Da Bruegel a Munch, un viaggio nelle alterazioni della mente

Cinque dipinti per raccontare la follia

Gustave Courbet, Autoritratto o Uomo disperato, 1843 circa, Olio su tela, 45 x 54 cm, Collezione privata | Wikidata Collection
 

Francesca Grego

04/06/2020

Dall’Ottocento in poi, il mito dell’artista folle è una realtà: ne sono prova le storie fiorite intorno a Van Gogh e Ligabue. Ma anche chi non ha mai sofferto di disturbi mentali ha spesso ceduto alla tentazione di entrare con il pennello in un mondo altro dove, come nell’arte, le regole della civiltà e del buonsenso non dettano legge, e la pazzia sembra diventare sinonimo di libertà. Se l’arte moderna è ufficialmente il regno della follia, anche i Maestri del passato - da Bosch a Bruegel, fino al nostro Carpaccio - ci hanno lasciato sorprendenti rappresentazioni di stati allucinatori, rituali terapeutici, accessi d’ira e comportamenti fuori dalle righe.
Ecco cinque opere da non perdere per un nuovo elogio della follia.


Edvard Munch (1863 - 1944), L'Urlo, 1893, Tempera e pastello su cartone,  91 x73.5 cm, Oslo, National Gallery of Norway

Edvard Munch, L’Urlo
Un cielo in fiamme, una strada, il mare livido di un fiordo nei pressi di Oslo. Un uomo incredibilmente pallido - quasi un ectoplasma - si prende tra le mani il viso stravolto. E grida, con tutta la forza che ha. Il suo urlo deforma l’aria, l’acqua e le nuvole rosso sangue. “Non ci saranno più scene d’interni con persone che leggono e donne che lavorano a maglia. Si dipingeranno esseri viventi che hanno respirato, sentito, sofferto e amato”, scriveva Edvard Munch nel 1889. Il suo quadro più noto non sfugge alla regola. Lui raccontò di averlo creato in un momento doloroso, dopo aver sentito l’intera Collina di Ekberg tremare in un suono lancinante, fino a mandare in pezzi le immagini nei suoi occhi. Al di là dei disturbi nervosi dell’artista, il quadro divenne l’icona di un dramma collettivo, di quell’angoscia fin de siècle che Freud andava indagando e che in arte stava per condensarsi nell’esperienza degli espressionisti.


Giacomo Balla (1871 - 1958), La Pazza, 1905, Olio su tela, 175 x 115 cm, Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna

Giacomo Balla, La pazza
È il 1905 e il Futurismo non è ancora arrivato. Balla scompone le forme in pennellate spezzate e la luce diventa colore, come per i Maestri divisionisti. Il giovane pittore cerca i suoi soggetti nella realtà che lo circonda e ritrae con empatia un mondo crudo, fatto di ombre, talvolta disperato. Appartiene a questa fase il grande dipinto della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, dove una donna gesticola in modo scoordinato davanti a un balcone, mostrandosi in controluce. Con sguardo perso e movenze disarticolate sembra rivolgersi ad un interlocutore immaginario, suscitando nell’osservatore sgomento e compassione.

Gustave Courbet, Autoritratto
Come dipingere la disperazione? Gustave Courbet ha 25 anni quando prova a rispondere alla domanda davanti allo specchio, come in posa per un selfie. Ha le guance rosse, gli occhi sbarrati, i capelli in disordine, la camicia sgualcita. Si prende la testa tra le mani mentre si sporge verso di noi. È ubriaco? In crisi creativa? Sta recitando oppure è in preda ad un tumulto interiore? Di sicuro cerca di sottrarsi alle pose canoniche perché il Maestro del realismo è insofferente alle regole di qualsiasi scuola o accademia, fiero di appartenere “solo alla libertà”. L’opera è stata descritta come un tentativo di dipingere in azione o di catturare l’effetto di un’espressione momentanea, sul modello di Rembrandt nei suoi autoritratti a incisione, in barba ad ogni pretesa di rispettabilità.


Francisco José de Goya y Lucientes (1746 - 1828), Il sonno della ragione genera mostri, 1797, Acquaforte e acquatinta, Foglio n° 43 della serie di ottanta incisioni chiamata Los caprichos (1799) | Collezione privata

Francisco Goya y Lucientes, Il sonno della ragione genera mostri
L’ambivalenza della follia si rivela in questa celebre acquaforte di Goya, che troviamo nel foglio 43 degli immaginifici Caprichos. Un uomo cade addormentato con la testa appoggiata su uno scrittoio. Il suo sonno genera una pletora di bestie mostruose: sinistri uccelli notturni dai volti ghignanti si alzano in volo alle sue spalle, mentre un felino - forse una lince - fissa la scena con aria incredula, immobile come una sfinge. È lo stesso Goya a fornirci la spiegazione in un documento detto Commento di Alaya: “La fantasia abbandonata dalla ragione”, scrive l’artista, “genera mostri impossibili: unita a lei è madre delle arti e origine delle meraviglie”. Con sensibilità moderna, Goya ci trasmette la potenza degli strati più profondi dell’immaginazione, ma allo stesso tempo ci mette in guardia contro il pericolo di caderne preda, trasformando le fantasie in incubi.


Pieter Bruegel il Vecchio (1525/1530 circa - 1569), Margherita la Pazza (Dulle Griet o Mad Meg), 1563, Anversa, Museum Mayer van den Bergh

Pieter Brugel il Vecchio, Margherita la Pazza
Leggende e personaggi di fantasia hanno spesso avuto il compito di spiegare i fenomeni più incomprensibili, come la follia. Nel folklore fiammingo Margherita la Pazza - o Dulle Griet - è la personificazione di quelle donne estremamente colleriche che in un accesso d’ira “possono saccheggiare la soglia dell’Inferno e tornare incolumi”. Bruegel il Vecchio ci ha lasciato una suggestiva interpretazione del tema: come in un film dell’orrore, Margherita semina morte e distruzione in un paesaggio da incubo, tra incendi, combattimenti e creature grottesche. Difficile decifrare le immagini di una cultura popolare ormai perduta: c’è chi ha visto nel dipinto la rappresentazione della stoltezza del male, chi della lotta tra i sessi, chi di un mondo alla rovescia dove sono le donne a portare i pantaloni. Una certezza c’é: per Bruegel la follia è donna.