Evento Collaterale della 57. Esposizione d'Arte
Venezia omaggia Fernando Zóbel e suoi contrappunti
Immagine dal catalogo della mostra di Fernando Zóbel a Madrid presso Sala Neblí nel 1961.
Eleonora Zamparutti
11/05/2017
Venezia - Gli avrebbe fatto piacere vedere le sue opere esposte nuovamente a Venezia, nella bella cornice dello spazio al Fondaco Marcello che affaccia su Canal Grande.
Fernando Zóbel a Venezia c’era già stato, nel 1962, in compagnia dell’artista Pablo Serrano: entrambi erano stati chiamati a esporre al Padiglione della Spagna nella 21. Esposizione d’Arte.
A quel tempo l’artista filippino-ispanico aveva confessato nelle pagine del suo taccuino il profondo sentimento di frustrazione che gli generava prendere atto di essere solo una piccola parte di un’esposizione vastissima. Ma il tempo, che ha il grande potere di far sedimentare il vortice degli accadimenti consegnando al futuro solo pochi momenti selezionati, si è rivelato generoso con l’opera di Fernando Zóbel, che infatti è ancora qua.
Fernando Zóbel, Saeta No. 36, 1957. Ateneo Art Gallery Collection, Gift of Roger Keyes. Courtesy of Ayala Museum
Era un uomo del secolo scorso, Fernando Zóbel.
Figlio di una facoltosa famiglia di origini ispaniche, era il frutto della cultura globale di prima ondata: quella prodotta dal fenomeno del colonialismo che investiva i ceti alti della società.
Nato a Manila nelle Filippine, aveva studiato negli Stati Uniti ad Harvard, aveva soggiornato a lungo in Spagna, aveva viaggiato in Europa e in Asia, fortuna riservata a pochi negli anni Cinquanta.
Condivideva con Pablo Serrano l’amore per l’archeologia. Era un pioniere: nomade, eclettico – dipingeva, ma scriveva anche molto, aveva un approccio al formalismo e al materialismo che, secondo le parole del curatore Guillermo Paneque, si ritrova per certi aspetti anche oggi nelle opere esposte all’Arsenale.
Attraverso l’elaborazione di un linguaggio astratto personale, Fernando Zóbel aveva cercato di esplorare i confini dell’arte universale. Nella sua arte sono tante le influenze estetiche evocate: la luminosità di Mark Rotho, le sgocciolature di Jackson Pollock, la calligrafia Cinese, l’eleganza dei giardini di Kyoto, le linee asciutte dei bambù impiegati come impalcature per l’edilizia nel mondo asiatico.
La mostra “Fernando Zóbel: Contrapuntos”, curata da Ditas R. Samson e Guillermo Paneque, è incentrata sulla produzione degli anni 1957-’62, periodo in cui l’artista ha sviluppato il suo linguaggio visivo. Si tratta di una selezione delle opere migliori, delle Serie Saetas e Negra.
La Serie Saetas (1957-‘59) segna l’avvio del percorso che ha condotto l’artista all’arte astratta. Saeta che significa freccia, dardo, è anche il nome di un canto in stile Flamenco. Lunghe e sottili linee calligrafiche definiscono spazi tridimensionali di grande purezza formale.
L’esposizione dà testimonianza dell’evoluzione successiva, che va nella direzione di una vigorosa gestualità pittorica nei dipinti della Serie Negra (1959-’62): tele in bianco e nero con energiche pennellate che richiamano la disciplina e la moderazione del sumi-e giapponese.
Fernando Zóbel, El Nascimiento de Pegaso, 1962, Miguel Ramos Collection. Courtesy of Ayala Museum
Sicuramente un privilegiato Fernando Zóbel, che però fu una figura chiave nel movimento dell’arte moderna nelle Filippine degli anni Cinquanta: comprò le opere di giovani artisti filippini e le donò all’Ateneo dell’Università di Manila. Il corpo centrale della collezione dà oggi vita all’Ateneo Art Gallery, il primo museo di arte moderna filippina.
In Spagna, a partire dagli anni ’60, ha stretto forti legami con gli artisti nel periodo in cui si andava affermando la pittura astratta. A Cuenca, grazie al lascito della sua collezione, ha dato vita nel 1966 al Museo di Arte Astratta spagnola.
Fernando Zóbel a Venezia c’era già stato, nel 1962, in compagnia dell’artista Pablo Serrano: entrambi erano stati chiamati a esporre al Padiglione della Spagna nella 21. Esposizione d’Arte.
A quel tempo l’artista filippino-ispanico aveva confessato nelle pagine del suo taccuino il profondo sentimento di frustrazione che gli generava prendere atto di essere solo una piccola parte di un’esposizione vastissima. Ma il tempo, che ha il grande potere di far sedimentare il vortice degli accadimenti consegnando al futuro solo pochi momenti selezionati, si è rivelato generoso con l’opera di Fernando Zóbel, che infatti è ancora qua.
Fernando Zóbel, Saeta No. 36, 1957. Ateneo Art Gallery Collection, Gift of Roger Keyes. Courtesy of Ayala Museum
Era un uomo del secolo scorso, Fernando Zóbel.
Figlio di una facoltosa famiglia di origini ispaniche, era il frutto della cultura globale di prima ondata: quella prodotta dal fenomeno del colonialismo che investiva i ceti alti della società.
Nato a Manila nelle Filippine, aveva studiato negli Stati Uniti ad Harvard, aveva soggiornato a lungo in Spagna, aveva viaggiato in Europa e in Asia, fortuna riservata a pochi negli anni Cinquanta.
Condivideva con Pablo Serrano l’amore per l’archeologia. Era un pioniere: nomade, eclettico – dipingeva, ma scriveva anche molto, aveva un approccio al formalismo e al materialismo che, secondo le parole del curatore Guillermo Paneque, si ritrova per certi aspetti anche oggi nelle opere esposte all’Arsenale.
Attraverso l’elaborazione di un linguaggio astratto personale, Fernando Zóbel aveva cercato di esplorare i confini dell’arte universale. Nella sua arte sono tante le influenze estetiche evocate: la luminosità di Mark Rotho, le sgocciolature di Jackson Pollock, la calligrafia Cinese, l’eleganza dei giardini di Kyoto, le linee asciutte dei bambù impiegati come impalcature per l’edilizia nel mondo asiatico.
La mostra “Fernando Zóbel: Contrapuntos”, curata da Ditas R. Samson e Guillermo Paneque, è incentrata sulla produzione degli anni 1957-’62, periodo in cui l’artista ha sviluppato il suo linguaggio visivo. Si tratta di una selezione delle opere migliori, delle Serie Saetas e Negra.
La Serie Saetas (1957-‘59) segna l’avvio del percorso che ha condotto l’artista all’arte astratta. Saeta che significa freccia, dardo, è anche il nome di un canto in stile Flamenco. Lunghe e sottili linee calligrafiche definiscono spazi tridimensionali di grande purezza formale.
L’esposizione dà testimonianza dell’evoluzione successiva, che va nella direzione di una vigorosa gestualità pittorica nei dipinti della Serie Negra (1959-’62): tele in bianco e nero con energiche pennellate che richiamano la disciplina e la moderazione del sumi-e giapponese.
Fernando Zóbel, El Nascimiento de Pegaso, 1962, Miguel Ramos Collection. Courtesy of Ayala Museum
Sicuramente un privilegiato Fernando Zóbel, che però fu una figura chiave nel movimento dell’arte moderna nelle Filippine degli anni Cinquanta: comprò le opere di giovani artisti filippini e le donò all’Ateneo dell’Università di Manila. Il corpo centrale della collezione dà oggi vita all’Ateneo Art Gallery, il primo museo di arte moderna filippina.
In Spagna, a partire dagli anni ’60, ha stretto forti legami con gli artisti nel periodo in cui si andava affermando la pittura astratta. A Cuenca, grazie al lascito della sua collezione, ha dato vita nel 1966 al Museo di Arte Astratta spagnola.
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