Looking for Oum Kulthum - la nostra recensione
Il genio allo specchio
Shirin Neshat "Looking For Oum Kulthum" - © 2017 Razor Films
Piero Muscarà
03/09/2017
Venezia - Il genio di Shirin Neshat è già nel titolo: Looking for Oum Kulthum . Un ossimoro, un paradosso si nasconde in quelle quattro parole scelte per dare un nome alla storia che l'artista iraniana ha deciso di portare sullo schermo e che ha debuttato alla 74. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, dove è stato selezionato per far parte dei 12 film delle Giornate degli Autori .
Perchè se di ricerca stiamo parlando, è lo sguardo il soggetto della storia.
Lo sguardo di Umm Kulthum che alla fine è celato dietro un paio di spessi occhiali scuri. Uno sguardo che si perde, si sottrae. Quello incosciente della bambina trascinata sul palcoscenico dal padre e dal fratello e che sfida il pubblico nella polvere del villaggio di Ṭamāy al-Zahāyra. Lo sguardo incerto della debuttante che prende il coraggio da quel pubblico che la incita a non temere il proprio destino. Lo sguardo della giovane artista che si fa strada nella haute sociétè di Alessandria d'Egitto e del Cairo sino ad essere riconosciuta nella sua inevitabile grandezza da quel Re Farouk che fu il penultimo monarca d'Egitto. E quello sguardo che seppe sopravvivere alla Rivoluzione del 1952 e di cui il colonnello Gamal Abdel Nasser e la sua giunta militare volle appropriarsi, trascinando a sé la più amata voce del popolo, portandola in trionfo e trasformandola in un mito, in un'icona. Una vita "larger than life", più grande della vita stessa quella di Umm Kulthum. Una vita impossibile da raccontare. E Shirin Neshat lo sa. Sa di essere arrogante. Sa che le verranno fatte mille domande. Sa che a lei - donna - taluni allora come oggi non vorrebbero dare da raccontare ciò che vede e ciò che sa. Sa che a un'iraniana, straniera che non parla arabo, non dovrebbe esser dato di avvicinarsi al mito.
Ma la chiave è tutta qui. In quello sguardo che si nasconde infine alla vista del resto del mondo.
E Shirin Neshat lo capisce e lo racconta come solo una grande artista potrebbe fare. Il sogno e l'ossessione si trasformano dunque in un "film nel film" come è stato più volte detto. E quindi i piani narrativi si confondono. La protagonista della ricerca è Mitra - l'alter ego che Shirin Neshat fa impersonare sullo schermo all'attrice iraniana Neda Rahmanian. Una regista che sta realizzando un film su Umm Kulthum. Un viaggio onirico, un viaggio ossessivo. Una ricerca, che parte dal casting e dalla scelta dell'altra protagonista di questa storia, quella Yasmin Raeis a cui la Neshat fa vestire i panni dell'attrice che deve interpretare il ruolo della famosa cantante egiziana. Una ricerca che per trovare la verità deve mettere in scena anche la sfida stessa che Shirin/Mitra deve portare a compimento, superando tutti gli ostacoli materiali e psicologici che si proiettano sullo schermo in uno specchio continuo e poeticamente rivelatorio.
Questo film è anche un punto fermo importante per l'artista Shirin Neshat. Perchè va oltre il tema dell'origine a lei tanto caro. Racconta l'Iran senza raccontarlo, perchè è ambientato altrove. E certo racconta le donne. Lo sguardo nel silenzio, che però parla e si fa sentire. Come e più che in Donne senza uomini, il film tratto dal romanzo omonimo di Shahrnush Parsipur che vide Neshat debuttare alla regia di un lungometraggio e che le valse il Leone d'Argento alla Mostra del Cinema del 2009. E lo fa con la potenza delle immagini che Neshat ci ha fatto conoscere nella sua ricerca artistica, che usa il mezzo della fotografia e che è stata celebrata, non solo per la sua forza estetica a partire dai suoi lavori più conosciuti come la serie di Women of Allah. E che si possono vedere sempre a Venezia in questi giorni e sino al 26 novembre al Museo Correr che ospita la sua mostra The Home of My Eyes, un percorso in 26 immagini che ritrae gli sguardi di una serie di uomini e donne dell’Azerbaijan, dove Shirin Neshat ha a lungo ricercato intorno ai temi dell’identità culturale e del sentimento di sentirsi a casa propria. Gli occhi, lo sguardo, ancora una volta.
Un film questo Looking for Oum Kulthum che completa e rende più comprensibile, anche all'osservatore occidentale, la sfida rivoluzionaria che è propria del vero artista. Il coraggio che ci vuole per essere Shirin Neshat. Un film che speriamo di vedere distribuito nelle sale cinematografiche italiane e non solo relegato a qualche canale televisivo minore o allo streaming internet. Non ci vorrebbe troppo coraggio in fondo per farlo conoscere al grande pubblico.
Perchè se di ricerca stiamo parlando, è lo sguardo il soggetto della storia.
Lo sguardo di Umm Kulthum che alla fine è celato dietro un paio di spessi occhiali scuri. Uno sguardo che si perde, si sottrae. Quello incosciente della bambina trascinata sul palcoscenico dal padre e dal fratello e che sfida il pubblico nella polvere del villaggio di Ṭamāy al-Zahāyra. Lo sguardo incerto della debuttante che prende il coraggio da quel pubblico che la incita a non temere il proprio destino. Lo sguardo della giovane artista che si fa strada nella haute sociétè di Alessandria d'Egitto e del Cairo sino ad essere riconosciuta nella sua inevitabile grandezza da quel Re Farouk che fu il penultimo monarca d'Egitto. E quello sguardo che seppe sopravvivere alla Rivoluzione del 1952 e di cui il colonnello Gamal Abdel Nasser e la sua giunta militare volle appropriarsi, trascinando a sé la più amata voce del popolo, portandola in trionfo e trasformandola in un mito, in un'icona. Una vita "larger than life", più grande della vita stessa quella di Umm Kulthum. Una vita impossibile da raccontare. E Shirin Neshat lo sa. Sa di essere arrogante. Sa che le verranno fatte mille domande. Sa che a lei - donna - taluni allora come oggi non vorrebbero dare da raccontare ciò che vede e ciò che sa. Sa che a un'iraniana, straniera che non parla arabo, non dovrebbe esser dato di avvicinarsi al mito.
Ma la chiave è tutta qui. In quello sguardo che si nasconde infine alla vista del resto del mondo.
E Shirin Neshat lo capisce e lo racconta come solo una grande artista potrebbe fare. Il sogno e l'ossessione si trasformano dunque in un "film nel film" come è stato più volte detto. E quindi i piani narrativi si confondono. La protagonista della ricerca è Mitra - l'alter ego che Shirin Neshat fa impersonare sullo schermo all'attrice iraniana Neda Rahmanian. Una regista che sta realizzando un film su Umm Kulthum. Un viaggio onirico, un viaggio ossessivo. Una ricerca, che parte dal casting e dalla scelta dell'altra protagonista di questa storia, quella Yasmin Raeis a cui la Neshat fa vestire i panni dell'attrice che deve interpretare il ruolo della famosa cantante egiziana. Una ricerca che per trovare la verità deve mettere in scena anche la sfida stessa che Shirin/Mitra deve portare a compimento, superando tutti gli ostacoli materiali e psicologici che si proiettano sullo schermo in uno specchio continuo e poeticamente rivelatorio.
Questo film è anche un punto fermo importante per l'artista Shirin Neshat. Perchè va oltre il tema dell'origine a lei tanto caro. Racconta l'Iran senza raccontarlo, perchè è ambientato altrove. E certo racconta le donne. Lo sguardo nel silenzio, che però parla e si fa sentire. Come e più che in Donne senza uomini, il film tratto dal romanzo omonimo di Shahrnush Parsipur che vide Neshat debuttare alla regia di un lungometraggio e che le valse il Leone d'Argento alla Mostra del Cinema del 2009. E lo fa con la potenza delle immagini che Neshat ci ha fatto conoscere nella sua ricerca artistica, che usa il mezzo della fotografia e che è stata celebrata, non solo per la sua forza estetica a partire dai suoi lavori più conosciuti come la serie di Women of Allah. E che si possono vedere sempre a Venezia in questi giorni e sino al 26 novembre al Museo Correr che ospita la sua mostra The Home of My Eyes, un percorso in 26 immagini che ritrae gli sguardi di una serie di uomini e donne dell’Azerbaijan, dove Shirin Neshat ha a lungo ricercato intorno ai temi dell’identità culturale e del sentimento di sentirsi a casa propria. Gli occhi, lo sguardo, ancora una volta.
Un film questo Looking for Oum Kulthum che completa e rende più comprensibile, anche all'osservatore occidentale, la sfida rivoluzionaria che è propria del vero artista. Il coraggio che ci vuole per essere Shirin Neshat. Un film che speriamo di vedere distribuito nelle sale cinematografiche italiane e non solo relegato a qualche canale televisivo minore o allo streaming internet. Non ci vorrebbe troppo coraggio in fondo per farlo conoscere al grande pubblico.
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