A tu per tu con un capolavoro del Barocco
Storie di morte e di rinascita: Bernini e il Ratto di Proserpina
Gianlorenzo Bernini, Ratto di Proserpina, 1621-1622, Marmo bianco, H 255 cm, Roma, Galleria Borghese | Foto: Int3gr4te via Wikimedia Creative Commons
Francesca Grego
11/03/2020
Roma - Il dio degli inferi ghermisce la primavera e la fa sua, nelle tenebre del sottosuolo. La terra diverrà arida, fredda, inospitale, per rinascere al ritorno di Kore, “la fanciulla” dalle vesti colme di fiori. Così gli antichi spiegavano i ciclo delle stagioni e, forse, l’alternanza di gioie e tristezze nelle vite degli uomini. In molti hanno provato a trasferire su tela o sulla pietra la potenza di un mito che così efficacemente ci parla di vita e di morte. Nessuno come Gian Lorenzo Bernini, che a soli 23 anni ne fece un capolavoro del Barocco. A quattro secoli dalla sua creazione, il Ratto di Proserpina è un grido scolpito nel candore del marmo di Carrara che si fa carne tenera, muscoli e nervi tesi, pelle di seta, terrore e sensualità.
Come nasce quest’opera che non ammette indifferenza?
A commissionarla fu il cardinale Scipione Borghese, raffinato mecenate e tra gli uomini più potenti della Roma seicentesca. Certo, il soggetto suona insolito per un uomo di chiesa, seppur imbevuto di cultura classica. Ma pare che a ispirare il gruppo sia stato addirittura un papa in erba, Maffeo Barberini, poi salito al soglio con il nome di Urbano VIII. A lui si deve il distico che campeggiava sulla base del modello iniziale dell’opera: “O tu che, chino a terra, raccogli fiori, guardami mentre vengo rapita verso la casa del crudele Dite”. Secondo alcuni, la favola pagana del Ratto apparve al cardinale adatta a esprimere un auspicio di rigenerazione per il casato dei Borghese, che finalmente aveva un erede nel giovane Paolo. O forse no? Certamente l’opera rappresentò un punto svolta per l’arte. Anche se giovane, Bernini allora era già uno scultore affermato. Dopo questo lavoro possiamo considerarlo un genio a pieno titolo.
Dal mito al capolavoro
Alla base della scultura c’è un mito di origine greca narrato da Ovidio nelle Metamorfosi: la giovane e bellissima Proserpina, figlia della dea delle messi Cerere, coglie fiori in un prato. Plutone se ne invaghisce e decide di rapirla. Cerere abbandona i campi per cercarla, causando una terribile carestia. Quando Giove interviene per salvarla, la fanciulla ha già mangiato i chicchi del melograno, cibo degli inferi: grazie al favore degli dei potrà tornare a vedere il sole e rendere la terra feconda, ma dovrà trascorrere i mesi invernali nell’Ade con quello che ormai è il suo sposo.
Della favola pagana Bernini ritaglia il brano culminante e offre allo spettatore il massimo del pathos in una scena dall’impatto teatrale: Plutone sorprende la dea alle spalle, lei si divincola facendo appello a tutte le energie, mentre invoca la madre in un grido disperato. Brama, terrore, forza, erotismo, estasi, vergogna si esprimono nei volti ma soprattutto nei corpi contorti in un vortice che non lascia nulla al caso.
Quale particolare condensa il senso dell’opera e il virtuosismo di Bernini?
Grazie alla sua capacità di trattare il marmo, Bernini riesce a infondere nella materia una pienezza che la rende quasi viva. Nel Ratto di Proserpina ogni superficie è capace di raccontare una parte della storia. Se la lavorazione a scalpello avvicina le chiome e la barba di Plutone alla criniera di un leone, i muscoli possenti, ben piantati sul terreno, decretano inesorabilmente il destino della giovane dea. Ma è soprattutto la delicatezza delle carni di Proserpina a catturare lo sguardo. La mano del dio degli Inferi affondata nella sua coscia sinistra è uno dei dettagli più celebrati e conturbanti della storia dell’arte: con pressione vigorosa esalta la fragile morbidezza e la sensualità della bellezza violata.
Da quale posizione va osservato il Ratto di Proserpina?
Se ci poniamo davanti alla scultura, la scena del rapimento risulta subito ben leggibile, segno che Bernini individuò nella vista frontale l’opzione privilegiata. Tuttavia l’artista ha progettato l’opera immaginando che lo spettatore potesse anche girarle attorno: ogni angolazione, infatti, sembra espanderne il racconto con nuovi particolari. Guardando Plutone da sinistra, per esempio, ci accorgiamo che il dio sta per iniziare a correre con la sua preda. Se invece osserviamo Proserpina in diagonale dal lato opposto, possiamo incrociarne lo sguardo disperato, le membra tese in un ultimo anelito di libertà, la mano premuta contro il sopracciglio del dio a offuscarne la vista, mentre il terribile cane Cerbero copre le spalle al padrone.
Dove si trova la scultura di Bernini?
Il Ratto di Proserpina è uno dei capolavori della Galleria Borghese di Roma, insieme alle sculture berniniane di Apollo e Dafne, del David e di Enea, Anchise e Ascanio. Ciò porterebbe apensare che sia rimasto da sempre nel patrimonio della famiglia del suo committente. In realtà, dopo la consegna da parte del Bernini, l’opera restò a Villa Borghese solo per un anno. Per motivi non ancora chiariti, infatti, nel 1623 Scipione la donò al cardinale Ludovico Ludovisi che la espose nella sua villa. Solo nel 1908 il Ratto di Proserpina fu acquistato dallo Stato italiano ed esposto nella sua sede originaria, trasformata in museo solo sei anni prima.
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Come nasce quest’opera che non ammette indifferenza?
A commissionarla fu il cardinale Scipione Borghese, raffinato mecenate e tra gli uomini più potenti della Roma seicentesca. Certo, il soggetto suona insolito per un uomo di chiesa, seppur imbevuto di cultura classica. Ma pare che a ispirare il gruppo sia stato addirittura un papa in erba, Maffeo Barberini, poi salito al soglio con il nome di Urbano VIII. A lui si deve il distico che campeggiava sulla base del modello iniziale dell’opera: “O tu che, chino a terra, raccogli fiori, guardami mentre vengo rapita verso la casa del crudele Dite”. Secondo alcuni, la favola pagana del Ratto apparve al cardinale adatta a esprimere un auspicio di rigenerazione per il casato dei Borghese, che finalmente aveva un erede nel giovane Paolo. O forse no? Certamente l’opera rappresentò un punto svolta per l’arte. Anche se giovane, Bernini allora era già uno scultore affermato. Dopo questo lavoro possiamo considerarlo un genio a pieno titolo.
Dal mito al capolavoro
Alla base della scultura c’è un mito di origine greca narrato da Ovidio nelle Metamorfosi: la giovane e bellissima Proserpina, figlia della dea delle messi Cerere, coglie fiori in un prato. Plutone se ne invaghisce e decide di rapirla. Cerere abbandona i campi per cercarla, causando una terribile carestia. Quando Giove interviene per salvarla, la fanciulla ha già mangiato i chicchi del melograno, cibo degli inferi: grazie al favore degli dei potrà tornare a vedere il sole e rendere la terra feconda, ma dovrà trascorrere i mesi invernali nell’Ade con quello che ormai è il suo sposo.
Della favola pagana Bernini ritaglia il brano culminante e offre allo spettatore il massimo del pathos in una scena dall’impatto teatrale: Plutone sorprende la dea alle spalle, lei si divincola facendo appello a tutte le energie, mentre invoca la madre in un grido disperato. Brama, terrore, forza, erotismo, estasi, vergogna si esprimono nei volti ma soprattutto nei corpi contorti in un vortice che non lascia nulla al caso.
Quale particolare condensa il senso dell’opera e il virtuosismo di Bernini?
Grazie alla sua capacità di trattare il marmo, Bernini riesce a infondere nella materia una pienezza che la rende quasi viva. Nel Ratto di Proserpina ogni superficie è capace di raccontare una parte della storia. Se la lavorazione a scalpello avvicina le chiome e la barba di Plutone alla criniera di un leone, i muscoli possenti, ben piantati sul terreno, decretano inesorabilmente il destino della giovane dea. Ma è soprattutto la delicatezza delle carni di Proserpina a catturare lo sguardo. La mano del dio degli Inferi affondata nella sua coscia sinistra è uno dei dettagli più celebrati e conturbanti della storia dell’arte: con pressione vigorosa esalta la fragile morbidezza e la sensualità della bellezza violata.
Da quale posizione va osservato il Ratto di Proserpina?
Se ci poniamo davanti alla scultura, la scena del rapimento risulta subito ben leggibile, segno che Bernini individuò nella vista frontale l’opzione privilegiata. Tuttavia l’artista ha progettato l’opera immaginando che lo spettatore potesse anche girarle attorno: ogni angolazione, infatti, sembra espanderne il racconto con nuovi particolari. Guardando Plutone da sinistra, per esempio, ci accorgiamo che il dio sta per iniziare a correre con la sua preda. Se invece osserviamo Proserpina in diagonale dal lato opposto, possiamo incrociarne lo sguardo disperato, le membra tese in un ultimo anelito di libertà, la mano premuta contro il sopracciglio del dio a offuscarne la vista, mentre il terribile cane Cerbero copre le spalle al padrone.
Dove si trova la scultura di Bernini?
Il Ratto di Proserpina è uno dei capolavori della Galleria Borghese di Roma, insieme alle sculture berniniane di Apollo e Dafne, del David e di Enea, Anchise e Ascanio. Ciò porterebbe apensare che sia rimasto da sempre nel patrimonio della famiglia del suo committente. In realtà, dopo la consegna da parte del Bernini, l’opera restò a Villa Borghese solo per un anno. Per motivi non ancora chiariti, infatti, nel 1623 Scipione la donò al cardinale Ludovico Ludovisi che la espose nella sua villa. Solo nel 1908 il Ratto di Proserpina fu acquistato dallo Stato italiano ed esposto nella sua sede originaria, trasformata in museo solo sei anni prima.
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