Negli spazi del Palazzo Papale di Castel Gandolfo
Castel Gandolfo 1944. Una mostra racconta una storia di accoglienza e ristoro
Castel Gandolfo 1944 | Courtesy Musei Vaticani
Samantha De Martin
13/02/2024
Roma - A partire dal 25 gennaio 1944 migliaia di sfollati in fuga dai bombardamenti americani sui Castelli Romani, confidando nella protezione offerta dall’extraterritorialità dei luoghi e nella carità del papa, trovarono riparo negli spazi della Santa Sede a Castel Gandolfo.
A decidere di aprire i cancelli fu l’allora direttore delle Ville Pontificie, Emilio Bonomelli.
A 80 anni dal bombardamento alleato che il 10 febbraio del 1944 colpì la villa estiva di Propaganda Fide, all’interno delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, provocando oltre cinquecento vittime tra i profughi rifugiati, il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano ricorda quel giorno con la mostra “Castel Gandolfo 1944”.
Allestita nei nuovi spazi musealizzati del Palazzo Papale di Castel Gandolfo, il percorso storico-documentario a cura di Luca Carboni dell’Archivio Apostolico Vaticano, promosso dalla direzione dei Musei e dei Beni Culturali e dalla Direzione delle Ville Pontificie, ripercorre le vicende di quella straordinaria accoglienza, tra assistenza e cure prestate agli sfollati.
Castel Gandolfo 1944 | Courtesy Musei Vaticani
“Castel Gandolfo 1944 - spiega Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani - vuole raccontare questo momento importante della storia di questo palazzo e di questi luoghi, anni difficili, di paura, di guerra, di resistenza e di speranza. Il 1944 è un anno di accoglienza. Migliaia e migliaia di sfollati sono stati accolti, nutriti e rassicurati dentro le mura di quei luoghi che con i Trattati Lateranensi erano a tutti gli effetti territori della Santa Sede, neutrali al conflitto bellico che dilaniava l’Europa, ma partecipi del dolore e della drammaticità del periodo. Un anno drammatico, ma anche un anno di speranza con i tanti bambini nati nel letto del Papa”.
Il ricordo delle vittime del tragico evento bellico è affidato a immagini fotografiche, a oggetti d’epoca, filmati storici, interviste ai sopravvissuti. Per la prima volta in uno dei luoghi stessi che furono il teatro delle vicende narrate, la mostra, attraverso un ampio patrimonio documentale, fruga nella quotidianità di questa nuova “città di profughi” accampati nelle stanze, nelle scale, tra i saloni, nei giardini, e persino tra le rovine archeologiche del criptoportico della Villa di Domiziano.
Ad affiancare le testimonianze fotografiche sono pellicole e documenti inediti ritrovati sepolti tra le carte dell’Archivio delle Ville Pontificie, recuperato di recente e riordinato su impulso dell’iniziativa museale.
Castel Gandolfo 1944 | Courtesy Musei Vaticani
“Abbiamo voluto raccontare una storia - spiega il curatore Luca Carboni - quella dell’assistenza e della carità pontificia verso i profughi e i rifugiati, che contiene anche quella del dolore di un bombardamento e delle tante vite spezzate dalla guerra. C’è una foto iconica...la foto di una bimba con la testa fasciata. Per decenni è rimasta volontariamente senza nome, oggi, nel giorno in cui il presente rende memoria e omaggio al passato, sono autorizzato a dare un nome a quella bimba che morì pochi giorni dopo lo scatto della foto. Si chiamava Fernanda Scalchi e aveva quattro anni. Ecco vorrei dedicare questa mostra a tutti i “senza nome”...e al “dolore innocente”, sul quale non ho risposte".
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A decidere di aprire i cancelli fu l’allora direttore delle Ville Pontificie, Emilio Bonomelli.
A 80 anni dal bombardamento alleato che il 10 febbraio del 1944 colpì la villa estiva di Propaganda Fide, all’interno delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo, provocando oltre cinquecento vittime tra i profughi rifugiati, il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano ricorda quel giorno con la mostra “Castel Gandolfo 1944”.
Allestita nei nuovi spazi musealizzati del Palazzo Papale di Castel Gandolfo, il percorso storico-documentario a cura di Luca Carboni dell’Archivio Apostolico Vaticano, promosso dalla direzione dei Musei e dei Beni Culturali e dalla Direzione delle Ville Pontificie, ripercorre le vicende di quella straordinaria accoglienza, tra assistenza e cure prestate agli sfollati.
Castel Gandolfo 1944 | Courtesy Musei Vaticani
“Castel Gandolfo 1944 - spiega Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani - vuole raccontare questo momento importante della storia di questo palazzo e di questi luoghi, anni difficili, di paura, di guerra, di resistenza e di speranza. Il 1944 è un anno di accoglienza. Migliaia e migliaia di sfollati sono stati accolti, nutriti e rassicurati dentro le mura di quei luoghi che con i Trattati Lateranensi erano a tutti gli effetti territori della Santa Sede, neutrali al conflitto bellico che dilaniava l’Europa, ma partecipi del dolore e della drammaticità del periodo. Un anno drammatico, ma anche un anno di speranza con i tanti bambini nati nel letto del Papa”.
Il ricordo delle vittime del tragico evento bellico è affidato a immagini fotografiche, a oggetti d’epoca, filmati storici, interviste ai sopravvissuti. Per la prima volta in uno dei luoghi stessi che furono il teatro delle vicende narrate, la mostra, attraverso un ampio patrimonio documentale, fruga nella quotidianità di questa nuova “città di profughi” accampati nelle stanze, nelle scale, tra i saloni, nei giardini, e persino tra le rovine archeologiche del criptoportico della Villa di Domiziano.
Ad affiancare le testimonianze fotografiche sono pellicole e documenti inediti ritrovati sepolti tra le carte dell’Archivio delle Ville Pontificie, recuperato di recente e riordinato su impulso dell’iniziativa museale.
Castel Gandolfo 1944 | Courtesy Musei Vaticani
“Abbiamo voluto raccontare una storia - spiega il curatore Luca Carboni - quella dell’assistenza e della carità pontificia verso i profughi e i rifugiati, che contiene anche quella del dolore di un bombardamento e delle tante vite spezzate dalla guerra. C’è una foto iconica...la foto di una bimba con la testa fasciata. Per decenni è rimasta volontariamente senza nome, oggi, nel giorno in cui il presente rende memoria e omaggio al passato, sono autorizzato a dare un nome a quella bimba che morì pochi giorni dopo lo scatto della foto. Si chiamava Fernanda Scalchi e aveva quattro anni. Ecco vorrei dedicare questa mostra a tutti i “senza nome”...e al “dolore innocente”, sul quale non ho risposte".
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