Al Braccio di Carlo Magno fino al 22 giugno
Il San Girolamo di Leonardo in mostra a Piazza San Pietro
Leonardo Da Vinci, San Girolamo, 1482 ca., Olio su tavola, 103 x 74 cm, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana
Samantha De Martin
22/03/2019
Roma - Prima di volare al Metropolitan Museum di New York e successivamente al Museo del Louvre, l’unica tela di Leonardo presente nelle collezioni pontificie, nonché a Roma, si potrà ammirare, per tre mesi, in uno spazio riservato del Braccio di Carlo Magno, a Piazza San Pietro.
Con il suo volto emaciato, consumato dalla penitenza, il corpo scavato dal digiuno, circondato da un paeaggio desertico che ricorda molto quello della Vergine delle rocce o della Gioconda, il San Girolamo, conservato oggi nella Pinacoteca Vaticana, accoglie il pubblico fino al 22 giugno all’interno di uno spazio più intimo, esclusivamente dedicato e con accesso gratuito.
Dalla sua teca climatizzata ad alta tecnologia, invisibile all’occhio, avvolto dalla bella cornice dorata del 1931, il santo, ritratto dal maestro come un solitario eremita, nutrito solo dalla fede, che reca su di sé la passione di Cristo, può essere contemplato da vicino e meglio esplorato grazie a un video, il primo interamente realizzato dalla Direzione dei Musei Vaticani, che ne ripercorre la storia collezionistica, la particolare tecnica esecutiva, gli interventi di restauro, la diagnostica recentemente eseguita sul capolavoro.
A pochi centimetri dal visitatore, la tavola sulla quale Leonardo, attraverso la tecnica del finger painting, ha distribuito i pigmenti di colore con le dita, al fine di ammorbidire i contorni netti delle figure, sembra quasi emanare il respiro del maestro.
Ma l’artista, sulla sua tavola di legno di noce, ha fatto ricorso anche ai pennelli e alla pratica del wiping (strofinatura) e della tamponatura.
Il dipinto trova la sua particolarità nella sua tecnica esecutiva caratterizzata da un diffuso “non finito” presente in ampie parti dell’opera. Solo il volto del santo, parte della gamba destra e la roccia scura presentano unfinito chiaroscuro di base.
La mostra, allestita per celebrare i 500 anni dalla morte del genio, offre l’opportunità di entrare nell’universo dell’opera, la cui committenza rimane incerta dividendo la critica.
“Non abbiamo appigli documentari, né esistono carte che riguardino direttamente l’opera - ha detto Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani - sebbene sia stata più volte sottolineata la sua vicinanza stilistica, tecnica e compositiva con l’Adorazione dei Magi, oggi agli Uffizi, commissionata nel 1481 e lasciata incompiuta. Alcuni studiosi datano l’opera al primo soggiorno milanese dell’artista, 1482-1484, mentre altri propendono per una datazione vicina agli anni Novanta. Ma sull’autografia del quadro non c’è mai stato alcun dubbio”.
Il fascino di questo capolavoro è generato anche dalla a sua particolarissima vicenda collezionistica. Dopo la morte della celebre pittrice Angelica Kauffmann, nella cui collezione il dipinto è documentato, alla fine dell’Ottocento, alcune parti della tela erano state addiruttura segate: la parte bassa, di dimensioni più grandi, trovata presso un rigattiere, era stata utilizzata come anta di una credenza, mentre la seconda, con la testa del santo era stata utilizzata da un ciabattino come piano di uno sgabello.
Sarebbe stato il cardinale Joseph Fesch, zio di Napoleone, a far ricongiungere le due sezioni della tela entrata nel frattempo a far parete della sua collezione. Dopo varie vicessitudini, il San Girolamo venne acquistato dal Vaticano nel 1856, raccomandato da Tommaso Minardi e Filippo Agricola come “dipinto di mano di Leonardo da Vinci e perciò rarissimo e pregevolissimo”.
Dal 1932 è esposto nella sala IX della Pinacoteca, attigua al salone dedicato a Raffaello.
In mostra, accanto al capolavoro, è esposto un documento dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro in Vaticano, che testimonia la permanenza del genio toscano, dal 1514 al 1517 e su invito di Leone X, in un appartamento per lui allestito nel Belvedere Vaticano, presso l’originario nucleo storico dei Musei Vaticani.
“Far conoscere, preservare, condividere lo straordinario lascito di cultura, storia, bellezza e di fede che i pontefici romani hanno custodito per secoli è la missione dei Musei Vaticani - ha ribadito Barbara Jatta -. Il "San Girolamo nel deserto" di Leonardo è certamente un capolavoro assoluto, ma anche un’opera che esalta la spiritualità di un grande Padre e Dottore della Chiesa”.
Ed è per sottolineare la grandezza della vita del santo, che in mostra è presente un pannello con un approfondimento dedicato al Padre della Chiesa, la cui figura è tratteggiata attraverso le parole del Papa Emerito Benedetto XVI.
La storia e l’agiografia di questo presbitero e biblista trovò un momento di speciale diffusione proprio negli anni della realizzazione del dipinto, interessando anche artisti del calibro di Antonello da Messina, Lorenzo Lotto, Cima da Conegliano.
La mostra si potrà visitare il lunedì, martedì, giovedì, venerdì e sabato dalle ore 10 alle 18 (ultimo ingresso 17.30); il mercoledì dalle 13.30 alle 18 (ultimo ingresso 17.30).
Con il suo volto emaciato, consumato dalla penitenza, il corpo scavato dal digiuno, circondato da un paeaggio desertico che ricorda molto quello della Vergine delle rocce o della Gioconda, il San Girolamo, conservato oggi nella Pinacoteca Vaticana, accoglie il pubblico fino al 22 giugno all’interno di uno spazio più intimo, esclusivamente dedicato e con accesso gratuito.
Dalla sua teca climatizzata ad alta tecnologia, invisibile all’occhio, avvolto dalla bella cornice dorata del 1931, il santo, ritratto dal maestro come un solitario eremita, nutrito solo dalla fede, che reca su di sé la passione di Cristo, può essere contemplato da vicino e meglio esplorato grazie a un video, il primo interamente realizzato dalla Direzione dei Musei Vaticani, che ne ripercorre la storia collezionistica, la particolare tecnica esecutiva, gli interventi di restauro, la diagnostica recentemente eseguita sul capolavoro.
A pochi centimetri dal visitatore, la tavola sulla quale Leonardo, attraverso la tecnica del finger painting, ha distribuito i pigmenti di colore con le dita, al fine di ammorbidire i contorni netti delle figure, sembra quasi emanare il respiro del maestro.
Ma l’artista, sulla sua tavola di legno di noce, ha fatto ricorso anche ai pennelli e alla pratica del wiping (strofinatura) e della tamponatura.
Il dipinto trova la sua particolarità nella sua tecnica esecutiva caratterizzata da un diffuso “non finito” presente in ampie parti dell’opera. Solo il volto del santo, parte della gamba destra e la roccia scura presentano unfinito chiaroscuro di base.
La mostra, allestita per celebrare i 500 anni dalla morte del genio, offre l’opportunità di entrare nell’universo dell’opera, la cui committenza rimane incerta dividendo la critica.
“Non abbiamo appigli documentari, né esistono carte che riguardino direttamente l’opera - ha detto Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani - sebbene sia stata più volte sottolineata la sua vicinanza stilistica, tecnica e compositiva con l’Adorazione dei Magi, oggi agli Uffizi, commissionata nel 1481 e lasciata incompiuta. Alcuni studiosi datano l’opera al primo soggiorno milanese dell’artista, 1482-1484, mentre altri propendono per una datazione vicina agli anni Novanta. Ma sull’autografia del quadro non c’è mai stato alcun dubbio”.
Il fascino di questo capolavoro è generato anche dalla a sua particolarissima vicenda collezionistica. Dopo la morte della celebre pittrice Angelica Kauffmann, nella cui collezione il dipinto è documentato, alla fine dell’Ottocento, alcune parti della tela erano state addiruttura segate: la parte bassa, di dimensioni più grandi, trovata presso un rigattiere, era stata utilizzata come anta di una credenza, mentre la seconda, con la testa del santo era stata utilizzata da un ciabattino come piano di uno sgabello.
Sarebbe stato il cardinale Joseph Fesch, zio di Napoleone, a far ricongiungere le due sezioni della tela entrata nel frattempo a far parete della sua collezione. Dopo varie vicessitudini, il San Girolamo venne acquistato dal Vaticano nel 1856, raccomandato da Tommaso Minardi e Filippo Agricola come “dipinto di mano di Leonardo da Vinci e perciò rarissimo e pregevolissimo”.
Dal 1932 è esposto nella sala IX della Pinacoteca, attigua al salone dedicato a Raffaello.
In mostra, accanto al capolavoro, è esposto un documento dell’Archivio Storico della Fabbrica di San Pietro in Vaticano, che testimonia la permanenza del genio toscano, dal 1514 al 1517 e su invito di Leone X, in un appartamento per lui allestito nel Belvedere Vaticano, presso l’originario nucleo storico dei Musei Vaticani.
“Far conoscere, preservare, condividere lo straordinario lascito di cultura, storia, bellezza e di fede che i pontefici romani hanno custodito per secoli è la missione dei Musei Vaticani - ha ribadito Barbara Jatta -. Il "San Girolamo nel deserto" di Leonardo è certamente un capolavoro assoluto, ma anche un’opera che esalta la spiritualità di un grande Padre e Dottore della Chiesa”.
Ed è per sottolineare la grandezza della vita del santo, che in mostra è presente un pannello con un approfondimento dedicato al Padre della Chiesa, la cui figura è tratteggiata attraverso le parole del Papa Emerito Benedetto XVI.
La storia e l’agiografia di questo presbitero e biblista trovò un momento di speciale diffusione proprio negli anni della realizzazione del dipinto, interessando anche artisti del calibro di Antonello da Messina, Lorenzo Lotto, Cima da Conegliano.
La mostra si potrà visitare il lunedì, martedì, giovedì, venerdì e sabato dalle ore 10 alle 18 (ultimo ingresso 17.30); il mercoledì dalle 13.30 alle 18 (ultimo ingresso 17.30).
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