A Firenze fino al 2 giugno
La favola della natura negli arazzi di Kiki Smith in mostra a Firenze
Kiki Smith, Fortune, 2014, arazzo in cotone jacquard con interventi pittorici, Oakland, California, Magnolia Editions. Per gentile concessione dell’artista e della Pace Gallery
Samantha De Martin
20/02/2019
Firenze - In un universo dominato da serpenti e pipistrelli, protagonisti di un bestiario moderno, anch’essi perduti in intrichi vegetali densi di minaccia e di mistero, figure smarrite si intrecciano a una sessualità femminile vulnerabile, disarmata, esposta alla violenza, enfatizzata dalla superficie luminescente e preziosa del metallo.
L’immaginario di Kiki Smith, con le sue espressioni estetiche estreme, di denuncia e di sfida concettuale, sceglie l’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti per presentare al pubblico Kiki Smith. What I Saw on the Road, la monografica di una delle più autorevoli voci del movimento femminista nelle arti visive.
Per la prima volta, e fino al 2 giugno, un museo italiano accoglie la rischiosa fragilità dell’essere umano descritta dall’artista statunitense di origini tedesche in rapporto alla natura e al cosmo, un’arte dalla forte componente autobiografica, fondamentale strumento per leggere la complessità del reale.
Dalle prime opere, realizzate tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, che affrontano tematiche come l’AIDS, l’etnia e il gender, l’artista, femminista militante, approda, nei suoi ultimi lavori, alla visione del legame tra uomo e mondo animale.
Palcoscenico di questa favola sono i dodici arazzi in cotone jacquard - con il loro afflato animistico - affiancati da una selezione di sculture e attraversati da figure angeliche e fluttuanti, ma anche da lupi, cerbiatti, colombe.
Coniugando le tecniche tradizionali con la più sofisticata tecnologia digitale, Kiki Smith attinge alle fonti visive del Medioevo cristiano, della protoscienza sette-ottocentesca e del surrealismo, con risultati capaci di rappresentare ancora le ossessioni, le lacerazioni e le contraddizioni dell'umanità di oggi.
Il linguaggio di una nuova, spiazzante pietas si traduce nella grazia degli ultimi lavori dell’artista, efficace metafora della condizione umana e femminile in particolare, con l'obiettivo di ricreare unità e armonia in una realtà che si presenta talvolta come dissonante, motore di un’energia profondamente rivoluzionaria.
La mostra e il catalogo si addentrano nel difficile terreno dell’evoluzione poetica di Kiki Smith, lontana da proclami e che trova pace nell’osservazione, nello sperdimento. L’anima femminile e quella animale sono accomunate da magia e mistero, da un’armonia originaria oggi smarrita all’interno di una realtà minacciosa.
L’elemento autobiografico presente nelle opere - come si evince dai boschi e dalla qualità selvaggia dell’Upstate New York, dove l’artista vive e lavora - non rende l’arte di Kiki autoreferenziale, ma entra nella carne viva dei nostri giorni, diventando un importante strumento di lettura della complessità del presente.
Leggi anche:
• Da Cosimo de' Medici a Kiki Smith, il 2019 degli Uffizi
• Kiki Smith. What I saw on the road
L’immaginario di Kiki Smith, con le sue espressioni estetiche estreme, di denuncia e di sfida concettuale, sceglie l’Andito degli Angiolini di Palazzo Pitti per presentare al pubblico Kiki Smith. What I Saw on the Road, la monografica di una delle più autorevoli voci del movimento femminista nelle arti visive.
Per la prima volta, e fino al 2 giugno, un museo italiano accoglie la rischiosa fragilità dell’essere umano descritta dall’artista statunitense di origini tedesche in rapporto alla natura e al cosmo, un’arte dalla forte componente autobiografica, fondamentale strumento per leggere la complessità del reale.
Dalle prime opere, realizzate tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta, che affrontano tematiche come l’AIDS, l’etnia e il gender, l’artista, femminista militante, approda, nei suoi ultimi lavori, alla visione del legame tra uomo e mondo animale.
Palcoscenico di questa favola sono i dodici arazzi in cotone jacquard - con il loro afflato animistico - affiancati da una selezione di sculture e attraversati da figure angeliche e fluttuanti, ma anche da lupi, cerbiatti, colombe.
Coniugando le tecniche tradizionali con la più sofisticata tecnologia digitale, Kiki Smith attinge alle fonti visive del Medioevo cristiano, della protoscienza sette-ottocentesca e del surrealismo, con risultati capaci di rappresentare ancora le ossessioni, le lacerazioni e le contraddizioni dell'umanità di oggi.
Il linguaggio di una nuova, spiazzante pietas si traduce nella grazia degli ultimi lavori dell’artista, efficace metafora della condizione umana e femminile in particolare, con l'obiettivo di ricreare unità e armonia in una realtà che si presenta talvolta come dissonante, motore di un’energia profondamente rivoluzionaria.
La mostra e il catalogo si addentrano nel difficile terreno dell’evoluzione poetica di Kiki Smith, lontana da proclami e che trova pace nell’osservazione, nello sperdimento. L’anima femminile e quella animale sono accomunate da magia e mistero, da un’armonia originaria oggi smarrita all’interno di una realtà minacciosa.
L’elemento autobiografico presente nelle opere - come si evince dai boschi e dalla qualità selvaggia dell’Upstate New York, dove l’artista vive e lavora - non rende l’arte di Kiki autoreferenziale, ma entra nella carne viva dei nostri giorni, diventando un importante strumento di lettura della complessità del presente.
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