In mostra dal 4 aprile all’11 giugno

Alla Galleria Borghese ricostruito il Fregio di Enea, capolavoro del Rinascimento

Dosso Dossi. Il Fregio di Enea. Foto A. Novelli Galleria Borghese
 

Francesca Grego

03/04/2023

Roma - Del Fregio di Enea si erano perse le tracce già alla fine del Settecento. Dipinto da Dosso Dossi per una delle stanze più sontuose e leggendarie del Rinascimento europeo - il Camerino d’Alabastro del duca di Ferrara Alfonso I d’Este - si componeva di dieci grandi tele che presero presto strade diverse. Da domani, martedì 4 aprile, cinque di questi dipinti saranno per la prima volta esposti insieme alla Galleria Borghese, dove approdarono nel 1608 grazie all’acquisto del padrone di casa, il grande collezionista e mecenate Scipione Borghese. 

In prestito dal Museo del Prado di Madrid, dal Louvre di Abu Dhabi, dalla National Gallery of Art di Washington e da una collezione privata romana, le tele riunite si ispirano ad alcuni episodi dell’Eneide di Virgilio - il viaggio negli Inferi, l’attacco delle Arpie e la costruzione di una città in Sicilia, per esempio - interpretando le storie della poesia antica con vena fantastica e immaginifica. Ne risultano composizioni originali ed eccentriche dai colori vibranti, un esempio dell’affascinante creatività di Dosso, ma anche del brillante ambiente artistico della Ferrara cinquecentesca, alla vigilia della grande stagione del Barocco.


Giovanni Francesco di Niccolò di Luteri, detto Dosso Dossi, Two Legendary Episodes from Aeneid: The Plague at Pergamea. Olio su tela. Louvre Abu Dhabi

Coprotagonista dei dipinti è il paesaggio, un paesaggio “universale” - le coste, il mare, le colline, le città in costruzione, il mondo ultraterreno - che avrebbe fatto scuola: “dagli edifici di forme diverse, con torri rettangolari, case basse e costruzioni circolari, che acquistano il colore del cielo mantenendo solo i contorni man mano che digradano verso lo sfondo, i luoghi costruiti dagli uomini si confondono con l’orizzonte, prendono la consistenza delle nuvole, si trasferiscono, con la loro qualità impalpabile, nello spazio della favola”, spiega la direttrice della Galleria Borghese Francesca Cappelletti. 
Oltre l’orizzonte c’è Roma, destinazione finale dell’eroe in viaggio verso la fondazione di una nuova patria e luogo imprescindibile per gli artisti europei nel XVI e XVII secolo. In programma fino al prossimo 11 giugno, la mostra Dosso Dossi. Il Fregio di Enea diventa così l’anello comune tra il percorso intrapreso dalla Galleria Borghese nel 2021, dedicato al paesaggio, e un nuovo ciclo di mostre che indagherà i temi del viaggio e lo sguardo degli artisti stranieri sull’Italia. 


"Dosso Dossi. Il fregio di Enea", Installation view con Melissa. Photo A. Novelli © Galleria Borghese

Madrazo soggiornò a Roma tra il 1803 e il 1819, proprio all’epoca della “grande dispersione” della Collezione Borghese. Erano passati circa due secoli da quando il cardinal Scipione aveva staccato le dieci tele dalle pareti del Camerino delle pitture nel Castello di Ferrara: qui il fregio di Dosso aveva convissuto con celebri capolavori di Tiziano e Giovanni Bellini (Il Festino degli deiBacco e Arianna, l’Omaggio a Venere), tutti acquistati da rampanti collezionisti romani entro il primo decennio del Seicento.

 
Francesco di Niccolò di Luteri, detto Dosso Dossi, The Trojans building the temple to Venus at Erix and making offerings at Anchise's grave. Olio su tela. National Gallery of Art. Washington

La mostra è il frutto di recenti ricerche condotte sul fregio di Dossi, che ne hanno ricostruito storia e struttura, consentendo di individuare i pezzi mancanti. Sono sette le tele rintracciate finora, ma alcuni anni fa la stessa composizione del ciclo era un mistero. Nel 2010 un ritrovamento inatteso ha dato una svolta alle indagini: si tratta del catalogo della collezione di José de Madrazo (1781-1859), pittore e direttore del Prado che acquistò tutte e dieci le tele a Roma nei primi anni dell’Ottocento. Il documento descrive le tele una per una, indicandone le dimensioni esatte, il soggetto e perfino la disposizione originaria: una manna dal cielo per i ricercatori, che fino ad allora costretti a districarsi tra notizie frammentarie e congetture. 


Francesco di Niccolò di Luteri, detto Dosso Dossi, L'Ade. Olio su tela. Collezione Marisela Federici, Roma

Per l’ambizioso Scipione, nipote di papa Paolo V, la vicenda di Enea come fondatore di Roma e di un nuovo impero rivestiva un significato profondo, legato all’esistenza del pontificato e al suo rapporto con la città. Il fregio, depurato dallo stesso Dossi dai temi virgiliani della guerra e della passione amorosa, presenta Enea nella sua accezione più positiva: l’eroe che incarna l’ideale della pietas romana e trasforma il dolore dell’esilio in un’impresa capace di riscrivere il suo destino e quello del mondo. Tornato finalmente “a casa” presso la Galleria Borghese, il fregio dialoga con altri due capolavori voluti dal cardinal nepote in questa chiave: la tela di Enea che fugge da Troia di Federico Barocci e il marmo di Enea, Anchise e Ascanio, primo gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini, che fu commissionato proprio da Scipione. 


Francesco di Niccolò di Luteri, detto Dosso Dossi, Aeneas and Achates on the Libyan coast. Olio su tela. National Gallery of Art. Washington

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