Intervista all'artista ospite, dal 9 al 16 settembre, della The Venice Glass Week 2018
Michela Cattai e l'arte del vetro tra tradizione e sperimentazione: "Così, in un soffio, racconto la mia storia"
Michela Cattai al lavoro in fornace. Courtesy l’artista
Samantha De Martin
20/07/2018
Venezia - È racchiusa in quell’intervallo di tempo che corre tra il vetro ancora liquefatto e la forma solida la storia creativa di Michela Cattai, un’esperienza artistica, frutto di una costante ricerca, maturata tra il rispetto di una tradizione millenaria e una continua esigenza di sperimentazione.
All’origine di tutto c’è il vetro, “grande, magico, immenso”, come lo definisce l’artista, la cui passione è racchiusa nel racconto della sua vicenda, e le cui opere hanno la forma morbida, primordiale di quella carezza con le quale lei stessa accoglie alcune delle sue creature in fase di soffiatura e non solo.
Sono le stesse che porterà alla The Venice Glass Week 2018 - evento promosso da Fondazione Musei Civici di Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e Consorzio Promovetro Murano insieme al Comune di Venezia - che quest’anno celebra la sua seconda edizione, dal 9 al 16 settembre, nello storico Palazzo Querini, designato home “The Venice Glass Week Hub”.
“Si tratta di pezzi unici, realizzati in collaborazione con il maestro vetraio Andrea Zilio, dalle forme sinuose, morbide, primordiali - spiega l’artista - che, con la loro forma a tutto tondo e senza base invitano il pubblico ad essere toccati, accarezzati, presi tra le braccia. Racchiudono, nelle loro fattezze, l’incontro tra il gesto pittorico del chiaroscuro e lo sviluppo plastico della forma, emersa dalla sfumatura cromatica e dal gesto manuale e grafico della lavorazione a freddo. Il segno gestuale e pittorico impresso non appena l’opera esce dal forno, che caratterizza l’epidermide dei lavori, incide non solo sullo sviluppo cromatico, quanto più definisce in maniera scultorea l’aspetto volumetrico dell’opera. Intervenendo con intensità e precisione sulla materia, il tratto rincorre e accentua la forma nel suo movimento, spingendola alla voluta torsione”.
Attraverso questi lavori che verranno presentati in Laguna, Michela dona forma a quella sperimentazione che la spinge a mettere insieme, con una scelta fortemente innovativa, due materiali apparentemente diversi come il vetro e il bronzo.
“Ho scelto due elementi molto forti. Il vetro nei primi esperimenti si rompeva, poi ho iniziato un dialogo diverso, inserendo il bronzo nel vetro e alla fine quest’ultimo ha vinto. Del bronzo ho raccolto la bava, ovvero le parti sporche, i materiali di scarto delle sculture, li ho lavorati dando poi molta enfasi al colore (una costante nei miei lavori) e infine li ho posti in dialogo con il vetro. Quelli nati dal recupero di questo materiale di scarto sono pezzi unici, ognuno connotato da una propria storia e che il pubblico ha la possibilità di accarezzare, come ho fatto io stessa in fase di creazione. L’oggetto diventa forma e il colore viene definito dalla materia stessa”.
In questo processo nel quale un materiale di scarto dà vita ad un nuovo oggetto d’arte è racchiuso il messaggio contemporaneo di Michela Cattai, il suo rispettoso contatto con la materia di recupero.
E sembra di vederla al lavoro, Michela, mentre in fornace, imprime parte della sua appassionata forza creatrice alle opere, sottraendo al vetro la sua essenza fragile, cristallina e conferendo intensità e calore a un materiale estremamente delicato e che incute talvolta soggezione in chi lo sfiora.
“Il vetro mi permette di raccontare la mia storia. La soffiatura si risolve in circa un’ora, ma il lavoro inizia una settimana prima. Si parte da uno schizzo, dal progetto, fino ad arrivare al modello passando per la scelta del colore, definita con mescolanze di ossidi diversi. Il tutto si risolve in quel lasso di tempo tra il vetro liquefatto e il momento fisico della materia che si solidifica”.
I vetri soffiati, in tutto circa 15 pezzi, che saranno presentati a Venezia - culla e scrigno dell’arte vetraria, ma anche fonte di ispirazione per l’artista legata a doppio filo a Milano e alla Laguna - sono il risultato di un approccio del tutto nuovo. La serie Chiaroscuro - tre pezzi di vetro soffiato battuti, con particolare enfasi data al colore - in particolare lo sfumato, ottenuto tramite l’inclusione di più colori che definiscono un grigio grafite particolarmente caldo - affiancherà la serie vetro opaco nero + bronzo e vetro cristallo + bronzo, e la serie Triforme che consta di tre opere, “nelle quali la forma tonda-ovoidale dell’oggetto si spinge verso una dimensione decisamente più astratta sia nel lavoro a freddo che in soffiatura”.
Quando parla del suo rapporto con Venezia, Michela, seppure al telefono, trasmette al suo interlocutore il suo affetto vibrante. L’immersione nel paesaggio, nel terrritorio veneziano, con la sua luce particolarissima, le passeggiate tra le calli, l’incontro con i palazzi, le chiese, l’abbraccio con la scultura, l’architettura hanno influenzato fortemente i suoi primi lavori, e soprattutto la serie Canneto, una collezione di vetro soffiato, omaggio al territorio, al paesaggio, alla storia veneziana.
“A Venezia ho frequentato l’Accademia di Belle Arti, dove ha avuto inizio la mia formazione. Mi sono iscritta a pittura entrando con l’ultimo corso di Emilio Vedova per terminare con Fabrizio Plessi, passando a una formazione completamente diversa. Il mio ritorno a Venezia e avvenuto durante il corso di design che ho frequentato insieme al maestro Ennio Chiggio. Ho imparato che il design non è solo quello industriale, ma è soprattutto un’espressione di forma e di un oggetto che è destinato a se stesso come pezzo unico. Sono anni nei quali ho respirato le fornaci e ho realizzato i miei prototipi. Quell’esperienza mi ha sempre lasciato la voglia di ritornare”.
Come il paesaggio, le chiese, le strade abbiano preso la forma del vetro resta un mistero che Michela prova a spiegare, ma che rimane agganciato alle corde dell’anima, dell’emozione, a quell’incanto che resta l’enigma di un’arte antica, ma che, attraverso le intuizioni dell’artista e le coraggiose sperimentazioni, guarda al futuro cercando nuove evoluzioni, senza mai sciogliere il filo che la tiene legata alla tradizione.
L’esperienza di Michela trova la sua naturale prosecuzione e pieno completamento a Milano dove l’artista vive e, dal 1991, ha una Galleria nel cuore di Brera.
“Qui, dopo l’Accademia ho dato libero sfogo ad una visione più personale, proponendo mostre ed esposizioni del tutto innovative, diverse, cucendo un dialogo eclettico tra l’oggetto antico, di antiquariato e l’opera d’arte contemporanea, intrecciando la manifattura storica del vetro soffiato, della quale mi sono appropriata a Venezia partendo dalle tecniche rinascimentali, alle sperimentazioni. Motivo per cui oggi il mio oggetto è un’espressione del tutto personale, che sento mio e che mi rappresenta pienamente”.
Leggi anche:
• Michela Cattai per Venice Glass Week
• A Venezia protagonista il vetro con la Venice Glass Week
All’origine di tutto c’è il vetro, “grande, magico, immenso”, come lo definisce l’artista, la cui passione è racchiusa nel racconto della sua vicenda, e le cui opere hanno la forma morbida, primordiale di quella carezza con le quale lei stessa accoglie alcune delle sue creature in fase di soffiatura e non solo.
Sono le stesse che porterà alla The Venice Glass Week 2018 - evento promosso da Fondazione Musei Civici di Venezia, Fondazione Giorgio Cini, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti e Consorzio Promovetro Murano insieme al Comune di Venezia - che quest’anno celebra la sua seconda edizione, dal 9 al 16 settembre, nello storico Palazzo Querini, designato home “The Venice Glass Week Hub”.
“Si tratta di pezzi unici, realizzati in collaborazione con il maestro vetraio Andrea Zilio, dalle forme sinuose, morbide, primordiali - spiega l’artista - che, con la loro forma a tutto tondo e senza base invitano il pubblico ad essere toccati, accarezzati, presi tra le braccia. Racchiudono, nelle loro fattezze, l’incontro tra il gesto pittorico del chiaroscuro e lo sviluppo plastico della forma, emersa dalla sfumatura cromatica e dal gesto manuale e grafico della lavorazione a freddo. Il segno gestuale e pittorico impresso non appena l’opera esce dal forno, che caratterizza l’epidermide dei lavori, incide non solo sullo sviluppo cromatico, quanto più definisce in maniera scultorea l’aspetto volumetrico dell’opera. Intervenendo con intensità e precisione sulla materia, il tratto rincorre e accentua la forma nel suo movimento, spingendola alla voluta torsione”.
Attraverso questi lavori che verranno presentati in Laguna, Michela dona forma a quella sperimentazione che la spinge a mettere insieme, con una scelta fortemente innovativa, due materiali apparentemente diversi come il vetro e il bronzo.
“Ho scelto due elementi molto forti. Il vetro nei primi esperimenti si rompeva, poi ho iniziato un dialogo diverso, inserendo il bronzo nel vetro e alla fine quest’ultimo ha vinto. Del bronzo ho raccolto la bava, ovvero le parti sporche, i materiali di scarto delle sculture, li ho lavorati dando poi molta enfasi al colore (una costante nei miei lavori) e infine li ho posti in dialogo con il vetro. Quelli nati dal recupero di questo materiale di scarto sono pezzi unici, ognuno connotato da una propria storia e che il pubblico ha la possibilità di accarezzare, come ho fatto io stessa in fase di creazione. L’oggetto diventa forma e il colore viene definito dalla materia stessa”.
In questo processo nel quale un materiale di scarto dà vita ad un nuovo oggetto d’arte è racchiuso il messaggio contemporaneo di Michela Cattai, il suo rispettoso contatto con la materia di recupero.
E sembra di vederla al lavoro, Michela, mentre in fornace, imprime parte della sua appassionata forza creatrice alle opere, sottraendo al vetro la sua essenza fragile, cristallina e conferendo intensità e calore a un materiale estremamente delicato e che incute talvolta soggezione in chi lo sfiora.
“Il vetro mi permette di raccontare la mia storia. La soffiatura si risolve in circa un’ora, ma il lavoro inizia una settimana prima. Si parte da uno schizzo, dal progetto, fino ad arrivare al modello passando per la scelta del colore, definita con mescolanze di ossidi diversi. Il tutto si risolve in quel lasso di tempo tra il vetro liquefatto e il momento fisico della materia che si solidifica”.
I vetri soffiati, in tutto circa 15 pezzi, che saranno presentati a Venezia - culla e scrigno dell’arte vetraria, ma anche fonte di ispirazione per l’artista legata a doppio filo a Milano e alla Laguna - sono il risultato di un approccio del tutto nuovo. La serie Chiaroscuro - tre pezzi di vetro soffiato battuti, con particolare enfasi data al colore - in particolare lo sfumato, ottenuto tramite l’inclusione di più colori che definiscono un grigio grafite particolarmente caldo - affiancherà la serie vetro opaco nero + bronzo e vetro cristallo + bronzo, e la serie Triforme che consta di tre opere, “nelle quali la forma tonda-ovoidale dell’oggetto si spinge verso una dimensione decisamente più astratta sia nel lavoro a freddo che in soffiatura”.
Quando parla del suo rapporto con Venezia, Michela, seppure al telefono, trasmette al suo interlocutore il suo affetto vibrante. L’immersione nel paesaggio, nel terrritorio veneziano, con la sua luce particolarissima, le passeggiate tra le calli, l’incontro con i palazzi, le chiese, l’abbraccio con la scultura, l’architettura hanno influenzato fortemente i suoi primi lavori, e soprattutto la serie Canneto, una collezione di vetro soffiato, omaggio al territorio, al paesaggio, alla storia veneziana.
“A Venezia ho frequentato l’Accademia di Belle Arti, dove ha avuto inizio la mia formazione. Mi sono iscritta a pittura entrando con l’ultimo corso di Emilio Vedova per terminare con Fabrizio Plessi, passando a una formazione completamente diversa. Il mio ritorno a Venezia e avvenuto durante il corso di design che ho frequentato insieme al maestro Ennio Chiggio. Ho imparato che il design non è solo quello industriale, ma è soprattutto un’espressione di forma e di un oggetto che è destinato a se stesso come pezzo unico. Sono anni nei quali ho respirato le fornaci e ho realizzato i miei prototipi. Quell’esperienza mi ha sempre lasciato la voglia di ritornare”.
Come il paesaggio, le chiese, le strade abbiano preso la forma del vetro resta un mistero che Michela prova a spiegare, ma che rimane agganciato alle corde dell’anima, dell’emozione, a quell’incanto che resta l’enigma di un’arte antica, ma che, attraverso le intuizioni dell’artista e le coraggiose sperimentazioni, guarda al futuro cercando nuove evoluzioni, senza mai sciogliere il filo che la tiene legata alla tradizione.
L’esperienza di Michela trova la sua naturale prosecuzione e pieno completamento a Milano dove l’artista vive e, dal 1991, ha una Galleria nel cuore di Brera.
“Qui, dopo l’Accademia ho dato libero sfogo ad una visione più personale, proponendo mostre ed esposizioni del tutto innovative, diverse, cucendo un dialogo eclettico tra l’oggetto antico, di antiquariato e l’opera d’arte contemporanea, intrecciando la manifattura storica del vetro soffiato, della quale mi sono appropriata a Venezia partendo dalle tecniche rinascimentali, alle sperimentazioni. Motivo per cui oggi il mio oggetto è un’espressione del tutto personale, che sento mio e che mi rappresenta pienamente”.
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