistoria lo avesse distolto da ciò che è noto come arte indigena. Non era stato rintracciato, nel lavoro di Klein, alcun riferimento all’Africa o all’Oceania con l'eccezione di alcuni disegni giovanili custoditi negli Yves Klein Archives di Parigi. Un attento esame ha recentemente permesso di riconoscere in questi disegni riproduzioni di opere d’arte aborigene, probabilmente disegnate da Klein a metà degli anni Cinquanta, un'epoca in cui la cultura dei primi abitanti dell'Australia era poco conosciuta e anche un po’ screditata in Europa.
Confrontando metodicamente queste opere su carta con le immagini di catalogo dell’antropologo e archeologo australiano Frederick David McCarthy, è stato possibile scoprire la fonte dell’artista francese. Le opere sono copie relativamente fedeli di un motivo attinto da un dupun australiano (un baule cavo destinato a conservare le ossa di un defunto), riprodotto nel libro di McCarthy, mentre Klein avrebbe aggiunto soltanto i colori.
Klein ha sempre nutrito un vivo interesse per l'arte preistorica e per la funzione rituale nell'arte come dimostrano le sue Antropometrie, ma anche la sua passione per il judo dove la dimensione fisica e quella spirituale si incontrano. D’altra parte l’interesse di Klein per l’arte parietale preistorica deriva non solo dalla capacità di documentare le più antiche tracce di attività artistica umana, ma anche dalla sua capacità di questo tipo di arte di inscenare, secondo l’artista, la battaglia tra linea e colore.
Nel 1957 Klein inizia a lavorare alla sceneggiatura di un film incentrato su questa "battaglia", dal titolo La guerra. Attraverso questo lavoro, descritto come "una piccola mitologia personale della monocromia ", l’artista effettuava una riflessione sul colore nella storia dell'umanità, dove l'arte rupestre testimoniava l'introduzione della linea nell’arte. In principio erano il colore e il "suono monotono", che corrispondono a una visione interiore, all'anima universale dell'uomo. Quando la linea prende gradualmente il sopravvento sul colore e sull'umanità nasce la scrittura. Per Klein sarebbe proprio questa problematica coesistenza della linea e del colore in uno stato di guerra permanente a determinare la nascita dell'arte.
Rêver dans le rêve des autres, Allestimento della mostra nelle sale della Fondation Opale | Foto: © Yorick Chassigneux
La mostra alla Fondation Opale affianca i lavori di Yves Klein alle opere di dodici artisti aborigeni: Angkaliya Curtis, Bardayal “Lofty” Nadjamerrek, Bill Whisky Tjapaltjarri, Danie Mellor, Dhambit Mununggurr, Emily Kame Kngwarreye, Ignatia Djanghara, Paddy Bedford, Waigan Djanghara, Wattie Karruwara, Judy Watson, Paji Honeychild Yankarr.
Il paesaggio ancestrale di Danie Mellor è segnato da tracce di un passato più recente. Nell'opera di questo artista australiano il blu, caro a Klein, allude alla porcellana cinese importata in Australia, ma anche ai paesaggi Cinesi che adornavano i servizi di porcellana inglese del XVIII secolo. Nell'evocazione del paesaggio ancestrale che l’artista australiano Bill Whisky Tjapaltjarri propone in mostra mancano le righe. Prevalgono piuttosto punti colorati che costruiscono la visione di un paesaggio nel quale gli elementi naturali e le impronte di azioni ancestrali coincidono. Il blu è un'aggiunta insolita alla tavolozza composta tradizionalmente da rosso, giallo, nero e bianco.
Anche Judy Watson evoca nella sua opera il paesaggio naturale impresso sulla tela. Come Klein, l’artista innalza le intemperie a elemento creativo, arricchendo i suoi lavori di conchiglie, argilla, cortecce. Lasciando le sue tele all’aperto, gli elementi come le polveri o gli insetti si impadroniscono delle opere depositando sulla superficie segni e macchie inaspettate.
Se Yves Klein utilizza principalmente acqua, fuoco e aria, Emily Kame concentra il suo lavoro intorno al quarto elemento, la terra, collegata nel pensiero aborigeno all'impercettibilità del Sognare e all'atto immateriale della creazione. Come l'acqua, il fuoco e l'aria, la terra non potrà mai essere posseduta da esseri umani, in quanto eterna, onnipresente, infinita e immateriale nella sua essenza. Non ci sono barriere tra la natura e l’arte. Entrambe costituiscono un unico elemento.
Veduta dell'edificio che ospita la Fondation Opale | Foto: © Olivier Maire
Accanto alla mostra principale, lo spazio Special Focus presso la Fondation Opale accoglie anche l’esposizione Aboriginal Afterimages, una serie di Ulay. L'artista tedesco entra in contatto per la prima volta con gli aborigeni nel 1979 quando, con la compagna Marina Abramovic, è invitato a partecipare alla Biennale di Sydney. Mosso dal suo vivo interesse per i popoli nomadi non occidentali e per il loro modo di vivere, Ulay aveva tentato di catturare nei suoi Aboriginal Afterimages, l'effimero, il transitorio. Si tratta di immagini residue, che nascono dalla collaborazione diretta dell'artista con gli aborigeni, e che immortalano ciò che resta dopo la partenza dei nomadi, al termine della cerimonia rituale, riflettendo il punto di vista di Ulay sulla cultura indigena.
La mostra si potrà visitare da mercoledì a domenica dalle 10 alle 18.
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