Fino al 27 marzo alle Gallerie Nazionali di Arte Antica
Caravaggio e Artemisia: a Palazzo Barberini una sfida nel segno di Giuditta
Michelangelo Merisi detto Caravaggio, Giuditta decapita Oloferne, 1599 circa, Olio su tela, 195 x 145 cm, Roma, Gallerie Nazionali di Arte Antica - Palazzo Barberini
Samantha De Martin
30/11/2021
Roma - Quando un giorno “di moltissimi anni fa” il restauratore romano Pico Cellini e lo storico dell'arte Corrado Ricci entrarono in una casa di via Giulia, a Roma, dove un vecchietto con la papalina mostrò loro un quadro “sporchissimo ma che fa un’impressione enorme”, mai avrebbero immaginato che quell’opera attribuita a Orazio Gentileschi avrebbe potuto un giorno rivelarsi il celebre Giuditta e Oloferne di Caravaggio, scomparso dai radar da oltre un secolo.
Una volta ritrovato il quadro presso il proprietario Vincenzo Coppi, Cellini riuscì a fotografarlo e a mostrarlo a Roberto Longhi che chiese e ottenne la proroga della mostra milanese dedicata a Caravaggio e ai pittori caravaggeschi, per poterlo includere all'interno del percorso allestito nel 1951 a Palazzo Reale.
Dopo aver visitato l’esposizione, infatti, il restauratore ricordò di aver visto da ragazzo, in un palazzo romano, una tela raffigurante Giuditta e Oloferne, attribuita ad Orazio Gentileschi, ricollegandola in seguito allo stile di Caravaggio.
A settant’anni dalla quella riscoperta e a cinquanta dall’acquisizione da parte dello Stato Italiano, Giuditta e Oloferne, la celeberrima tela di Caravaggio, è al centro di una grande mostra in corso fino al 27 marzo presso Le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini.
Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento, questo il titolo dell’esposizione a cura di Maria Cristina Terzaghi, accende i riflettori su una delle più famose e acclamate opere del Merisi, messa a confronto con trenta lavori - quasi tutti di grande formato - provenienti da importanti istituzioni nazionali e internazionali, dal Museo del Prado di Madrid al Kunsthistorisches Museum di Vienna.
"Questa mostra - sottolinea Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali - corrisponde perfettamente alla mia visione di un museo in continua narrazione polifonica, confronto e scambio fra collezione e mostre temporanee. Un racconto in costante evoluzione con l’obiettivo di offrire chiavi di lettura sempre diverse ai nostri visitatori”.
Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento, Allestimento Sala 2 | Foto: © Alberto Novelli | Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica
Il viaggio in quattro sezioni, che ha come bussola le tante e differenti rappresentazioni di Giuditta, si apre con Giuditta al bivio tra Maniera e Natura, una selezione di opere cinquecentesche che mostrano le prime avvisaglie di una nuova rappresentazione del tema, caratterizzata dalla violenza dell’istante scelto a rappresentare la storia dell’eroina biblica, come nei dipinti di Lavinia Fontana, Tintoretto e di un seguace di Bartholomeus Spranger.
La tela del Merisi con Giuditta che decapita Oloferne, fulcro della seconda sezione dedicata a Caravaggio e i suoi primi interpreti, inscena un autentico omicidio mediante decapitazione, rappresentando un momento di rottura con la tradizione e trovando un corrispettivo solo nella produzione coeva di rappresentazioni sacre e drammi teatrali.
Trophime Bigot, Valentin de Boulogne, Louis Finson, Bartolomeo Mendozzi, Giuseppe Vermiglio e Filippo Vitale, accolti in questa prima parte del percorso, sono i primi pittori che poterono avere in qualche modo notizia dell’opera. L’atrocità del delitto, che contrasta con la bellezza assorta e sensuale della protagonista, fu proprio motivo di ispirazione e reinterpretazione dell’episodio biblico.
Louis Finson (attribuito), Giuditta decapita Oloferne, post 1607, Olio su tela, 161 x 140 cm, Collezione Intesa Sanpaolo
Un capolavoro per il banchiere Ottavio Costa
La tela che Pico Cellini ritrovò nel 1951 in casa del proprietario Vincenzo Coppi era stata eseguita nel 1599 da Caravaggio per il banchiere ligure Ottavio Costa, scomparso nel 1639. L’opera non fu mai alienata, rimanendo a Roma fino a metà Ottocento. A Vincenzo Coppi giunse per via ereditaria dagli avi della madre che l’avevano a loro volta acquistata nell’Ottocento dalla Congregazione degli Operai della Divina Pietà, ultimi eredi della famiglia del banchiere.
Gelosissimo com’era della sua opera, Costa ne proibì non solo l’alienazione, ma anche la riproduzione, motivo per cui non ne esistono copie seicentesche fedeli, circostanza rara nel catalogo di Caravaggio. Eppure, non bastò il drappo di seta - dal quale il capolavoro fu avvolto, nella raccolta del banchiere - a impedire la fuga di notizie sul celebre quadro, e a rendere inaccessibile la bella Giuditta di Caravaggio. Nonostante le cautele del proprietario che, consegnando al notaio il suo secondo testamento, stilato ben sette anni prima della morte, proibiva tassativamente agli eredi l’alienazione di “Tutti li quadri del Caravaggio particolarmente la Giuditta”, la rivoluzionaria composizione ideata dal Merisi riuscì comunque a circolare fino a imbattersi nell’acuto occhio di Pico Cellini.
Così, nel settembre 1971 l’opera, acquistata dallo Stato italiano per 250 milioni di lire, entrò a far parte del patrimonio delle Gallerie Nazionali di Arte Antica dove oggi si trova.
Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento, Allestimento Sala 2 | Foto: © Alberto Novelli | Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica
Una tela "rivoluzionaria"
In ambito romano la tela di Caravaggio dovette piombare tuonando come un rombo, rappresentando una novità straordinaria nell’universo figurativo di chi poté vederla. E non soltanto perché di omicidi così efferati in pittura ne circolavano pochi, o forse nessuno, ma soprattutto perché a questo omicidio lo spettatore assisteva da vicino, con le figure di tre quarti al naturale.
La scelta registica consentiva a Caravaggio di concentrarsi sui gesti, enfatizzando le emozioni dei protagonisti che tessono la scena, giustamente paragonata alle sacre rappresentazioni o al teatro shakespeariano dove il palcoscenico è vuoto. Ecco perché la maggior parte della critica ha visto in questo quadro il primo tentativo di narrazione della storia, in questo caso biblica, dell’artista.
Il terrore espresso dall’urlo di Oloferne stride con la bellezza dell’eroina, mentre Abra, una testa caricata certamente dipinta sull’onda dei ricordi leonardeschi, riapparirà anche in diversi quadri successivi. A incantare chi guarda, proprio in questa figura, è lo straordinario realismo delle cocche del grembiule che la fantesca raccoglie per trasportare il capo reciso di Oloferne. Splendido è invece l’abito di Giuditta, di un giallo che farà scuola.
Artemisia Gentileschi, Giuditta decapita Oloferne, 1612 circa, Olio su tela, 126 x 159 cm, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
Artemisia ospite d’onore a Palazzo Barberini
Il viaggio allestito a Palazzo Barberini sulle tracce dell’eroina biblica prosegue, nella terza sezione della mostra, con Artemisia Gentileschi, una delle più alte interpreti del soggetto. Insieme al padre Orazio la pittrice si cimentò più volte con il tema, comprendendone le potenzialità in relazione alla rappresentazione della figura femminile come donna forte, ed exemplum virtutis. D’altra parte attraverso il suo personale vissuto, Artemisia, vittima di violenza, fa sì che l’immedesimazione con Giuditta che conficca la spada nel collo di Oloferne, sia profonda. In questa sezione la sublime Giuditta decapita Oloferne dal Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli dialoga con lavori come Giuditta e la fantesca con la testa di Oloferne di Orazio Gentileschi in prestito dal National Museum of Art, Architecture and Design di Oslo che immortala il momento successivo all’uccisione del condottiero assiro. Grazie al suo lavoro, il tema diventerà un genere richiestissimo nelle corti europee fino a sfociare nelle opere di Giovanni Baglione, Johan Liss, Bartolomeo Manfredi, Pietro Novelli, Mattia Preti, Giuseppe Vermiglio e del raro Biagio Manzoni, una delle novità della mostra.
Francesco Rustici, detto il Rustichino, Salomè e la serva con la testa del Battista, 1624-1625 circa, Olio su tela, 166.5 x 240 cm, Parigi, Galerie Canesso
Nella quarta e ultima sezione, Le virtù di Giuditta. Giuditta e Davide, Giuditta e Salomé, il tema di Giuditta e Oloferne incontra quello di Davide e Golia, accomunati dalla lettura allegorica della vittoria della virtù, dell’astuzia e della giovinezza sulla forza bruta del tiranno che finisce decapitato. Qui Davide con la testa di Golia di Valentin de Boulogne dal Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid dialoga con la Salomè e la serva con la testa del Battista del Rustichino, il “caravaggesco gentile” che interpreta il naturalismo del Merisi con dolcezza. La scena si svolge in un'ambientazione notturna, rischiarata da una torcia che accende forti contrasti. Solo il vassoio su cui riposa la testa di san Giovanni Battista permette di identificare la protagonista femminile con Salomè. A deporre verso l’assimilazione delle due figure bibliche è anche la relazione che intercorre tra Salomè e la serva, complici del misfatto così come Giuditta e Abra.
La mostra si può visitare da martedì a domenica dalle 10 alle 18. Ultimo ingresso alle ore 17. La prenotazione è obbligatoria nei weekend e nei giorni festivi sul sito di TicketOne, oppure contattando il numero 06-32810.
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Dopo aver visitato l’esposizione, infatti, il restauratore ricordò di aver visto da ragazzo, in un palazzo romano, una tela raffigurante Giuditta e Oloferne, attribuita ad Orazio Gentileschi, ricollegandola in seguito allo stile di Caravaggio.
A settant’anni dalla quella riscoperta e a cinquanta dall’acquisizione da parte dello Stato Italiano, Giuditta e Oloferne, la celeberrima tela di Caravaggio, è al centro di una grande mostra in corso fino al 27 marzo presso Le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Palazzo Barberini.
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Il viaggio in quattro sezioni, che ha come bussola le tante e differenti rappresentazioni di Giuditta, si apre con Giuditta al bivio tra Maniera e Natura, una selezione di opere cinquecentesche che mostrano le prime avvisaglie di una nuova rappresentazione del tema, caratterizzata dalla violenza dell’istante scelto a rappresentare la storia dell’eroina biblica, come nei dipinti di Lavinia Fontana, Tintoretto e di un seguace di Bartholomeus Spranger.
La tela del Merisi con Giuditta che decapita Oloferne, fulcro della seconda sezione dedicata a Caravaggio e i suoi primi interpreti, inscena un autentico omicidio mediante decapitazione, rappresentando un momento di rottura con la tradizione e trovando un corrispettivo solo nella produzione coeva di rappresentazioni sacre e drammi teatrali.
Trophime Bigot, Valentin de Boulogne, Louis Finson, Bartolomeo Mendozzi, Giuseppe Vermiglio e Filippo Vitale, accolti in questa prima parte del percorso, sono i primi pittori che poterono avere in qualche modo notizia dell’opera. L’atrocità del delitto, che contrasta con la bellezza assorta e sensuale della protagonista, fu proprio motivo di ispirazione e reinterpretazione dell’episodio biblico.
Louis Finson (attribuito), Giuditta decapita Oloferne, post 1607, Olio su tela, 161 x 140 cm, Collezione Intesa Sanpaolo
Un capolavoro per il banchiere Ottavio Costa
La tela che Pico Cellini ritrovò nel 1951 in casa del proprietario Vincenzo Coppi era stata eseguita nel 1599 da Caravaggio per il banchiere ligure Ottavio Costa, scomparso nel 1639. L’opera non fu mai alienata, rimanendo a Roma fino a metà Ottocento. A Vincenzo Coppi giunse per via ereditaria dagli avi della madre che l’avevano a loro volta acquistata nell’Ottocento dalla Congregazione degli Operai della Divina Pietà, ultimi eredi della famiglia del banchiere.
Gelosissimo com’era della sua opera, Costa ne proibì non solo l’alienazione, ma anche la riproduzione, motivo per cui non ne esistono copie seicentesche fedeli, circostanza rara nel catalogo di Caravaggio. Eppure, non bastò il drappo di seta - dal quale il capolavoro fu avvolto, nella raccolta del banchiere - a impedire la fuga di notizie sul celebre quadro, e a rendere inaccessibile la bella Giuditta di Caravaggio. Nonostante le cautele del proprietario che, consegnando al notaio il suo secondo testamento, stilato ben sette anni prima della morte, proibiva tassativamente agli eredi l’alienazione di “Tutti li quadri del Caravaggio particolarmente la Giuditta”, la rivoluzionaria composizione ideata dal Merisi riuscì comunque a circolare fino a imbattersi nell’acuto occhio di Pico Cellini.
Così, nel settembre 1971 l’opera, acquistata dallo Stato italiano per 250 milioni di lire, entrò a far parte del patrimonio delle Gallerie Nazionali di Arte Antica dove oggi si trova.
Caravaggio e Artemisia: la sfida di Giuditta. Violenza e seduzione nella pittura tra Cinquecento e Seicento, Allestimento Sala 2 | Foto: © Alberto Novelli | Courtesy Gallerie Nazionali di Arte Antica
Una tela "rivoluzionaria"
In ambito romano la tela di Caravaggio dovette piombare tuonando come un rombo, rappresentando una novità straordinaria nell’universo figurativo di chi poté vederla. E non soltanto perché di omicidi così efferati in pittura ne circolavano pochi, o forse nessuno, ma soprattutto perché a questo omicidio lo spettatore assisteva da vicino, con le figure di tre quarti al naturale.
La scelta registica consentiva a Caravaggio di concentrarsi sui gesti, enfatizzando le emozioni dei protagonisti che tessono la scena, giustamente paragonata alle sacre rappresentazioni o al teatro shakespeariano dove il palcoscenico è vuoto. Ecco perché la maggior parte della critica ha visto in questo quadro il primo tentativo di narrazione della storia, in questo caso biblica, dell’artista.
Il terrore espresso dall’urlo di Oloferne stride con la bellezza dell’eroina, mentre Abra, una testa caricata certamente dipinta sull’onda dei ricordi leonardeschi, riapparirà anche in diversi quadri successivi. A incantare chi guarda, proprio in questa figura, è lo straordinario realismo delle cocche del grembiule che la fantesca raccoglie per trasportare il capo reciso di Oloferne. Splendido è invece l’abito di Giuditta, di un giallo che farà scuola.
Artemisia Gentileschi, Giuditta decapita Oloferne, 1612 circa, Olio su tela, 126 x 159 cm, Napoli, Museo e Real Bosco di Capodimonte
Artemisia ospite d’onore a Palazzo Barberini
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Francesco Rustici, detto il Rustichino, Salomè e la serva con la testa del Battista, 1624-1625 circa, Olio su tela, 166.5 x 240 cm, Parigi, Galerie Canesso
Nella quarta e ultima sezione, Le virtù di Giuditta. Giuditta e Davide, Giuditta e Salomé, il tema di Giuditta e Oloferne incontra quello di Davide e Golia, accomunati dalla lettura allegorica della vittoria della virtù, dell’astuzia e della giovinezza sulla forza bruta del tiranno che finisce decapitato. Qui Davide con la testa di Golia di Valentin de Boulogne dal Museo Nacional Thyssen-Bornemisza di Madrid dialoga con la Salomè e la serva con la testa del Battista del Rustichino, il “caravaggesco gentile” che interpreta il naturalismo del Merisi con dolcezza. La scena si svolge in un'ambientazione notturna, rischiarata da una torcia che accende forti contrasti. Solo il vassoio su cui riposa la testa di san Giovanni Battista permette di identificare la protagonista femminile con Salomè. A deporre verso l’assimilazione delle due figure bibliche è anche la relazione che intercorre tra Salomè e la serva, complici del misfatto così come Giuditta e Abra.
La mostra si può visitare da martedì a domenica dalle 10 alle 18. Ultimo ingresso alle ore 17. La prenotazione è obbligatoria nei weekend e nei giorni festivi sul sito di TicketOne, oppure contattando il numero 06-32810.
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