Un veneziano tra Roma e l'Europa
Carlo Saraceni
Carlo Saraceni, Maddalena penitente. Olio su tela, cm 97x78,5. Vicenza, Museo Civico
E. Z.
20/03/2014
Venezia - Venezia accoglie la mostra antologica su Carlo Saraceni ospitata nei mesi scorsi a Roma presso le Scuderie del Quirinale e ora in un’edizione rinnovata alle Gallerie dell’Accademia fino al 29 giugno. Uno sbarco, quello nella città lagunare, che suona un po’ come il ritorno dell’artista seicentesco in terra patria dopo il lungo soggiorno nella città dei Papi.
Il Saraceni è stato il primo e unico interprete veneziano del Caravaggio: sua è stata la capacità di saper fondere la lezione del Merisi con quella della grande tradizione cinquecentesca veneta legata al vivido cromatismo intriso di luce. Stando alle fonti documentarie, i due artisti si conoscevano davvero e si frequentavano: nel novembre del 1606 Carlo Saraceni e Orazio Borgianni, accusati di essere i mandanti dell’attentato a Giuseppe Baglione, vengono definiti in un’aula di tribunale “aderenti al Caravaggio”.
Il Saraceni addirittura eseguì il dipinto del Transito della Vergine per la chiesa di Santa Maria della Scala in sostituzione della celebre Morte della Vergine di Caravaggio, rifiutata perché giudicata priva di “decoro”.
Il “Veneziano”, com’era noto all’epoca Saraceni a Roma, giunse nella città vaticana a vent’anni e qui rimase per un ventennio. L’artista rientrò in laguna chiamato dalla Serenissima per compiere un telero per la Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale e destinato a sostituire un dipinto tintorettesco che si era danneggiato. L’opera Il Doge Dandolo incita le crociate fu ideata e forse impostata dal pittore veneziano, ma fu compiuta, dopo la sua morte, dal francese Jean Le Clerc, suo allievo negli ultimi anni romani e trasferitosi con lui a Venezia.
La mostra che comprende circa 60 opere, prende avvio dalla produzione di piccoli raffinati dipinti su rame, dove la novità sta nella predominanza data al paesaggio rispetto al racconto mitologico e biblico, frutto della profonda meditazione sui modelli dei pittori nordici.
Non mancano le principali opere commissionate al pittore da alcune tra le più influenti famiglie romane, come il Riposo dalla Fuga in Egitto dell’Eremo dei camaldolesi, eseguito per la famiglia Aldobrandini, e i dipinti eseguiti per alcune congregazioni ecclesiastiche straniere. Straordinarie le due pale (il Martirio di San Lamberto e il Miracolo di San Benno) per la chiesa della nazione tedesca, Santa Maria dell’Anima: immagini di grande potenza e tensione drammatica, una sorta di testamento spirituale lasciato a Roma prima del rientro a Venezia.
Una sezione dell’esposizione veneziana è dedicata al legame di Saraceni con alcuni giovani artisti veronesi, scesi a Roma agli inizi del Seicento, che collaborarono con il pittore.
In mostra è inoltre esposto il testamento dell’artista, redatto in casa Contarini dove morì, conservato nell’Archivio di Stato di Venezia. E’ presente inoltre il volumetto commemorativo Dogliose lacrime della Biblioteca Marciana, scritto dal religioso Maurizio Moro in morte del pittore e dedicato a Giorgio Contarini, mecenate di Saraceni.
Il Saraceni è stato il primo e unico interprete veneziano del Caravaggio: sua è stata la capacità di saper fondere la lezione del Merisi con quella della grande tradizione cinquecentesca veneta legata al vivido cromatismo intriso di luce. Stando alle fonti documentarie, i due artisti si conoscevano davvero e si frequentavano: nel novembre del 1606 Carlo Saraceni e Orazio Borgianni, accusati di essere i mandanti dell’attentato a Giuseppe Baglione, vengono definiti in un’aula di tribunale “aderenti al Caravaggio”.
Il Saraceni addirittura eseguì il dipinto del Transito della Vergine per la chiesa di Santa Maria della Scala in sostituzione della celebre Morte della Vergine di Caravaggio, rifiutata perché giudicata priva di “decoro”.
Il “Veneziano”, com’era noto all’epoca Saraceni a Roma, giunse nella città vaticana a vent’anni e qui rimase per un ventennio. L’artista rientrò in laguna chiamato dalla Serenissima per compiere un telero per la Sala del Maggior Consiglio in Palazzo Ducale e destinato a sostituire un dipinto tintorettesco che si era danneggiato. L’opera Il Doge Dandolo incita le crociate fu ideata e forse impostata dal pittore veneziano, ma fu compiuta, dopo la sua morte, dal francese Jean Le Clerc, suo allievo negli ultimi anni romani e trasferitosi con lui a Venezia.
La mostra che comprende circa 60 opere, prende avvio dalla produzione di piccoli raffinati dipinti su rame, dove la novità sta nella predominanza data al paesaggio rispetto al racconto mitologico e biblico, frutto della profonda meditazione sui modelli dei pittori nordici.
Non mancano le principali opere commissionate al pittore da alcune tra le più influenti famiglie romane, come il Riposo dalla Fuga in Egitto dell’Eremo dei camaldolesi, eseguito per la famiglia Aldobrandini, e i dipinti eseguiti per alcune congregazioni ecclesiastiche straniere. Straordinarie le due pale (il Martirio di San Lamberto e il Miracolo di San Benno) per la chiesa della nazione tedesca, Santa Maria dell’Anima: immagini di grande potenza e tensione drammatica, una sorta di testamento spirituale lasciato a Roma prima del rientro a Venezia.
Una sezione dell’esposizione veneziana è dedicata al legame di Saraceni con alcuni giovani artisti veronesi, scesi a Roma agli inizi del Seicento, che collaborarono con il pittore.
In mostra è inoltre esposto il testamento dell’artista, redatto in casa Contarini dove morì, conservato nell’Archivio di Stato di Venezia. E’ presente inoltre il volumetto commemorativo Dogliose lacrime della Biblioteca Marciana, scritto dal religioso Maurizio Moro in morte del pittore e dedicato a Giorgio Contarini, mecenate di Saraceni.
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