Fino al 1° marzo a Roma
L'arte relazionale si racconta al MAXXI
MAXXI, Arte relazionale, Britto Arts Trust Palan & Pakghor, The Kitchen Garden & The Social Kitchen, 2024 | Courtesy of the Diriyah Biennale Foundation | Foto: © Alessandro Brasile
Samantha De Martin
04/11/2025
Roma - Un annunciatore chiede il nome al visitatore per poi comunicarlo ai presenti. È la performance di Pierre Huyghe, Name Announcer, parte del percorso 1+1. L’arte relazionale, la prima grande retrospettiva al mondo dedicata a uno dei movimenti più influenti del nuovo millennio, a trent’anni dalla sua affermazione, in programma al MAXXI Museo nazionale delle arti del XXI secolo fino al 1° marzo 2026.
Il termine "Arte relazionale" è stato coniato nel 1995 dal critico francese Nicolas Bourriaud, lo stesso che, assieme a Eleonora Farina, cura la mostra romana ripercorrendone l’evoluzione. Nel suo saggio “Esthétique relationnelle” (1998) Bourriaud la definisce “un insieme di pratiche artistiche che prendono come punto di partenza le relazioni umane e il loro contesto sociale, piuttosto che uno spazio autonomo o privato". E così il percorso al MAXXI più che limitarsi a esporre le opere le attiva nello spazio, creando una relazione a tre tra pubblico, architettura e creazione artistica.

MAXXI, Vanessa Beecroft, VB74, 2014-2018 | Foto: © Luis do Rosario
Se Love Drug (PEA) di Carsten Höller invita il pubblico ad annusare il contenuto di una boccetta di vetro contenente fenetilammina, sostanza prodotta naturalmente dal cervello in stati di innamoramento, l’imponente albero di Natale di Philippe Parreno guida verso la videoroom di “1+1”, uno spazio adiacente dove sono presentate le opere video di Pierre Huyghe, Grace Ndiritu, Mark Leckey e Pia Rönicke. Sulla seconda terrazza si trovano le grandi installazioni di “1+1” come untitled 1990 (pad thai) di Rirkrit Tiravanija, opera relazionale per eccellenza che espone i resti di un’azione artistica realizzata dall’artista cucinando nella galleria espositiva e poi Exit Seating di Angela Bulloch, una serie di istruzioni delle compagnie aree relative ai posti vicino alle uscite di emergenza, realizzata per la prima prova per il Turner Prize 1997. Lungo la rampa si susseguono grandi opere bidimensionali di Maurizio Cattelan, tra le quali la famosa Untitled con il gallerista Massimo De Carlo appeso al muro, di Vanessa Beecroft, VB74 in Collezione MAXXI, e di Santiago Sierra.
Felix Gonzalez-Torres accoglie invece gli ospiti con un cumulo di cioccolatini e una pila di fogli rossi che introducono a una serie di opere a parete, quasi una quadreria contemporanea con lavori di Christian Jankowski, Monica Bonvicini, Gillian Wearing e Cesare Pietroiusti. Oltre 4.000 nomi scritti a parete caratterizzano invece l’intervento di Douglas Gordon che con List of Names (Random) gioca sulla memoria di tutte le persone che ha incontrato dal 1990 al 2017.
Nel braccio vetrato il progetto apre un dialogo con alcuni precursori dell’estetica relazionale.
Nata agli albori dell’era di Internet e divenuta negli anni un linguaggio globale, l’arte relazionale connota un insieme di pratiche incentrate sulle relazioni umane, piuttosto che sull’oggetto artistico o sullo spazio privato dell’artista. Prossimità, convivialità, micro-utopie e processi partecipativi sono i principi che accomunano le ricerche dei 45 artisti in mostra, da Vanessa Beecroft a Maurizio Cattelan, da Carsten Höller a Philippe Parreno e Rirkrit Tiravanija, Angela Bulloch, Liam Gillick, Douglas Gordon, Gabriel Orozco, Santiago Sierra, Felix Gonzalez-Torres.

MAXXI, Arte relazionale, Maurizio Cattelan, Untitled 1999, photo Armin Linke
“La lucida intuizione di Nicolas Bourriaud, “compagno di viaggio” di molti degli artisti presenti in 1+1, è stata quella, a metà degli anni ’90, di tracciare un fil rouge tra queste ricerche e sperimentazioni artistiche, di testimoniarne la potenza innovatrice e di capire che la relazione con l’Altro da sé, in un mondo che si accingeva a cambiamenti epocali radicali e straordinari, sarebbe stata alla base dell’arte e della società del millennio che stava per iniziare” ha detto Maria Emanuela Bruni, presidente Fondazione MAXXI.
Su piazza Alighiero Boetti un altoparlante trasmette barzellette in romeno, opera audio di Jens Haaning Romanian Jokes, e ammicca alla facciata di via Guido Reni, dove si trova il passante occasionale fotografato da Braco Dimitrievijc pochi giorni prima dell’inaugurazione per la serie The casual Passer-by I met.
Il termine "Arte relazionale" è stato coniato nel 1995 dal critico francese Nicolas Bourriaud, lo stesso che, assieme a Eleonora Farina, cura la mostra romana ripercorrendone l’evoluzione. Nel suo saggio “Esthétique relationnelle” (1998) Bourriaud la definisce “un insieme di pratiche artistiche che prendono come punto di partenza le relazioni umane e il loro contesto sociale, piuttosto che uno spazio autonomo o privato". E così il percorso al MAXXI più che limitarsi a esporre le opere le attiva nello spazio, creando una relazione a tre tra pubblico, architettura e creazione artistica.

MAXXI, Vanessa Beecroft, VB74, 2014-2018 | Foto: © Luis do Rosario
Se Love Drug (PEA) di Carsten Höller invita il pubblico ad annusare il contenuto di una boccetta di vetro contenente fenetilammina, sostanza prodotta naturalmente dal cervello in stati di innamoramento, l’imponente albero di Natale di Philippe Parreno guida verso la videoroom di “1+1”, uno spazio adiacente dove sono presentate le opere video di Pierre Huyghe, Grace Ndiritu, Mark Leckey e Pia Rönicke. Sulla seconda terrazza si trovano le grandi installazioni di “1+1” come untitled 1990 (pad thai) di Rirkrit Tiravanija, opera relazionale per eccellenza che espone i resti di un’azione artistica realizzata dall’artista cucinando nella galleria espositiva e poi Exit Seating di Angela Bulloch, una serie di istruzioni delle compagnie aree relative ai posti vicino alle uscite di emergenza, realizzata per la prima prova per il Turner Prize 1997. Lungo la rampa si susseguono grandi opere bidimensionali di Maurizio Cattelan, tra le quali la famosa Untitled con il gallerista Massimo De Carlo appeso al muro, di Vanessa Beecroft, VB74 in Collezione MAXXI, e di Santiago Sierra.
Felix Gonzalez-Torres accoglie invece gli ospiti con un cumulo di cioccolatini e una pila di fogli rossi che introducono a una serie di opere a parete, quasi una quadreria contemporanea con lavori di Christian Jankowski, Monica Bonvicini, Gillian Wearing e Cesare Pietroiusti. Oltre 4.000 nomi scritti a parete caratterizzano invece l’intervento di Douglas Gordon che con List of Names (Random) gioca sulla memoria di tutte le persone che ha incontrato dal 1990 al 2017.
Nel braccio vetrato il progetto apre un dialogo con alcuni precursori dell’estetica relazionale.
Nata agli albori dell’era di Internet e divenuta negli anni un linguaggio globale, l’arte relazionale connota un insieme di pratiche incentrate sulle relazioni umane, piuttosto che sull’oggetto artistico o sullo spazio privato dell’artista. Prossimità, convivialità, micro-utopie e processi partecipativi sono i principi che accomunano le ricerche dei 45 artisti in mostra, da Vanessa Beecroft a Maurizio Cattelan, da Carsten Höller a Philippe Parreno e Rirkrit Tiravanija, Angela Bulloch, Liam Gillick, Douglas Gordon, Gabriel Orozco, Santiago Sierra, Felix Gonzalez-Torres.

MAXXI, Arte relazionale, Maurizio Cattelan, Untitled 1999, photo Armin Linke
“La lucida intuizione di Nicolas Bourriaud, “compagno di viaggio” di molti degli artisti presenti in 1+1, è stata quella, a metà degli anni ’90, di tracciare un fil rouge tra queste ricerche e sperimentazioni artistiche, di testimoniarne la potenza innovatrice e di capire che la relazione con l’Altro da sé, in un mondo che si accingeva a cambiamenti epocali radicali e straordinari, sarebbe stata alla base dell’arte e della società del millennio che stava per iniziare” ha detto Maria Emanuela Bruni, presidente Fondazione MAXXI.
Su piazza Alighiero Boetti un altoparlante trasmette barzellette in romeno, opera audio di Jens Haaning Romanian Jokes, e ammicca alla facciata di via Guido Reni, dove si trova il passante occasionale fotografato da Braco Dimitrievijc pochi giorni prima dell’inaugurazione per la serie The casual Passer-by I met.
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